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Sostenibilità

La pelle di pesce è proprio uno scarto?

of Tucciarone I. – Parisi G.


L’impatto dell’acquacoltura sull’ambiente
Ogni attività antropica ha delle ripercussioni sull’ambiente circostante e l’allevamento animale non è esente da questo binomio. L’acquacoltura, cioè l’allevamento di organismi acquatici come pesci, molluschi, crostacei e anche alghe, può agire in modo consistente sull’ambiente arrivando a modificare gli habitat naturali, la fauna selvatica, il suolo, l’acqua e il paesaggio (Antoine, 2000), sebbene gli impatti siano profondamente diversi a seconda della specie allevata, del sito produttivo, dalle pratiche gestionali. Parlando in termini generali, questo settore può influenzare la qualità dell’acqua (torbidità, pH, eutrofizzazione; Murray et al., 2021), condizionando la crescita batterica (Moriarty, 1986) e il deposito dei sedimenti (Carroll et al., 2003; Vezzulli et al., 2002), oltre ad incidere sulla conservazione della biodiversità, a causa della dipendenza dalla cattura per ottenere farine ed oli di pesce destinati alla produzione di mangime (Diana, 2009; Naylor et al., 2000) e sulla conservazione del paesaggio (Domínguez e Martín, 2004). Si parte dal presupposto che tutti gli animali viventi rilasciano nell’ambiente i residui derivanti dai loro processi metabolici, che sono funzione delle specifiche esigenze alimentari e del livello di alimentazione cui sono soggette. In acquacoltura, indipendentemente dalla specie, l’acqua è il veicolo sia per il mangime che per i rifiuti prodotti (feci e prodotti di escrezione). Il fatto che tutti i rifiuti, solubili o meno, vengano rilasciati nel corpo idrico può influenzare gli equilibri tra le molecole presenti nell’acqua, come l’ossigeno (indispensabile per la vita delle specie acquatiche) e la concentrazione di CO2 e ammoniaca, due molecole tossiche. Pertanto, il degrado della qualità dell’acqua ha un grande impatto sugli animali, selvatici e non, che vi abitano (Antoine, 2000).
In aggiunta ai prodotti dell’attività metabolica propria dell’animale vanno inoltre considerati anche i rifiuti provenienti dall’attività diretta dell’uomo, tra cui, ad esempio, i prodotti chimici eventualmente utilizzati in allevamento. L’uso di sostanze chimiche (principalmente farmaci e prodotti antivegetativi) infatti, nonostante siano utilizzate in forma molto diluita, può comunque portare al loro accumulo all’interno dei sedimenti, compromettendo la qualità dell’acqua e dell’ambiente (Domínguez e Martín, 2004).
Ultimo, ma non meno importante, aspetto da considerare è l’enorme quantità di sottoprodotti generati dal settore come conseguenza dei processi di lavorazione, con un valore stimato dalla FAO pari a 9,1 milioni di tonnellate nel 2019. La lavorazione del pesce genera infatti una grande quantità di sottoprodotti, che si stima vada dal 25 al 70% del peso del pesce intero (a seconda della specie e del tipo di lavorazione), e che generalmente vengono scartati per poi essere smaltiti, anche tramite incenerimento (Ucak et al., 2021). Considerando tutto ciò, e tenendo conto della crescita esponenziale dell’acquacoltura negli ultimi decenni, diventata ormai fondamentale per il soddisfacimento della domanda globale di proteine animali, non ci si può più permettere il lusso di trascurare l’impatto sull’ambiente generato da questo settore produttivo. L’attuale modello di produzione potrebbe infatti diventare insostenibile già nel breve periodo (Fraga-Corral et al., 2022).

Sottoprodotti della lavorazione del pesce
Le strategie da mettere in atto per incrementare la sostenibilità del settore sono numerose; tra queste, la massimizzazione della resa del pesce attraverso la gestione strategica dei suoi sottoprodotti possiede senza dubbio un notevole potenziale per il raggiungimento di tale scopo (Newton et al., 2014; Ramirez, 2007; Ytrestøyl et al., 2015). Nel caso dei pesci, i sottoprodotti includono tipicamente residui della sfilettatura e della tolettatura del filetto, quali pelli, teste, ossa, visceri e sangue. Questi sottoprodotti contengono preziosi minerali, vitamine, frazioni proteiche e lipidiche, e possono essere sfruttati per ottenere una vasta gamma di prodotti e per vari mercati (Bergé, 2008; Rustad, 2002), ad esempio in ambito cosmetico, farmacologico, agricolo, ecc… (Fraga-Corral et al., 2022).
A livello globale, i Paesi con un’elevata domanda e dipendenza culturale dal pesce sono senza dubbio i principali candidati per la commercializzazione e la vendita di sottoprodotti di origine marina. A tal proposito, ad esempio, in Scozia sono state rilevate tre grandi categorie di utilizzo dei sottoprodotti del salmone: mangimi (75%), alimenti (15%), carburanti e fertilizzanti (10%) (Stevens et al., 2018).
In Figura 1 sono sintetizzati i molteplici impieghi dei pesci e dei loro sottoprodotti che possono avere destinazioni diverse in campo industriale, tecnologico, medico, nella produzione di utensili, armi, abbigliamento, gioielli, strumenti musicali, souvenir e oggettistica.

Struttura della pelle
La pelle, insieme a scaglie ed ossa, rappresenta circa il 30% degli scarti derivanti dalla lavorazione del pesce (Bandara e Chalamaiah, 2018). Essa ha la funzione di proteggere il pesce da danni fisici e infezioni, è costituita da diversi strati e ogni strato varia leggermente tra le diverse aree del pesce. Ad esempio, la regione addominale, quella dorsale, la testa e la coda differiscono in termini di spessore, per numero di scaglie (quando presenti) e quantità di muco. Tuttavia, tutte le regioni presentano due strati, l’epidermide (strato esterno) e il derma (strato interno), con struttura prevalentemente fibrosa.
L’epidermide presenta uno spessore variabile in relazione alla specie, all’età degli animali, alla regione corporea e alle condizioni ambientali (Elliott, 2011) e, nella maggior parte delle specie il suo spessore è inferiore a quello del derma. La sua funzione prevalente è quella secretoria, con produzione di muco che viene secreto da varie cellule dello strato più superficiale dell’epidermide, si tratta di una sostanza viscosa contenente mucine, cioè glicoproteine di elevato peso molecolare che conferiscono al muco le sue proprietà viscoelastiche e reologiche, ma il muco contiene anche enzimi con proprietà antibatteriche, proteine e acqua (Downing e Novales, 1971).
Grazie ai numerosi componenti antimicrobici presenti nel muco, esso ha la funzione di proteggere il pesce sia dall’ambiente esterno che da potenziali agenti patogeni. Van Oosten (1957) ha infatti dimostrato che il muco è una delle più importanti sostanze protettive associate alla pelle dei pesci e che le superfici cutanee esterne presentano una varietà di strutture probabilmente coinvolte proprio nel mantenimento di uno strato mucoso aderente.
Il derma, contenente vasi sanguigni, nervi, cellule con pigmenti e cellule adipose, è invece lo strato che fornisce struttura alla pelle. Esso è composto a sua volta da ulteriori due strati: lo strato lasso (strato superiore), in cui sono infisse le scaglie, e lo strato compatto (strato inferiore), costituito da bande di collagene ortogonali, utili per dare consistenza e tenacità alla pelle (Elliott, 2011).
Le differenze strutturali tra gli strati (epidermide e derma) fanno sì che ciascuno di essi abbia il suo ruolo specifico nella protezione del pesce dall’ambiente circostante. A tal proposito, la pelle dei pesci è generalmente soggetta a due principali tipologie di stress: la pressione osmotica dovuta alla vita in un ambiente acquoso non in equilibrio osmotico con i fluidi corporei, e i danni meccanici provenienti da pericoli ambientali di vario genere (ad esempio, l’urto contro eventuali ostacoli che non vengano evitati durante il nuoto degli animali). Inoltre, i pesci sono frequentemente esposti ad organismi patogeni come funghi, batteri e parassiti in genere, che possono essere precursori di varie patologie.
Gli adattamenti della pelle a queste sollecitazioni esterne sono però visibili non solo nel quantitativo di muco prodotto (Zaccone et al., 2001), ma anche nelle scaglie (Brown e Wellings, 1968) e nella disposizione ortogonale del collagene a livello del derma (Hawkes, 1974). Infine, anche la capacità di cambiare colore in relazione alla luce presente nella colonna d’acqua può essere considerato un esempio di adattamento cutaneo all’ambiente acquatico. I pesci godono dunque di un’ampia gamma di adattamenti cutanei protettivi, che consentono loro di occupare habitat che vanno dalle superfici rocciose dei fondali alle acque limpide superficiali.
Nella lavorazione della pelle di pesce si punta alla separazione dell’epidermide dal derma in quanto quest’ultimo è lo strato più versatile e che, date le sue caratteristiche, si presta più facilmente ad applicazioni in vari ambiti, come di seguito sarà descritto.


Utilizzi della pelle di pesce

Ambito medico

Il collagene è la principale proteina strutturale dei tessuti connettivi come pelle, tendini, e legamenti (Shoulders e Raines, 2009). Esso può essere estratto da diverse fonti, tra cui, ad esempio, i sottoprodotti bovini e suini, che rappresentano le fonti più diffuse. Associato a queste fonti rimane però il rischio di trasferimento di malattie zoonotiche come la BSE, la TSE e l’afta epizootica, oltre che la limitazione data dai diversi vincoli religiosi.
In risposta a ciò, stanno emergendo negli ultimi anni nuove fonti di collagene: il collagene marino (proveniente da spugne marine, Silva et al., 2016; Tziveleka et al., 2017; da meduse, Cheng et al. 2017; Jankangram et al., 2016; da calamari, Coelho et al., 2017; Cozza et al., 2016; e da pesci, Huang et al., 2015) ne è un esempio.
Tra le fonti marine, le pelli di pesce sono ampiamente scelte per l’estrazione del collagene in quanto ritenute una fonte ottimale perché sono disponibili su larga scala, non presentano alcun rischio di trasmissione di malattie e non sono soggette a vincoli di tipo religioso (Alves et al., 2017). Dato il consistente contenuto di collagene, oltre che di fibrina, proteoglicani e glicosaminoglicani, la pelle di pesce può agire a tutti gli effetti come un sostituto della pelle umana (Yang et al., 2016). A tal proposito, sono stati infatti condotti svariati studi finalizzati a verificare la possibilità di sfruttare le proprietà della pelle di pesce per la cura delle ferite da ustione.
La guarigione e la gestione delle ferite da ustione continuano a rappresentare una sfida importante per i pazienti e per gli operatori sanitari, con conseguenti notevoli oneri socio-economici (Markiewicz-Gospodarek et al., 2022; Oryan et al., 2017). L’applicazione di innesti cutanei nel trattamento delle ustioni è l’opzione terapeutica più diffusa per ottenere la chiusura precoce della ferita ed evitare eventuali complicanze (Alam e Jeffery, 2019; Markiewicz-Gospodarek et al., 2022). Tuttavia, l’innesto potrebbe non essere sempre possibile, ad esempio, nel caso di ustioni troppo estese oppure perché non si possiede una disponibilità adeguata di pelle donatrice (Stone et al., 2021). Inoltre, anche qualora fosse disponibile la pelle da innestare, i risultati ottenuti potrebbero non corrispondere alle aspettative. Attualmente vengono utilizzate svariate medicazioni per ustioni, tra cui medicazioni impregnate di argento, alginato, nylon rivestito di silicone, film di poliuretano o medicazioni biosintetiche (Júnior et al., 2021). A queste va ad aggiungersi la pelle di pesce, che sembrerebbe avere ottime potenzialità in questo ambito (Luze et al., 2022).
A differenza della pelle di mammiferi, che richiede un drastico trattamento chimico per ridurre il rischio di trasmissione virale e prionica (“inattivazione virale”), la pelle di pesce viene sottoposta ad un trattamento delicato che consente di preservare la struttura e la composizione bioattiva del tessuto, compreso il contenuto di acidi grassi polinsaturi della serie Omega-3 (Magnusson et al., 2015). A tal proposito, studi recenti affermano che l’elevata percentuale di acidi grassi della serie Omega-3 presente nella pelle di pesce, nonché la sua capacità di fornire questi ultimi al tessuto locale, la rendono un materiale antinfiammatorio, antibatterico, antivirale e analgesico senza pari (Patel e Lantis II, 2019).
La pelle di pesce sembra dunque rappresentare un’opzione terapeutica efficace per la gestione delle ferite da ustione, poiché consentirebbe di ottenere una guarigione accelerata delle ferite, riducendo al tempo stesso il dolore, il rinnovo delle medicazioni, probabilmente a causa di una buona aderenza del biomateriale alla superficie della ferita (Lima-Junior et al., 2019), nonché i costi correlati al trattamento (Júnior et al., 2021). Tuttavia, la sua applicabilità potrebbe essere limitata nel caso di un’eccessiva profondità dell’ustione (Wallner et al., 2022).
Le proprietà benefiche della pelle di pesce si sono poi dimostrate utili anche per altre applicazioni cliniche, differenti dalle ustioni; infatti, l’innesto di pelle di pesce è stato utilizzato negli anni per trattare un gran numero di ferite con varie eziologie, sia di tipo acuto che di tipo cronico (Yang et al., 2016). Tra queste rientrano, ad esempio, le ulcere del piede diabetico cronico (Lullove et al., 2021), le ferite da calcifilassi (Tan et al., 2021), l’angiodermite necrotica (Dardari et al., 2022) e la calcinosi iatrogena della cute (Ahn Eun Soo, 2021).
Dell’uso della pelle di pesce in campo medico si parla anche in alcune scene della serie televisiva statunitense Grey’s Anatomy (stagione 15, episodio 17).
Tra le aziende che producono prodotti terapeutici a base di pelle di pesce si ricorda l’islandese Kerecis®, che è responsabile del primo e finora unico prodotto a base di pelle di pesce (nello specifico, derivata dal merluzzo) approvato dalla FDA sul mercato negli Stati Uniti d’America. L’azienda Kerecis® si considera pioniera nell’uso della pelle di pesce e degli acidi grassi nel mercato della terapia cellulare e della medicina rigenerativa (Figura 2).

Ambito manifatturiero e industriale

Attraverso l’utilizzo di diverse tecniche di concia provenienti da culture di tutto il mondo, la pelle di pesce ha mostrato grandi potenzialità anche come materiale per l’abbigliamento, così come per altri prodotti (Rahme, 2021). L’uso della pelle di pesce da parte delle popolazioni artiche per costruire capi di abbigliamento si perde nella notte dei tempi.
Per gli islandesi il mare rappresenta da sempre la principale fonte di cibo e di reddito. Nel corso della storia questo popolo ha infatti dimostrato di possedere un grande rispetto per le pelli di pesce e quando queste non potevano essere consumate come alimento, venivano essiccate oppure conciate, con lo scopo di ottenere scarpe e, occasionalmente, copertine per libri (Palomino et al., 2020).
Fin dal passato si era quindi già consapevoli di come la pelle di pesce potesse dimostrarsi utile per l’abbigliamento in generale (giacche, pantaloni, guanti), e in modo particolare per fabbricare calzature. Veniva apprezzata la sua resistenza al freddo e alla pressione (essendo anche più resistente di altri tipi di pelle, come ad esempio quella bovina, a parità di spessore), seppure perdesse queste qualità se bagnata.
A seguito della rimozione delle scaglie, la pelle di pesce si presenta infatti molto simile a quella di serpente, della quale potrebbe quindi diventare un buon sostituto (Bostaca e Crudu, 2013). A tal proposito, la pelle di pesce è stata già assimilata a materiale per capi di moda sostenibile, alternativo alla pelle esotica, grazie al suo minore impatto ambientale dal momento che l’impiego nell’industria dell’abbigliamento potrebbe valorizzare un prodotto di scarto.
La conceria Atlantic Leather, situata sulla costa settentrionale dell’Islanda, è stata uno dei principali esponenti dell’artigianato a base di pelle di pesce. Essa si occupa della lavorazione della pelle di pesce dal 1994, basandosi sull’antica tradizione islandese di realizzare scarpe con questo materiale particolare, sottile, morbido e al tempo stesso resistente (Palomino et al., 2020). Con l’arrivo di nuovi materiali (es. plastiche), negli anni l’uso delle pelli di pesce è stato però quasi perso del tutto (Palomino et al., 2020).
Solo a seguito dell’accresciuta sensibilità nei confronti delle problematiche connesse all’impatto ambientale, che hanno assunto le caratteristiche di un’emergenza non più trascurabile, e che è associata sia al mondo dell’acquacoltura che al mondo della moda, si è iniziato a pensare a strategie volte a dare nuovamente valore a questo materiale, molto apprezzato in passato, ma scarsamente conosciuto dalla società contemporanea.
D’altra parte, in Italia, a Firenze, Salvatore Ferragamo, stilista, imprenditore e fondatore della casa di moda omonima, già negli anni ‘30 del secolo scorso, cioè in anni di crisi per sopperire alla carenza di materiali pregiati provenienti dall’estero, comincia a sperimentare l’uso di materiali alternativi come la canapa, la carta di caramelle e la pelle di pesce per fabbricare capi di abbigliamento e scarpe. In tempi più recenti brand dell’industria della moda come John Galliano, Prada, Christian Dior, Louis Vuitton, Nike, BMW e Puma hanno realizzato abiti, scarpe e borse di lusso e altri tipi di prodotti con questo materiale.
Le richieste per questa materia prima da parte dell’industria del fashion risultano quindi in costante crescita.
L’attività della conceria Atlantic Leather e di altre concerie come la Nordic Fishleather Iceland è dunque solo un esempio di come il mondo si stia muovendo, ma vi sono altre iniziative che puntano nella medesima direzione. Ad esempio, il progetto europeo FISHSkin (Grant agreement ID: 823943) punta allo sviluppo di una nuova categoria di materie prime attraverso l’unione della maricoltura e dell’industria della moda.
Tutte queste attività fanno dunque ben sperare e lasciano credere che sia possibile, nel prossimo futuro, tornare ad indossare capi prodotti con questo materiale che assume elevato valore e particolare bellezza nel caso in cui venga ricavata da specie esotiche come l’Arapaima gigas, il pirarucu delle popolazioni indigene dell’Amazzonia, che è costituisce la materia prima utilizzata da Oskar Metsavaht, designer e creatore dell’azienda di moda brasiliana Osklen (che si definisce “e-fabric”), per produrre articoli di lusso, quali borse, borselli, portafogli, cinture, all’insegna dell’etica e della sostenibilità (Figura 3).
Ma l’utilizzo della pelle proveniente anche da altre specie di pesce caratterizza l’attività di altre aziende, di dimensioni variabili, che si stanno affacciando sul mercato e che si affermano per tecniche di concia o di tintura più sostenibili o per la capacità di assemblare le pelli per ottenere materiali di maggiori dimensioni che possono avere una vasta gamma di utilizzi (Figura 4).
In passato, la pelle di pesce veniva utilizzata anche per rivestire le impugnature (in quanto offriva un’ottima presa sull’arma) e per fabbricare foderi di spade e pugnali, per produrre strumenti musicali (es. tamburi), oppure semplicemente per creare oggetti ornamentali (Olden et al., 2020).
Tutte applicazioni, queste, che vengono ancora utilizzate in particolari aree geografiche come Siberia, Scandinavia, Alaska, dove sono parte integrante della cultura locale e della tradizione.
Altri utilizzi in campo industriale della pelle di pesce sono da ritrovare nell’impiego della colla di pesce, già utilizzata dai Greci e dai Romani per incollare il legno, durante l’età medievale come materiale per dipingere e miniare i manoscritti, dai cinesi per scopi medicinali, e come conservante alimentare in Gran Bretagna prima e durante la seconda guerra mondiale (Olden et al., 2020). Oggi, l’applicazione della colla di pesce nell’industria è più rara (Akter et al, 2016), ma essa è ancora utilizzata per la realizzazione e il restauro di particolari manufatti (Petukhova, 2000).
Anche le scaglie del pesce hanno dimostrato di avere delle possibilità di impiego. Diversi studi mostrano infatti come le bioplastiche ottenute dalle scaglie possano essere utilizzate per produrre articoli per la casa, oggetti ornamentali, abbigliamento e materiale per imballaggi (Chiarathanakrit et al., 2018).
Merita infine di essere citata la pelle della specie Electrophorus electricus (anguilla elettrica), che presenta una particolare caratteristica che la rende davvero unica: è elettrica. Le scaglie contengono infatti fibre di collagene che generano una carica elettrica in risposta a diversi tipi di energia meccanica ambientale, compresi i movimenti del corpo, le vibrazioni e i suoni (Olden et al., 2020). Tale caratteristica ha dunque portato allo sviluppo di un nuovo gruppo di dispositivi elettrochimici ad alto rendimento, particolarmente promettenti per l’elettronica portatile (Sun et al., 2016).
In futuro, la speranza è quella di incorporare tale pelle in dispositivi quali pacemaker, dove potrà generare continuamente energia, e quindi far funzionare il dispositivo, sfruttando la stimolazione dei battiti cardiaci (Olden et al., 2020).

Ambito nutrizionale

L’ambiente marino è una fonte di biomolecole funzionali come acidi grassi polinsaturi (PUFA), polisaccaridi, minerali e vitamine, antiossidanti, enzimi e peptidi bioattivi (Kim et al., 2008; Kim e Wijesekara, 2010; Pomponi, 1999). In particolare, la pelle contiene una buona quantità di proteine che possono essere utilizzate come fonte di peptidi bioattivi (Abuine et al., 2019). A tal proposito, studi dimostrano come questi siano utili in zootecnia, quali additivi nei mangimi per animali, o anche in agricoltura come fertilizzanti (Chalamaiah et al., 2012), e che dunque potrebbero essere utilizzati anche in alimenti da destinare al consumo umano. Tra le attività biologiche attribuibili ai peptidi bioattivi presenti nella pelle di pesce, e dai quali dunque si potrebbe trarre beneficio tramite il consumo della stessa, si ritrovano l’attività antiossidante, antiipertensiva, immunomodulatoria e antimicrobica (Chalamaiah et al., 2012).
La pelle di pesce in realtà viene utilizzata già da secoli come alimento dalle popolazioni artiche che vivono lungo i fiumi o lungo le coste. Chips di pelle di pesce (Figura 5) vengono servite in alcuni ristoranti cinesi e giapponesi come antipasto o spuntino e tipicamente sono fritte dopo averli ricoperti con una pastella sottile. Meno diffuso è il suo consumo nel resto del mondo e, anche se si stanno affermando sul mercato prodotti contenenti pelle di pesce formulati in modo da aumentarne l’appeal e l’appetibilità per il consumatore, si è ancora ben lontani dall’inserire la pelle di pesce all’interno delle diete dei consumatori dei Paesi occidentali, per quanto questo ingrediente si caratterizzi anche per la presenza di acidi grassi a lunga catena della serie Omega-3 (Bruni et al., 2021).

Ambito cosmetico
La presenza di collagene all’interno della pelle di pesce potrebbe dimostrarsi utile per una sua applicazione anche in campo cosmetico, oltre che medico. Molte formulazioni cosmetiche possiedono infatti il collagene come componente principale, dati i suoi significativi benefici come agente umettante e idratante (Morganti et al., 1986; Peng et al., 2004), oltre che antirughe (Hayashi et al., 2011; Xhauflaire-Uhoda et al., 2008).
Considerando il fatto che l’industria cosmetica è costantemente alla ricerca di prodotti innovativi, sostenibili ed efficaci, le formulazioni a base di collagene marino stanno ora emergendo come alternative promettenti in questo specifico settore di mercato (Alves et al., 2017). Inoltre, la guanina cristallina che viene estratta dalle scaglie macinate di alcune specie di pesci, tra cui l’aringa, è comunemente usata in cosmetica all’interno di smalti per unghie, rossetti, mascara, shampoo e altri prodotti destinati alla cura della pelle e dei capelli, ai quali fornisce un effetto luminoso (Olden et al., 2020).

Conclusioni
Il pesce è indubbiamente un’importante fonte di nutrienti, la cui filiera ha le potenzialità di orientarsi sempre di più verso uno sviluppo sostenibile e rispondere agli obiettivi dello sviluppo sostenibile dell’Agenda ONU, in particolare all’Obiettivo 12 (Consumo e Produzione Responsabili) e all’Obiettivo 14 (La Vita sottacqua), anche grazie ai numerosi possibili impieghi dei sottoprodotti di lavorazione. È emblematico il caso della pelle, che per la sua composizione e le sue proprietà, ben si presta a numerosi impieghi, dalla manifattura all’industria, dalla medicina rigenerativa alla cosmesi, oltre che alla nutrizione umana e animale.
Non scarto dunque, ma un tesoro che merita di trovare la corretta collocazione per ridurre gli sprechi e recuperare preziose molecole funzionali che aiutino a soddisfare la crescente domanda di proteine di origine animale, PUFA e in generale di materie prime per i settori della moda, della cosmesi e ambito medicale senza ulteriori stress per l’ecosistema.
Inevitabilmente, il lavoro di ricerca scientifica, trasferimento tecnologico e divulgazione saranno i punti cardine per promuovere un uso sostenibile e consapevole dei sottoprodotti, come la pelle del pesce, e si traducano in un vantaggio globale per il settore, per la società e, ultimo ma non meno importante, per l’ambiente.


Isabella Tucciarone
Giuliana Parisi
Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agrarie, Alimentari, Ambientali e Forestali-DAGRI, Sezione di Scienze Animali
Firenze


Bibliografia

La bibliografia è disponibile presso la Redazione di Il Pesce. Per info: redazione@pubblicitaitalia.com



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