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Schede specie marine commerciali

Il mitilo

di Lucchetti A.

Biologia

Il mitilo — Mytilus galloprovincialis — localmente chiamato cozza, muscolo, peocio, mosciolo, dattero nero, è forse il mollusco più conosciuto in Italia perché facilmente reperibile su tutti i mercati e ampiamente distribuito in tutte le zone caratterizzate dalla presenza di substrati duri. Il nome dattero nero non è del tutto sbagliato se si pensa che il mitilo, strano ma vero, appartiene alla stessa famiglia (Mytilidae) del famoso e ultraprotetto dattero di mare, il bivalve Lihtophaga lithophaga (letteralmente mangiatore di roccia, perché è in grado di perforare rocce calcaree all’interno delle quali scava nicchie di forma allungata).

Il mitilo è presente nel Mediterraneo, nel Mar Nero e nell’est Atlantico dalla Manica fino al Marocco.

Mytilus galloprovincialis è un mollusco dotato di una conchiglia costituita da due valve (da qui il nome bivalve) che l’animale costruisce fissando il carbonato di calcio direttamente dall’acqua di mare; in particolare, la costruzione e l’accrescimento della conchiglia avviene per secrezione da parte del mantello di una sostanza chiamata conchiolina, che forma una matrice organica dove si depositano i sali calcarei.

Le valve, di dimensioni identiche, presentano una forma allungata da subtriangolare a quadrangolare (Fisher et al., 1987), sono appuntite all’umbone (rappresenta la parte della conchiglia che è presente fin dallo stadio larvale) e arrotondate nella parte distale opposta (fig. 1).

La superficie esterna della conchiglia, in cui sono facilmente visibili sottili strie di accrescimento, è liscia ma quasi sempre incrostata di organismi sessili — che vivono cioè attaccati a un substrato senza possibilità di movimento — come balani (crostacei cirripedi), serpulidi (anellidi policheti) e alghe (fig. 2), che competendo con il mollusco per il cibo e lo spazio ne limitano l’accrescimento. Le due valve, che si articolano mediante una cerniera munita di piccoli dentelli scarsamente visibili, sono mantenute chiuse contro nemici esterni o in condizioni ambientali sfavorevoli da due muscoli adduttori, la cui azione si oppone a quella di un legamento elastico situato dorsalmente alla cerniera, che invece tende a far aprire le due valve.

La colorazione esterna della conchiglia è nerastra o violacea mentre quella interna è madreperlacea (fig. 1).

La conchiglia protegge il mantello, dal bordo violetto o porpora, che racchiude al suo interno branchie, cuore, centri nervosi, intestino, stomaco, organi riproduttivi; i bordi esterni del mantello formano due sifoni (inalante ed esalante) che permettono l’entrata e l’uscita dell’acqua dalla cavità palleale.

I sessi sono separati (rari sono i casi di ermafroditismo) e il colore del corpo consente in genere di distinguere abbastanza agevolmente i due sessi, poiché nei maschi la colorazione è prevalentemente bianco-giallastra mentre nelle femmine è rosso-aranciata, soprattutto al momento dell’emissione di gameti. La maturità sessuale è raggiunta all’età di 5-8 mesi, alla taglia di 30 mm circa.

La riproduzione avviene per tutto l’arco dell’anno con picchi in primavera e autunno (Relini e Ravano, 1971). I gameti vengono liberati in acqua dove avviene la fecondazione.

Lo sviluppo avviene attraverso diversi stadi di metamorfosi: dapprima dall’uovo fecondato si sviluppa una larva chiamata trocofora, che poi evolve verso un altro stadio detto veliger (entrambi planctonici), nel quale inizia a formarsi la conchiglia (dissodonca) e solo nelle settimane successive si ha la completa formazione e il riorientamento degli organi interni.

A tal punto, detto plantigrado, inizia la discesa verso il fondo alla ricerca del substrato adatto. La fissazione delle larve al substrato presenta due picchi in marzo e ottobre e sembra influenzata dalla temperatura, visto che in determinate condizioni (temperatura a 10°C) la metamorfosi può essere notevolmente ritardata.

Anche la profondità sembra influenzare l’insediamento delle larve, che risulta molto più intenso nei primi 3 metri di profondità e si riduce gradualmente procedendo in profondità (Fabi et al., 1985).

I mitili sono i più tipici bivalvi sessili e vivono attaccati a substrati duri mediante il bisso (fig. 3), che è un secreto filamentoso a base di cheratina che coagula a contatto con l’acqua ed è prodotto a più riprese nel corso della vita dalla ghiandola del bisso, situata in prossimità del piede (La Greca, 1990); in mari ricchi di seston (particellato in sospensione) come l’Adriatico centro-settentrionale, immergendo anche per poche settimane qualsiasi substrato naturale (rocce, legno, conchiglie) o artificiale (ferro, cemento, metallo, plastica) è possibile osservare un abbondante insediamento di "seme" di mitili (rappresentato da individui di pochi millimetri) che forma una sorta di mantello nero.

La scelta della vita fissa da parte dei molluschi ha comportato, durante l’evoluzione, una serie di adattamenti obbligati come la presenza di una conchiglia bivalve, la scomparsa del capo e successiva modificazione del piede, il perfezionamento della microfagia mediante filtrazione; i mitili sono infatti efficientissimi filtratori (si nutrono di plancton e particelle organiche in sospensione) ed hanno sviluppato allo scopo un complesso apparato. La branchia, da semplice organo per la respirazione, si è trasformata in una struttura particolare, dotata di lamelle cigliate (da cui deriva il nome di lamellibranchi con cui vengono identificati i bivalvi), con la funzione di filtrare l’acqua e trattenere le particelle alimentari; che alla funzione di filtrazione siano stati destinate le branchie è cosa piuttosto ovvia, perché sia per la respirazione che per la microfagia è necessario garantire un flusso continuo di acqua attraverso l’organo.

Il metabolismo di Mytilus galloprovincialis è molto attivo; infatti ogni esemplare riesce a filtrare oltre 100 litri d’acqua al giorno. Il mitilo rappresenta perciò una specie importantissima dal punto di vista ecologico, poiché in acque eutrofiche è in grado di sfruttare il surplus energetico rappresentato dal particellato in sospensione e di trasformarlo in biomassa utilizzabile dall’uomo (Bombace, 1977).

La specie può raggiungere una taglia massima di 15 cm (Gramitto, 2001) e in allevamento può accrescersi di 5 cm in meno di due anni; l’accrescimento del mitilo è tuttavia fortemente influenzato dalla temperatura, dalle correnti e dalle condizioni trofiche delle acque in cui vive. Nel periodo invernale, ad esempio, le basse temperature fanno si che l’accrescimento rallenti notevolmente e in molti casi cessi del tutto. Il processo di filtrazione sembra infatti arrestarsi a salinità inferiori al 13‰ e a temperature inferiori agli 8°C. Nell’Adriatico, le cui acque sono estremamente ricche di nutrimento, sono stati osservati tassi di insediamento e di crescita molto elevati con produzioni di mitili di 6-7 cm pari a 100 kg/mq (Relini, 1977).

L’accrescimento e la sopravvivenza della specie può inoltre essere minacciato da nemici naturali predatori, competitori o parassiti. Tra i predatori si possono annoverare le stelle marine, le littorine perforatrici (Pupura lapillus), alcuni granchi che attaccano principalmente larve e seme, alcune specie di pesci come ad esempio gli sparidi, certi uccelli ittiofagi.

Tra i competitori per cibo e spazio sono già stati ricordati i crostacei cirripedi (Balanus spp.), gli anellidi policheti delle famiglie Aphroditidae (erranti), Terebellidae e Serpulidae (sedentari), ma anche organismi epizoi (idroidi, ascidiacei, briozoi) ed epifiti (essenzialmente alghe bentoniche); questi, oltre a sottrarre nutrimento e ossigeno, quando muoiono si decompongono contribuendo a determinare situazioni di ipossia o anossia sui fondali.

Tra i parassiti principali, infine, si ricordano Protozoi, Trematodi, Gasteropodi (Odostomia spp.), crostacei Decapodi (Pinnotheres pisum) e Copepodi (Mytilicola intestinalis).

La specie vive in comunità monospecifiche molto numerose (fig. 4), preferibilmente sui fondi costieri dalla linea di marea fino a circa 15 metri di profondità, cioè dal mediolitorale all’infralitorale.

Il mitilo si adatta alle condizioni ambientali più diverse (specie euriecia), con un optimum di temperatura tra gli 8 e i 25°C, per cui riesce a colonizzare anche zone lagunari, portuali e in generale siti degradati.

Pesca

I mitili, come brevemente accennato, rivestono una notevole importanza dal punto di vista ecologico, ma rappresentano anche un’importante risorsa alimentare.

Lo sfruttamento di Mytilus galloprovincialis è, pertanto, molto intenso ed attuato sia mediante raccolta da banco naturale (con rastrelli, attrezzi da traino per molluschi o da subacquei), che da allevamento (mitilicoltura).

Gli impianti di mitilicoltura, da cui attualmente proviene la maggior parte della produzione italiana (stimata in circa 130.000 tonnellate), vengono posizionati in aree marine ad elevata produttività primaria (fitoplancton) e prevedono, generalmente, un sistema di raccolta del seme (collettori rappresentati di solito da funicelle nude di diametro compreso tra 14 e 30 mm) che viene quindi allevato in fasi successive, fino al raggiungimento della taglia commerciale, stabilita in 5 cm dal DPR 1639 del 1968.

L’allevamento dei mitili viene considerato di tipo estensivo, poiché il mollusco non viene nutrito con mangimi, ma trae il cibo direttamente dall’ambiente in cui vive e l’intervento dell’allevatore è mirato esclusivamente a creare le migliori condizioni, perché l’animale si sviluppi nel più breve tempo possibile. Esistono diverse tipologie di allevamento così riassumibili: allevamento in sospensione su strutture fisse (pali di legno o di cemento), da utilizzarsi per lo più in zone di mare riparate e con fondali di scarsa profondità; allevamento in sospensione su strutture galleggianti, con il sistema mono o pluriventia, più adatto al mare aperto; barriere artificiali sommerse, costituite da cubi di cemento sulle cui superfici attecchisce il seme dei mitili.

Attualmente, il metodo di allevamento più diffuso in Italia è il sistema flottante detto long-line (rappresenta circa il 95% dell’intera superficie di allevamento; fig. 5) che sta soppiantando quello fisso, mentre la raccolta da banco naturale costituisce negli ultimi anni sempre più un fenomeno locale e limitato alle imbarcazioni della piccola pesca costiera, poiché lo sviluppo tecnologico ha permesso di realizzare ampie strutture offshore, in grado di resistere a condizioni meteo-marine avverse e di sfruttare, così, vasti spazi nelle aree costiere.

Il sistema flottante viene impiegato in zone dove non vi sono grandi ampiezze di marea, dove ci sono maggiori profondità lungo la costa, oppure dove la natura del substrato impedisce di conficcare i pali (Bussani, 1983); il long-line è un impianto semi-sommerso con filari di lunghezza variabile (da 800 a 2.000 metri), paralleli alla costa, ad una profondità che va da un minimo di 9 a un massimo di 15 metri. Secondo le indicazioni di un’indagine condotta dall’Unimar nell’ambito del Reg. CEE 2080/93, la lunghezza media degli impianti di tipo flottante è pari a 11.342 m di filare per una superficie media di allevamento pari a 32 ha circa. Su ogni filare vengono sospese le cosiddette "calze" (fig. 6), costituite da reti tubolari di polipropilene, con una maglia di 4 cm e una lunghezza compresa tra un minimo di 1 metro ed un massimo di 15 metri, sebbene la maggior parte sia compresa tra 2 e 4 metri, visto che oltre i 4 metri si verificano inconvenienti come rottura delle reste, difficoltà nella manipolazione, ritardo nella crescita.

La lunghezza delle calze è funzione della profondità dell’area, del grado di esposizione al moto ondoso e del carico trofico. Le calze vengono distanziate l’una dall’altra lungo il filare per una lunghezza compresa tra 40-50 cm e 2 m.

In medio Adriatico viene in genere impiegato il filare unico o monoventia, che essendo una struttura più leggera limita gli eventuali danni provocati dalle mareggiate, anche se la resa per ettaro risulta diminuita rispetto alle altre strutture. In altre zone (Golfo di Napoli, Gaeta, La Spezia) invece viene utilizzata la ventia doppia e tripla. L’orientamento parallelo alla costa ha la funzione in primo luogo di minimizzare gli effetti delle mareggiate e in più di consentire lo sfruttamento delle correnti principali, per garantire una distribuzione regolare del nutrimento in tutto il vivaio.

La resa produttiva sia degli impianti fissi che di quelli long-line è di circa 10 tonnellate per ettaro di superficie coltivata. Alcuni studi hanno inoltre confermato che il prodotto derivante da impianti flottanti è commercialmente vantaggioso per la maggior resa in carne rispetto ad un banco naturale (Maffei et al., 1996).

Un ciclo classico di allevamento prevede inizialmente la raccolta dei mitili allo stadio giovanile (seme o novellame) legati fra loro dal bisso e il loro "insaccamento" in delle reti a forma di calza che poi vengono appese sugli impianti; la raccolta indiscriminata dalle banchine portuali o da banchi naturali non sembra adeguata, perché non viene garantita una pezzatura uniforme del prodotto. In genere, gli allevatori sono soliti reperire gran parte del seme dagli stessi impianti di allevamento, su cui normalmente si deposita in quantità e qualora non fosse sufficiente si riforniscono da allevatori specializzati nella produzione di seme. Negli allevamenti, la raccolta dei mitili avviene praticamente tutto l’anno: l’adulto principalmente da ottobre ad aprile ed il novellame nei periodi estivi, quando di solito avvengono i diradamenti. Questi ultimi si rendono necessari perché, man mano che i mitili si sviluppano, si ha un sovraffollamento, che potrebbe portare anche alla morte di tutta la comunità, pertanto risulta necessario ripartire la suddetta comunità su un territorio più ampio. Infatti, dopo circa 2 mesi dalla riproduzione si viene a formare sulla calza un vero e proprio strato di piccoli mitili che, oltre ad influenzare l’accrescimento degli adulti, competendo per l’alimento, appesantisce la struttura, tanto da provocare la caduta sul fondo delle calze e la perdita del raccolto. La perdita delle calze è un fenomeno molto comune e pericoloso nel momento in cui queste vanno ad interferire con altre attività di pesca (fig. 7).

Per portare a taglia commerciale i mitili, in genere possono essere necessari anche diversi successivi innesti. Come brevemente accennato, il buon andamento della produzione mitilicola è tuttavia strettamente dipendente dalle condizioni ambientali; le anossie e le alte temperature estive influenzano principalmente gli allevamenti situati in zone poco profonde e di laguna, in cui è scarso il ricambio dell’acqua. Ad esempio, nell’estate del 1992, nella Sacca di Goro, si è verificata una anossia prolungata, che si è tradotta nella morte di quasi il 100% dei molluschi allevati. Sempre in laguna, l’aumento della portata dei fiumi, osservabile soprattutto nel periodo primaverile, determina spesso un brusco abbassamento della salinità, che può condizionare la crescita o addirittura la sopravvivenza dei molluschi.

Negli ultimi anni, alcune Cooperative hanno stipulato degli accordi con importanti aziende di estrazione, grazie ai quali possono raccogliere e commercializzare i mitili insediati sui piloni portanti delle grosse piattaforme offshore. La raccolta di questi mitili che si insediano sulle strutture immerse, deteriorandole nel tempo, richiede l’intervento di subacquei attrezzati allo scopo.

Un’importante frazione delle catture complessive di mitili è rappresentata dalla pesca sportiva assai diffusa e realizzata senza l’impiego di attrezzatura particolari; per porre un limite alla raccolta indiscriminata di questo bivalve, la pesca sportiva è regolamentata da un Decreto Ministeriale del 1997 che stabilisce in 3 kg pro capite il limite massimo prelevabile in apnea.

Il consumo dei mitili in particolare, e più in generale dei molluschi eduli lamellibranchi, comporta in alcuni casi conseguenze negative per la salute umana (soprattutto se i molluschi vengono consumati crudi o poco cotti); infatti, le sostanze scaricate dall’uomo nell’ambiente marino direttamente o attraverso gli apporti fluviali, si accumulano lungo la rete trofica (bioaccumulo) dai produttori primari (fitoplancton) ai consumatori primari (erbivori) e via via fino ai predatori apicali tra cui l’uomo.

I molluschi bivalvi filtrando notevoli volumi di acqua possono accumulare agenti patogeni responsabili di disturbi intestinali (Escherichia coli, Streptococcus fecalis), di tifo e colera (Salmonella tifii, Vibrio cholerae). La normativa vigente tutela perciò il consumatore, fissando i parametri di inquinamento delle zone acquee nelle quali può esser autorizzata l’attività di mitilicoltura. Le zone di allevamento sono pertanto costantemente soggette al controllo delle competenti autorità. Le condizioni igieniche delle aree di pesca e degli allevamenti vengono stabilite in base alla concentrazione di coliformi fecali nella polpa dei molluschi e nell’acqua; la loro presenza può, quindi, essere un buon indicatore biologico. La normativa, sulla base dei risultati delle analisi suddivide le zone di mare in diverse categorie:

• acque in cui i molluschi raccolti possono essere destinati direttamente al consumo umano (categoria A);

• acque in cui i molluschi raccolti possono essere destinati al consumo umano solo dopo depurazione o stabulazione (categoria B);

• acque in cui i molluschi raccolti possono essere consumati solo dopo lunga stabulazione (almeno 2 mesi) in acque di categoria A (categoria C);

• acque in cui i molluschi non possono essere raccolti.

Tale classificazione viene tuttavia periodicamente aggiornata sulla base dei risultati delle analisi.

Uno dei fenomeni che negli ultimi anni ha causato i maggiori problemi alla raccolta dei mitili e ha costretto le autorità a vietare la pesca del bivalve per lunghi periodi, mettendo in ginocchio le imprese coinvolte, è rappresentato dalle biotossine marine, che, come dice il termine, risultano tossiche per l’uomo. È noto infatti che i molluschi bivalvi e in particolare i mitili, per il fatto di essere organismi filtratori, hanno la capacità di accumulare sostanze estranee, a una concentrazione anche 1.000 volte superiore a quella riscontrata nell’acqua in cui vivono. L’argomento è troppo vasto per essere trattato in questo articolo, tuttavia per "tossicità" si intende l’effetto negativo determinato da una sostanza tossica o da una miscela di tossici, che si manifesta, per un dato sistema biologico, mediante la compromissione di una o più funzioni (sopravvivenza, motilità, fotosintesi, crescita, ecc…). Le biotossine marine vengono sintetizzate nelle microalghe del fitoplancton, del fito-benthos, e nei batteri. Il fitoplancton come detto è il primo anello della catena trofica ed è il principale alimento dei molluschi bivalvi. Tali organismi inglobano una quantità notevole di biotossine eventualmente presenti nel fitoplancton nei propri tessuti, soprattutto nell’epatopancreas; se i molluschi, così contaminati, sono ingeriti da pesci o direttamente dall’uomo si possono avere effetti nocivi sulla salute di entrambi.

Le alghe responsabili di questo fenomeno appartengono principalmente ai Dinoflagellati e alle Diatomee (fig. 8). Le biotossine possono essere distinte in liposolubili e idrosolubili; classificate secondo l’acronimo inglese indicante la sintomatologia, tra le prime si ricordano la DSP (Diarrhetic Shellfish Poisoning), la NSP (Neurotoxic Shellfish Poisoning), e la ciguatossina, mentre tra le idrosolubili la PSP (Paralytic Shellfish Poisoning), la ASP (Amnesic Shellfish Poisoning) e la TTX (tetradotossina).

Le biointossicazioni da consumo di bivalvi attualmente più diffuse al mondo sono la DSP, che determina vomito, nausea e diarrea, ed è causata da dinoflagellate (Dinophysis spp, Prorocentrum, sp e Protoceratium reticulatum) e la PSP, determinata da altre specie di dinoflagellate (Alexandrium, Gymnodinium, Pyrodinium), che comporta invece complicazioni più gravi come parestesie alla bocca, labbra, lingua estremità degli arti, astenia muscolare, perdita di equilibrio e nei casi estremi conduce alla morte per paralisi respiratoria.

Consumo

Il mitilo è uno tra i molluschi più comuni e presenti sui nostri mercati e a tale proposito, l’Ismea-Nielsen indica Mytilus galloprovincialis tra le 10 specie di fresco più acquistate in Italia, gradita tanto ai consumatori del nord, che a quelli del centro e del sud Italia; viene commercializzata viva (confezionata in sacchetti di rete plastificata munite di bollo sanitario), surgelata, sgusciata o preparata in conserva.

Le carni sono gustose e molto apprezzate dai consumatori; nel periodo in cui sono "pieni", i mitili hanno un sapore più dolce, in particolare quelli che vivono nelle lagune dell’Alto Adriatico.

Il prodotto si presenta costantemente in forma aggregata a causa del bisso oppure, se proveniente dagli allevamenti, all’interno di calze di rete, per cui prima di essere commercializzato deve necessariamente esser consegnato ai centri di spedizione; qui vengono realizzate diverse operazioni come la sgranatura, la cernita, il lavaggio, il preconfezionamento (oggi sempre più spesso queste operazione vengono effettuate direttamente sull’imbarcazione) e, a tutela del consumatore, anche i controlli microbiologici del prodotto, per poterne certificare la salubrità, con l’apposizione del bollo sanitario. Inoltre, se le acque da cui provengono i mitili non rispettano ben determinati requisiti microbiologici (acque di categoria A), alcune partite di molluschi, come già anticipato, prima del confezionamento vengono sottoposte ad un trattamento di depurazione, mediante immersione in acqua marina pulita, negli impianti di stabulazione o nelle vasche degli impianti di depurazione. Per accertarsi dell’origine del prodotto, i mitili vanno acquistati in confezioni sigillate con indicata la data di confezionamento ed il nome del centro di spedizione.

Dopo il confezionamento il prodotto, deve essere conservato in condizioni di temperatura controllata (6°C) e trasportato ai punti vendita con mezzi appositamente attrezzati.

I mitili sono ricchi di proteine (11,7 g su 100 g di parte edibile) e il valore nutrizionale sembra variare con le stagioni: come la vongola, il mitilo è ricco di zinco, ferro e magnesio, indispensabili per la formazione delle ossa, per l’attività nervosa e muscolare, ma anche di sodio, potassio e fosforo.

Fra le vitamine bisogna ricordare la vitamina A (54 mg/100 g parte edibile), la B1 (0,12 mg/100 g parte edibile), la B2 (0,16 mg/100 g parte edibile), la B3 (1,60 mg/100 g parte edibile).

Alessandro Lucchetti

Bibliografia

Bombace G. (1977). Aspetti teorici e  sperimentali concernenti le barriere artificiali. Atti del 9° congresso della società italiana di Biologia Marina. Lacco Ameno d’Ischia, 19-22 maggio 1977. 30-41.

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Fabi G., Fiorentini L., Giannini S. (1985). Osservazioni sull’insediamento e sull’accrescimento di Mytilus galloprovincialis Lamk. su di un modulo sperimentale per mitilicoltura immerso nella baia di Portonovo (promontorio del Conero, medio Adriatico). Oebalia, 11 (2): 681-692.

Gramitto M. E. (2001). In: Gramitto M. E. (ed). La gestione della pesca marittima in Italia. Fondamenti tecnico-biologici e normativa vigente. Monografie Scientifiche. Consiglio Nazionale delle Ricerche. 81-148.

La Greca M. (1990). Zoologia degli invertebrati. Seconda edizione. Utet (ed.): 521 pp.

Maffei M., Giulini G., Fabi G., Fiorentini L. (1996). Valutazioni comparative su alcuni parametri di qualità in popolazioni di mitili (Mytilus galloprovincialis Lam.) provenienti da differenti condizioni di allevamento e banco naturale. Biol. Mar. Medit., 3 (1): 242-246.

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