L’accresciuta sensibilità ambientale, la consapevolezza che dobbiamo pensare alle generazioni future, le raccomandazioni degli organismi internazionali (es. FAO, IFAD, ecc…) e, infine, le nuove metodologie di progettazione ci hanno portato a sviluppare nuove strade per la salvaguardia degli ecosistemi fino ad oggi molto minacciati e spesso sovrasfruttati o comunque soggetti ad una notevole pressione antropica. In questa direzione, oltre ai pilastri dettati dagli Obiettivi Sostenibili del Millennio o SDGs, si stanno affermando delle nuove metodologie di progettazione che favoriscono oltremodo gli aspetti sociali, culturali e soprattutto ambientali. La metodologia PM4SD è infatti incentrata sullo sviluppo sostenibile del turismo e si basa su alcuni punti cardine (si vedano le fonti bibliografiche):
Trattasi di fatto di uno strumento di implementazione dei principi dello sviluppo sostenibile come definiti dagli organismi internazionali attraverso l’utilizzo di metodologie di project management già ampiamente affermate quali il Prince2, MSP, PCM, LFA. Sono inoltre utilizzati strumenti per l’analisi del contesto come l’analisi SWOT e lo Stakeholder Engagement. In quest’ambito si è ritenuto utile poter trovare un potenziale caso studio relativo all’acquacoltura e alla pesca come già più volte richiesto anche da organismi internazionali quali la Divisione Pesca e Acquacoltura della FAO, che spesso ha inserito tra le proprie Linee guida esplicito interesse per attività di eco-turismo applicate ad attività di pesca ed acquacoltura sostenibile, in particolare per quanto riguarda le acque interne dell’area del Centro Europa. Il contesto ambientale è quello del Casentino, nel cuore dell’Appennino tosco-romagnolo, ai margini del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, istituito nel 1993, che si estende su un vasto territorio tra Romagna e Toscana e che costituisce un’area protetta di grande estensione comprendente boschi e foreste millenari tra i meglio conservati d’Italia. Il Parco, dal versante aretino, interessa i comuni di Bibbiena, Chiusi della Verna, Poppi, Pratovecchio e Stia. La parte di conservazione integrale comprende le riserve naturali di Sasso Fratino, della Pietra e di Monte Falco. Il sito in questione rientra in una area fuori dai confini del Parco di circa 500 m. La vegetazione è rappresentata dal complesso delle foreste casentinesi ancora ad elevato tasso di biodiversità e di notevole interesse naturalistico. I boschi sono composti da latifoglie, quali querce e castagni, o da boschi misti con faggio e abete bianco. La fauna è composta da una notevole componente di ungulati, tra cui cinghiali e mufloni. La presenza del lupo nell’Appennino è ormai una costante e rappresenta il predatore di punta del Parco. Ricchissima l’avifauna. La zona è ricchissima di corsi d’acqua sia grazie alle abbondanti precipitazioni, anche di tipo nevoso, sia grazie anche alla notevole copertura vegetale del terreno. Le rocce sono in prevalenza impermeabili. I corsi d’acqua sono di tipo torrentizio e la loro portata è proporzionale alla quantità di precipitazioni. Il fiume Arno nasce nel Monte Falterona (circa 1.600 m slm) e in quest’ambito risulta poco più di un ruscello dalle acque limpide e dal corso impetuoso. I paramenti fisici e chimici delle acque denotano una notevole qualità e purezza. Dal punto di vista della vita acquatica si denota, anche grazie alle informazioni reperite sulla Carta ittica della provincia di Arezzo, una notevole biodiversità; numerose le specie di anfibi, alcune anche molto rare. Si rileva la presenza di gamberi appartenenti al genere Austropotamobius, specie sotto protezione legislativa in quanto minacciata. L’area d’interesse ittico è la tipica “zona a Salmonidi” con la specie guida della trota fario, Salmo trutta fario (Linnaeus, 1758) e con la presenza di alcune popolazioni con fenotipo “fario” attribuite alla specie S. cettii nell’attesa di revisione tassonomica. Il substrato risulta di tipo sassoso, corrente di tipo torrentizio con elevate concentrazioni di ossigeno disciolto e temperature delle acque sempre sotto i 15 °C. Altre specie ittiche presenti appartengono alle famiglie: Cyprinidae (Barbus plebejus, Barbus meridionalis), Anguillidae (Anguilla anguilla, in allegato II della Washington Convention e definito “in pericolo critico” da IUCN Italia), Gobiidae (ghiozzo etrusco Padogobius nigricans classificato come “vulnerabile” da IUCN Italia). Di interesse, inoltre, la trota iridea Oncorhynchus mykiss, in quanto specie alloctona, e quindi in concorrenza con le specie native o autoctone.
In questo contesto ambientale è stata costituita, a gennaio 2014, la Cooperativa In Quiete, la cui mission è quella del recupero, a fini di ripopolamento e divulgazione scientifica, dell’Antica Acquacoltura Molin di Bucchio. Grazie a un team multidisciplinare di guide ambientali, educatori, comunicatori, dottori forestali, si è dato vita a tanti diversi percorsi formativi dal differente background, coniugati in un’unica scommessa: unire professionalità attraverso la passione. E con un obiettivo, quello di credere e investire in un turismo responsabile e sostenibile per i sentieri dell’Appennino, oltre che sull’educazione ambientale nelle scuole per il futuro delle nuove generazioni, il tutto coniugato da un profondo spirito di valorizzazione della natura e delle tradizioni storico-culturali del territorio. Il progetto Antica Acquacoltura Molin di Bucchio, portato avanti dalla Cooperativa In Quiete, si occupa del recupero di uno dei più antichi impianti di acquacoltura, posto alle sorgenti dell’Arno, dedicati alla produzione di specie d’acqua dolce autoctone ai fini di ripopolamento e ricerca.
Oltre alla trota appenninica selezionata per analisi genetica, l’obiettivo sarà la messa a punto di tecniche di riproduzione per il gambero d’acqua dolce, il barbo tiberino, il ghiozzo etrusco e per quelle specie sensibili che richiedono particolare attenzione (in Tabella 1 sono riportate le informazioni di base relative alle tre specie ittiche oggetto del progetto). Sarà una sorta di banca della biodiversità acquatica dotata di uno spazio didattico per informare e rendere consapevoli i vari portatori di interessi salvaguardando nello stesso tempo la biodiversità. Dal punto di vista della sostenibilità e dei suoi tre pilastri mi permetto di ribadire e ricordare la definizione adottata dalla FAO nel 1995 e nel 1997, che sembra particolarmente appropriata per questo contesto: “Sustainable development is the management and conservation of the natural research base and the orientation of technological and institutional change in such a manner as to ensure the attainment and continued satisfaction of human needs for present and future generations. Such sustainable development (… and fisheries sectors) conserves land, water, plant and animal genetic resources, is environmentally equitable, non-degrading, technically appropriated, economically viable and socially acceptable”.
I pilastri su cui si basa la sostenibilità in qualsiasi ambito di interesse, sono i seguenti:
Le azioni potenziali per conseguire quanto sopra (le potremo riassumere come goals) sono:
La normativa europea di riferimento, in merito al progetto in oggetto e al contesto in cui si svolge, è la direttiva “Habitat” 92/43/CEE del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, in particolare l’art. 2, comma 1, che dichiara: “Scopo della presente direttiva è contribuire a salvaguardare la biodiversità mediante la conservazione degli habitat naturali. Nonché della flora e fauna selvatiche nel territorio europeo degli Stati Membri”. L’obiettivo è quello del ripristino delle specie ittiche autoctone, cercando di ripopolare i corsi d’acqua con esemplari riprodotti in cattività tramite tecniche il più possibile naturali e sostenibili attraverso il Capture-Base Aquaculture (definizione in nota). L’operazione è stata effettuata sia per i salmonidi che per il barbo tiberino. Sono stati prelevati un certo numero di esemplari i quali provengono da tre diversi torrenti dall’alto valore naturalistico all’interno del bacino casentinese dell’Arno tra cui il fosso di Camaldoli, provvedendo a successive analisi genetiche che hanno evidenziato che soltanto un esiguo numero di esemplari possedesse il patrimonio genetico dei ceppi originari, mentre la maggioranza è risultata composta da ibridi naturali o appartenenti a specie alloctone. Si è poi proceduto a selezionare un certo numero di esemplari attraverso una marcatura come futuri riproduttori. Gli aspetti di sostenibilità ambientale sono stati, in questo caso, completamente assolti in quanto le metodologie di cattura e la selezione dei riproduttori sono stati effettuati con tecniche non nocive e molto rispettose dell’ambiente, tenendo sempre in dovuta considerazione il benessere animale. Gli aspetti socio-culturali sono quelli di maggior interesse, dopo gli aspetti ambientali. Tra le attività complementari a quelle di acquacoltura, sono state avviate una serie di iniziative atte a trasmettere la consapevolezza del patrimonio naturalistico del Parco, e anche la riscoperta delle antiche tradizioni va in questa direzione. Al momento le attività di eco-turismo sono quelle che finanziano le ingenti spese correnti e di ripristino dell’impianto di acquacoltura che al momento risulta solo parziale. Eventuali fondi pubblici attraverso bandi FEAMP finanziano la ristrutturazione delle vasche e del sito che era ormai in abbandono da molti decenni. La sostenibilità economica, al momento, non è stata ancora completamente conseguita in quanto siamo in una fase di start-up del progetto; il numero di riproduttori per le tre specie prese in esame è ancora molto esiguo e la loro taglia non è tale da poter produrre un numero adeguato di avannotti. Inoltre, le tecniche di riproduzione e allevamento non sono state completamente messe a punto. In questa prima fase il punto di pareggio economico è stato volutamente messo in secondo piano in nome della conservazione delle specie sensibile, cercando di capire allo stesso tempo se ciò può rendere sostenibile l’attività a scapito di una commercializzazione del pesce ai soli fini alimentari. Il successivo progetto di crowdfunding si pone, infatti, come obiettivo di recuperare sia i vasconi antichi per arrivare un giorno a fare sia conservazione attraverso progetti con gli enti, sia la vendita di pesce per scopi alimentari e attività connesse di pesca sportiva in impianto. Tutte le operazioni di cui sopra sono state effettuate seguendo scrupolosamente le indicazioni delle autorità preposte e in accordo con le più stringenti normative di salvaguardia ambientale.Sicuramente una lodevole iniziativa degna di nota, principalmente per la tenacia e la determinazione dei titolai della Cooperativa, che ogni giorno cercano di dare il loro contributo per la salvaguardia ambientale e per il conseguimento delle loro aspettative.
Dott. Pierluigi Monticini
Ph.D. MBA Monticini Consulting – Magalotto 2B – 52010 Castelluccio Capolona (AR)
info@monticiniconsulting.com
>> Link: www.monticiniconsulting.com
Nota
Definizione di Capture-Base Aquaculture: la pratica della raccolta in natura dei futuri riproduttori, dai primi stadi di vita adulti, e il loro susseguente allevamento in cattività attraverso tecniche di acquacoltura (Lovatelli et al., 2004).
Bibliografia
Didascalia 1: i membri della Cooperativa In Quiete che si occupa del progetto Antica Acquacoltura Molin di Bucchio.
Didascalia 2: Tabella 1 – Classificazione delle tre specie ittiche oggetto del progetto “Antica Acquacoltura Molin di Bucchio”.
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