it en
Risultati
Turismo gastronomico

A spasso lungo la Livenza, al ritmo lento del fiume

of Borghi G.


In quanti modi si può conoscere un fiume? Ammirarne i contorni, le curve sinuose, la dolcezza del paesaggio a cui dà forma, diverso da stagione a stagione. Su una barca o su un kayak, in sella ad una bici, parlando con i pescatori che ne conoscono i segreti e ne rispettano tempi e ritmi, seduti al tavolo di un’osteria o visitando una cantina per degustare anche i prodotti e i vini del territorio che il fiume attraversa.
Il turismo fluviale offre tantissime opportunità a chi ha la voglia e la curiosità di coglierle e il “GiraLivenza” (www.giralivenza.it), tra le province di Venezia e Treviso, è uno di questi interessanti percorsi. Una green way, come viene definita, a voler sottolineare la sostenibilità dal punto di vista ambientale dei diversi itinerari ciclo-pedonali e navigabili che la compongono. Sì, avete letto bene: la Livenza, un fiume di pianura molto ricco di acqua tutto l’anno, è infatti navigabile per quasi tutta la lunghezza del suo alveo e si può approfittare di questa modalità di esplorazione per godere della bellezza della natura da un altro punto vista, immersivo e, appunto, ecologico*.
Lentamente, immergendosi il più possibile nelle atmosfere un po’ rarefatte dell’ambiente che il fiume disegna, gli argini ampi e la bassa vegetazione, il senso di pace che ti avvolge, si segue il corso fluviale facendo tappa a Motta e San Stino di Livenza e Pramaggiore, città del vino, Sant’Anna di Boccafossa e il suo Museo del Paesaggio, San Alò, il magnifico borgo recuperato di Ca’ Corniani, la cui storia è intrecciata alla grandiosa bonifica ottocentesca, la prima realizzata da un soggetto privato, che richiamò operai da tutta Italia e che oggi affianca alle attività di azienda agricola vari progetti di valorizzazione artistica e culturale (www.cacorniani.it). Si prosegue poi fino a Caorle e alle sue colorate casette di pescatori, con la visita obbligata al suo piccolo ma ricchissimo mercato ittico, passando per Torre di Mosto, il paese del bisàt, l’anguilla nel dialetto locale.
Qua e là sugli argini, facendo un po’ di attenzione, è possibile avvistare numerose “bilance”, i tipici casotti da pesca tuttora in uso, dotati di una grande rete quadrata immersa nell’acqua e sollevata periodicamente per raccogliere il pescato di cui sono ricche queste acque: cavedani, trote delle varie specie, tinche, scardole, alborelle, carpe, lucci, temoli e anguille.
Proprio a proposito di anguille, la Condotta Slow Food del Veneto Orientale ha da qualche tempo promosso la nascita della “Comunità per la valorizzazione del Bisàt della Livenza” — come vuole il progetto originario delle cosiddette “Comunità del cibo” che l’associazione della chiocciola porta avanti —, alla scopo di preservare la pesca tradizionale e soprattutto sostenibile di questo pesce dalle caratteristiche uniche.
Una creatura acquatica senza pinne e senza squame che ha del leggendario e che ha da sempre incuriosito chiunque ne abbia approcciato aspetto e abitudini fin dalla notte dei tempi: per gli antichi Egizi, ad esempio, le anguille nascevano quando il sole scaldava le acque del Nilo, Aristotele sosteneva che le anguille nascessero dal fango mentre Plinio il Vecchio credeva si riproducessero sfregandosi tra i sassi.
Per avere notizie più veritiere si può chiedere direttamente a Dario Caovilla, “ultimo” rappresentante ufficiale della pesca tradizionale del bisàt della Livenza dopo che Felice Gazzelli, il Canarin, Gran maestro della Confraternita del Bisàt, ha deciso di “appendere” le sue reti al chiodo e andare in pensione.
Dario si è appassionato alla pesca delle anguille con la maturità, costruendosi quasi tutta l’attrezzatura da solo, i bertovelli e i cogolli di diversa grandezza, particolari trappole che tra l’altro ha dovuto modificare usando materiali plastici resistenti dopo la comparsa massiccia del famigerato Granchio blu, predatore vorace e particolarmente aggressivo che con le sue chele rompe facilmente le reti.
Con barchini di 5 metri circa, posizionati nei diversi fiumi che frequenta, come il Piave, Dario pesca passere, branzini, cefali… Inoltre, fa parte della FIPSAS (Federazione Italiana Pesca Sportiva Attività Subacquee e Nuoto Pinnato) del Veneto, con la quale segue e sostiene il progetto di recupero dello storione.
La sua è un’attività solitaria, un’immersione completa nella natura, nei suoi suoni e nei suoi silenzi, con l’unica compagnia del fidato cagnolino Charlie. Un tipo di pesca che Dario pratica nelle quantità, nelle zone e nei periodi che gli sono consentiti dalle regole della Commissione europea. «Periodi sempre più brevi» sottolinea amareggiato. «Quest’anno le normative della UE si sono fatte più stringenti e mi è possibile pescare solo 6 mesi, da luglio a dicembre. Praticamente il periodo di fermo pesca si è allungato di ulteriori tre mesi, escludendo tutta la primavera, perché le anguille continuano a diminuire ed è necessario tutelare la risorsa.
Il problema è che non è riducendo la pesca qui, in questi fiumi, dove l’anguilla non si riproduce, che la si protegge, bensì colpendo i pescatori che ne fanno incetta direttamente nell’oceano».
L’anguilla, mi racconta Dario, è un pesce stanziale, territoriale: una volta individuato un luogo per così dire “ideale” fa il suo buco, la sua casina, e lì rimane finché non deve cominciare il lungo viaggio verso il Mar dei Sargassi dove avviene la riproduzione. E, potrà sembrare incredibile ma, quando le piccole anguille iniziano il loro viaggio seguendo le correnti e, attraversando lo Stretto di Gibilterra, in qualche modo tornano negli stessi luoghi dove “vivevano” i genitori.
Dario quei luoghi li conosce bene ed è proprio lì che posiziona le sue trappole, per una settimana al massimo, spostandole via via così da tutelare risorsa e ambiente. Ad oggi, purtroppo, nessuno pare abbia voglia di continuare questo tipo di pesca. «E non gli do certo torto — commenta Dario — perché è un lavoro che non dà sicurezze». Eppure lui, mi pare, non lo cambierebbe con nessun altro.


Gaia Borghi



Nota

* Il Gruppo EBOATS&GO®, progetto di navigazione ecologica mirato ad esplorare la natura in modo totalmente rispettoso, offre un servizio di noleggio di barche elettriche che non richiedono la patente nautica: “Il nostro obiettivo è incentivare un turismo ecologico e rispettoso delle risorse dell’ambiente, come migliore via per creare stupore, meraviglia, che da sempre sono le radici della conoscenza, facendo diventare i fiumi, le lagune e i laghi stessi un mondo a disposizione e disponibile, per divulgare un nuovo comportamento nei confronti dell’ambiente, dove la regola principe insita nello spirito di chi la propone e di chi la percorrerà è sempre il rispetto e la convivenza con gli elementi della natura”. Info: eboatsandgo.com



Activate your subscription

To subscribe to a Magazine or buy a copy of a Yearbook