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Il pesce in tavola

Il capitone

di Baverez Blanco J.


Anguilla e capitone (stesso pesce ma generi diversi) non sono certamente molto comuni in commercio. L’Italia, però, rimane il principale produttore europeo grazie alla pesca e, soprattutto, all’allevamento, realizzato con metodi intensivi ed estensivi in vasche di acqua dolce. Ritroviamo traccia di questo tipo di allevamento in Plinio, a conferma che le sue radici sono antichissime, dall’antica Grecia alla civiltà romana. Sono molto noti gli allevamenti di Comacchio e della laguna veneta, ma si tratta di una pratica diffusa anche in Lombardia, Toscana e Sardegna.
Come mai così poche anguille dal pescivendolo? Ad eccezione del periodo natalizio, non è un pesce molto richiesto dagli Italiani. Dove va a finire allora la produzione? In Giappone, che consuma il 90% della produzione mondiale per preparare soprattutto il classico Kabayaki, piatto realizzato mediante marinatura in salsa di soia dell’anguilla e successiva sua cottura al vapore o alla griglia.
L’ho sempre considerato un pesce come un altro, un po’ troppo grasso per i miei gusti, molto saporito, duttile per varie preparazioni, che mi è capito di mangiare in vari Paesi in qualsiasi periodo dell’anno. Ho scoperto solo a Milano la tradizione del mangiare il capitone la Vigilia di Natale, con tutte le difficoltà per recuperarlo in tempo dai pescivendoli che spesso rimangono senza tanta è la richiesta in quei giorni. Il capitone è infatti un ingrediente che non può mancare sulle tavole delle feste nel nostro Paese, dal Nord al Sud — e la smorfia napoletana gli ha persino dedicato il numero 32 —, in quanto è considerato un pesce che allontana la negatività e la cattiva sorte.

Per cominciare, contrariamente al genere dell’appellativo, occorre precisare che l’anguilla è il maschio e il capitone è la femmina, dalla testa più grossa (da caput, che significa “testa” in lingua latina). Conosciuta comunemente come anguilla europea, è un pesce teleosteo della famiglia Anguillidae (dal latino anguis, serpente).
Il capitone può raggiungere una lunghezza di 1,50 m e pesare fino a 6 kg, mentre l’anguilla rimane solitamente sui 60 cm, per circa 200 grammi di peso.
È una specie migratrice catadroma ovvero vive in acque dolci ma si riproduce nel Mar dei Sargassi, in mezzo all’Oceano Atlantico, tra le Antille e le Azzorre, a 1.000 metri di profondità, dopodiché muore. I piccoli dell’anguilla, i leptocefali, spinti dalla Corrente del Golfo, impiegano circa 3 anni per raggiungere l’Europa dove si trasformano gra- dualmente. A volte risalgono i fiumi e possiamo quindi avere anguille di acqua salata, salmastra o dolce.
Pesce di fondo teleosteo, dal corpo cilindrico con scheletro osseo, ama stare anche in pozzi e caverne e non teme gli sbalzi di temperatura.
Il suo colore cambia in base all’habitat. Può vivere 50 anni nello stesso luogo e stare 48 ore fuori acqua! Oggi purtroppo è considerata una specie in via estinzione a causa della pesca intensiva.

Simili al serpente, che rappresenta il Male nel Cristianesimo, l’anguilla, e di conseguenza il capitone, sono oggetto di superstizioni. Satana ha preso questa forma per tentare Eva a mangiare il pomo proibito che ha condannato l’umanità a lasciare il paradiso. Essendo Gesù il redentore dei nostri peccati, mangiare il “serpente” proprio a Natale diventa un atto simbolico. Quindi, al di là dell’utilità pratica di mettere in tavola questo pesce grasso che, in passato, era molto economico, permettendo di radunare parenti ed amici con poca spesa nell’allegria della festa, mangiare capitone o anguilla in questa occasione è considerato di buon auspicio.
Dagli antichi culti pagani rivolti alla fertilità, il serpente è passato nella tradizione giudaico-cristiana in tante leggende popolari con la sua ambivalenza: il serpente è “sapere” ed è al contempo “malvagità”.
Oltre ad Eva, un’altra donna è stata tentata: la Vergine Maria, la quale ripara l’errore della “prima donna” schiacciando la testa del serpente sotto i suoi piedi e sottoponendolo alla sua autorità. La tradizione vuole che tuttora sia la donna a dover uccidere il pesce e a cucinarlo per esorcizzare il trionfo del Bene sul Male, allontanando malefici e malasorte.
La figura del serpente è presente in molti passi dell’Antico Testamento. Nel Libro dell’Esodo, ad esempio, mosè trasforma il bastone magico di aronne in serpente mentre, dopo la fuga dall’Egitto, per ispirazione divina, fa erigere un serpente di bronzo in cima ad un palo, ottenendo la guarigione per quanti rivolgono lo sguardo verso di esso: “Mosè allora fece un serpente di rame e lo mise sopra l’asta; quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente restava in vita”, probabile origine del serpente come simbolo dei farmacisti.

Per molti popoli, il serpente è un animale associato al soprannaturale e, come accennavo, non sempre con accezione negativa. A Pompei, nel larario domestico, edicola sacra che ospitava le divinità protettrici della famiglia, i Lari, il serpente rappresentava il Genio del luogo.
Lo ritroviamo come entità benefica anche nell’Eneide quando enea, mentre è intento a sacrificare al padre Anchise, resta folgorato dall’apparizione di un serpente che compie 7 cerchi intorno al sepolcro e poi si allontana, lasciandolo “incerto se pensare che sia un genio del luogo o un messaggero del Padre” (Aen. 5, 95-96).
Il serpente è anche un simbolo esoterico diffuso. L’Ouroboros, presente in tanti popoli e in varie epoche, è un drago serpente che si morde la coda formando così un cerchio e “ricreandosi” di continuo. Rappresenta l’eterno ritorno, la natura ciclica di tutte le cose. Può anche essere associato al simbolo di armonia di Yin e Yang, che illustra la natura dualistica di tutte le cose e come gli opposti si completino. Il suo cambiar pelle è simbolo di rinnovamento, rinascita, e quindi di vita eterna, mentre il suo veleno può avere il potere di guarire o donare una coscienza espansa, elisir di lunga vita o immortalità.
Nella leggenda, il capitone è associato al serpente da publIo VIrgIlIo marone, poeta latino, alchimista e profondo conoscitore della natura. Considerato e venerato come Liberatore della città di Napoli in preda a malefici e pestilenze, Virgilio (qui noto come VIrgIlIo mago) avrebbe addormentato per sempre, con mi- steriose parole magiche, un terribile serpente che sgusciava tra i vicoli della città, facendo vittime con le sue spire mortali.

Da temibile a prelibato, com’è arrivato nella cucina degli Italiani il capitone? Sembra sia stato Federico II Di Svevia, ghiotto dei capitoni della laguna di Lesina. I libri di storia narrano che l’imperatore arrivò il 28 febbraio 1240 a scrivere alla Curia di Foggia per richiedere il pesce fresco di Lesina da far preparare alla askipeciam (scapece) dal suo cuoco personale di nome Berardo. Il procedimento della scapece è usato ancora oggi nella terra di Puglia per il pranzo di Natale e prevede di friggere il pesce, per poi marinarlo con l’aceto. Nella tradizione napoletana il consumo del capitone segue addirittura un rituale ben definito, immortalato da Eduardo De FIlIppo nella sua opera “Natale in casa Cupiello”.

Il capitone viene venduto vivo ed è mantenuto tale fino al momento della cottura; lo si trova però anche in tante altre forme, congelato, marinato, essiccato, salato e affumicato. Seguendo la credenza popolare e mangiandolo durante tutto l’anno, chissà se non si potrebbe tingere di buon augurio la nostra quotidianità?


Josette Baverez Blanco



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