Uno studio condotto da McKinsey & Company (mckinsey.com), intitolato “The next wave: alternative seafood solutions” (La prossima ondata: soluzioni alternative per i prodotti ittici) e pubblicato lo scorso settembre, avverte che un aumento del 14% della domanda globale di pesce e prodotti ittici potrebbe portare, entro il 2030, ad una significativa adozione di “opzioni alternative”. L’impennata della domanda, infatti, arriva in un momento in cui l’85% delle attività di pesca globali sta già operando al limite o oltre i limiti di sostenibilità e le restrizioni all’allevamento ittico aggravano ulteriormente la pressione sulle forniture tradizionali di pesce, molluschi e crostacei.
L’analisi individua in cinque varietà ittiche “particolarmente popolari” e perciò “particolarmente vulnerabili” alla sostituzione con prodotti alternativi: gamberi, tilapia, tonno, salmonidi e aragosta. Il rapporto sottolinea, ad esempio, che il tonno, terzo nel mercato mondiale dei prodotti ittici a livello di domanda, proviene in larga misura dalla pesca (99%) a causa della difficoltà di allevamento e possiede un’impronta di carbonio a livello di vendita al dettaglio di circa 0,8-0,9 kg di CO2 per kg. Ciò rende il tonno un candidato privilegiato per la sua “sostituzione” con prodotti alternativi.
Lo studio identifica tre alternative di produzione primaria: prodotti plant-based, ovvero alternative vegetariane e vegane che fanno uso di soia, alghe, lievito, legumi e vari oli e amidi vegetali; prodotti con una base di fermentazione vegetale (fermentation-enabled); prodotti “coltivati” (cultivated seafood). I prodotti ittici a base vegetale sono già entrati nel mercato sotto forma di alternative vegetariane e vegane che ripropongono il sapore di tonno, salmone, capesante, calamari, granchi e gamberi. Questi prodotti guidano il mercato delle proteine alternative perché utilizzano ingredienti ampiamente disponibili e richiedono meno investimenti in biotecnologie. Inoltre, sono soggetti a minori regolamentazioni e barriere normative per quanto riguardano il loro ingresso sul mercato (i problemi normativi al momento hanno riguardato soprattutto i nomi e l’etichettatura).
I prodotti ittici “coltivati” — prodotti cioè a partire da cellule prelevate da pesci come salmone e tonno o da gamberi, granchi, cozze… — sono invece ancora in fase di sviluppo e richiedono alti livelli di regolamentazione e certificazione, poiché si basano su tecnologie nuove per il settore alimentare. Grazie all’elevato potenziale, hanno tuttavia suscitato un notevole interesse a livello di finanziamenti.
«La nostra ricerca indica come i prodotti ittici alternativi potrebbero contribuire a ridurre la pressione sui fragili ecosistemi acquatici e a diminuire l’impatto ambientale della pesca, fornendo al contempo al consumatore un’alternativa sana e un accesso più ampio ad una fonte di proteine», commenta Tom Brennan di McKinsey. «Detto ciò, devono affrontare sfide significative per ridurre i costi di produzione a livelli paragonabili a quelli del pesce e per rispecchiare l’ampia varietà di gusto e consistenza dei prodotti ittici oggi disponibile sul mercato. Innovare per migliorare il gusto, la composizione nutrizionale e i costi è fondamentale per questo tipo di produzioni alternative.
Una volta che questi prodotti si saranno affermati sul mercato, resta poi da vedere come reagiranno i consumatori e come i prodotti continueranno a svilupparsi di conseguenza» (fonte: EFA News – European Food Agency).
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