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La pagina scientifica

I denti degli squali

di De Maddalena A.

Negli squali, la morfologia e le dimensioni della bocca e delle sue parti sono strettamente adattate al tipo di prede, nonché alle modalità di cattura e di nutrizione proprie di ogni specie.

Di conseguenza, le 479 specie di squali esistenti mostrano un’ampia ed affascinante variabilità di caratteri, anche a livello della morfologia della dentatura. Solitamente, i denti sono visibili solo ad un esame ravvicinato dell’animale morto, ma vi sono anche alcune specie, come lo squalo mako dalle pinne corte (Isurus oxyrinchus) e lo squalo toro (Carcharias taurus), in cui i denti della mandibola, grandi e notevolmente prominenti, restano sempre ben in vista.

I denti degli squali si sono evoluti dalla modificazione dei denticoli dermici (scaglie placoidi) che rivestono la pelle di questi pesci cartilaginei e, fondamentalmente, ne hanno mantenuta la struttura interna. In sezione, è possibile osservare che ogni dente è composto dalla polpa, più internamente, la quale è protetta dalla dentina, che a sua volta è ricoperta dalla vitrodentina; l’intera struttura poggia su di una base ossea. Il dente presenta una radice e una corona.

La corona s’innalza formando la cuspide principale e, in molte specie, anche delle cuspidi accessorie o secondarie, di norma più piccole. La corona presenta un margine mediale ed un margine laterale, talora notevolmente diversi tra loro, una faccia anteriore ed una posteriore, ove quella anteriore è solitamente più appiattita della posteriore, che è bombata.

Le arcate mascellari e mandibolari non presentano cavità alveolari che ospitino le radici dei denti, le quali sono invece fissate al tessuto connettivo che riveste l’arcata. I denti degli squali si spezzano spesso durante i fulminei e violenti attacchi alle loro prede e a volte rimangono infissi nella carne o nelle ossa degli animali attaccati, compresi i pesci spada ed i tonni pescati con i palangari che spesso portano i segni profondi dei denti dei grandi predatori.

La rottura o la perdita di alcuni denti non costituisce, però, un problema per uno squalo, poiché la natura ha provveduto questi pesci di un eccellente sistema di ricambio dei denti che prosegue per tutta la vita del predatore. Così i denti, sani o rovinati che siano, vengono comunque sostituiti regolarmente in modo automatico.

I denti si formano in una scanalatura presente sul lato più interno delle arcate mascellare e mandibolare. Così, dietro alla prima serie di denti ve ne sono numerose altre (il numero è assai variabile, ma è solitamente di 5-7) in attesa di prenderne il posto; periodicamente i denti della prima serie si distaccano e quelli della serie posteriore ruotano in avanti sostituendoli.

Il periodo di ricambio dei denti è variabile, dipendendo sia dalla specie che dall’età dell’individuo. In alcuni squali balenieri, genere Carcharhinus, il ricambio avviene ogni 8-15 giorni fino al primo anno di età del giovane squalo, quindi rallenta a circa una volta al mese. Alcuni squali riciclano i propri denti ingoiandoli, in quanto costituiscono un’importante fonte di calcio. Solitamente le file di denti funzionali sono la prima o le prime due; ma nelle specie che hanno denti molto piccoli, possono venire utilizzate anche più file anteriori.

Da quanto spiegato, non sorprende apprendere che i denti di squali potrebbero essere i fossili di animali vertebrati più abbondanti in assoluto sul Pianeta.

Infatti, come è ben noto, gli squali sono animali di origini antichissime, essendo comparsi nelle acque del globo circa 400 milioni di anni fa, tra il Siluriano e il Devoniano Inferiore. I più grandi denti fossili di squalo, sino ad ora rinvenuti, sono quelli del celebre Carcharodon megalodon, del Neogene, le cui dimensioni massime si aggiravano probabilmente intorno a 16 metri di lunghezza. Se si pensa al tempo che questi animali hanno trascorso sul nostro Pianeta ed al fatto che ogni squalo, nel corso della propria vita, può cambiare un numero totale di denti che va da 10.000 a 50.000, non si fatica a comprendere come mai i loro resti fossili siano così numerosi.

Ciò appare particolarmente curioso in quanto il resto dello scheletro dello squalo, essendo cartilagineo, fossilizza assai più difficilmente. Di conseguenza, malgrado l’enorme numero di denti fossili a nostra disposizione testimoni una enorme varietà di specie di squali attualmente estinte, ci è quasi sempre impossibile ricostruire la morfologia completa di tali animali.

Il numero di file di denti in ogni arcata mascellare e mandibolare è fisso, mostrando una certa variabilità entro limiti definiti. Così, ad esempio, lo squalo bianco (Carcharodon carcharias) ha una formula dentale che è comunemente 13-13/11-11, ma che può presentare una variabilità da 12-14/12-14 a 10-13/10-13.

Sebbene i denti degli squali presentino una gamma di forme assai ampia, tutti i tipi di denti si possono considerare variazioni delle seguenti tre forme base:

a) denti triangolari, ampi, con i margini taglienti (affilati o seghettati), adatti per tagliare pezzi di prede grandi e resistenti, come balene, tartarughe marine e squali; ne sono un esempio i denti dello squalo tigre (Galeocerdo cuvier) e quelli dello squalo bianco (Carcharodon carcharias);

b) denti stretti, lunghi, appuntiti, ricurvi verso l’interno della bocca, adatti per afferrare rapide prede di dimensioni medio-piccole che vengono inghiottite intere; ne sono un esempio i denti dello squalo mako dalle pinne corte (Isurus oxyrinchus), e dello squalo toro (Carcharias taurus);

c) denti appiattiti, disposti a formare una superficie piana resistente, adatta per spezzare le prede dotate di parti molto dure, come i crostacei e i molluschi bivalvi e gasteropodi; ne sono un esempio i denti dei palombi (genere Mustelus).

In molte specie la forma dei denti della mascella è completamente diversa da quella dei denti della mandibola e, solitamente, i denti superiori sono più ampi di quelli inferiori.

Ciò riflette il fatto che l’uso che lo squalo fa dei suoi denti superiori ed inferiori è fondamentalmente diverso.

I denti inferiori servono solitamente per fissare la presa sulla preda e immobilizzarla, mentre quelli superiori hanno la funzione di tagliarne via un pezzo.

I denti lungo una medesima arcata mascellare o mandibolare sono fondamentalmente simili, sebbene la forma ed inclinazione tenda a mutare gradualmente verso gli angoli della bocca, mano a mano che diminuiscono le dimensioni dei denti. Le specie che, però, hanno una effettiva eterodontia nella medesima arcata sono poche; un esempio tipico ne sono gli squali dalla testa di toro (famiglia Heterodontidae), aventi denti appuntiti anteriormente e appiattiti posteriormente.

Molte specie mostrano uno spazio in corrispondenza della sinfisi, mentre altre in questa area hanno denti piccoli e talora di forma diversa rispetto agli altri.

Le dimensioni dei denti possono variare considerevolmente. Mentre specie come lo squalo tagliatore dai grandi denti (Isistius plutodus), lo squalo bianco (Carcharodon carcharias) e lo squalo mako dalle pinne lunghe (Isurus paucus) hanno denti molto grandi, il gattuccio minore (Scyliorhinus canicula), il palombo liscio (Mustelus mustelus) ed il cetorino (Cetorhinus maximus) hanno denti minuti.

Non sempre le dimensioni dei denti sono correlate alle dimensioni dello squalo che li porta, ma è più facile che siano correlate alle dimensioni delle prede.

Ciò appare evidente confrontando, ad esempio, la piccolezza dei denti del cetorino (Cetorhinus maximus), che può raggiungere 12 metri di lunghezza ma che si nutre di minuto plancton, con la grandezza dei denti dello squalo tagliatore dai grandi denti (Isistius plutodus), che arriva ad appena 42 cm di lunghezza ma che si nutre di enormi pesci e mammiferi marini.

In passato, le dimensioni dei denti degli squali sono state spesso usate per ricavare la lunghezza totale dell’esemplare al quale appartenevano. Tuttavia, seguenti studi hanno mostrato che tale metodologia può essere causa di ampi errori, a meno che non si abbia a che fare con esemplari di piccole dimensioni, per i quali il margine di errore rimane basso.

La forma dei denti varia con l’età dell’individuo, poiché gli squali cambiano dieta crescendo e hanno, quindi, la necessità di disporre di strumenti differenti per catturare prede diverse.

Così, per esempio, lo squalo mako dalle pinne corte (Isurus oxyrinchus) nasce con denti sottili e relativamente fragili, ma crescendo, mano a mano che il suo spettro di prede si amplia fino a raggiungere grandi animali come pesci spada e delfini, i denti divengono più ampi, massicci e solidi.

Vi sono squali che in età adulta hanno denti immediatamente distinguibili, mentre da giovanissimi presentano denti estremamente simili ad altre specie, tanto da essere riconoscibili solo da un osservatore esperto. È questo il caso dello squalo bianco (Carcharodon carcharias), che appena nato presenta denti sottili, dotati di due piccole cuspidi secondarie e di margini lisci, tutti caratteri che scompaiono rapidamente con l’età, ma che a questo stadio li rendono estremamente simili ai denti dell’adulto di smeriglio (Lamna nasus).

Durante l’azione del morso, la morfologia tagliente del dente potrebbe non essere sufficiente a recidere un boccone da una preda di grandi dimensioni.

Ecco allora che molti squali facilitano l’azione del taglio con movimenti potenti della testa, che viene scossa da destra a sinistra. Forse, è proprio questa azione dello scuotere il capo, tenendo salda la presa sul cibo, che molto tempo addietro ha fatto valere allo squalo bianco il suo vecchio nome di "pescecane" (in seguito erroneamente esteso a tutte le specie di grandi squali). Grazie all’associazione di questo movimento con la morfologia della potente dentatura e della robusta muscolatura masticatoria, un grande squalo può tranquillamente recidere bocconi di 20 chili da una preda con un singolo morso.

Gli squali non fanno uso dei loro denti unicamente per fini alimentari. La maggior parte di specie di squali ha pochi predatori, se si eccettuano gli altri squali e l’uomo. Non vi è dubbio che la potenza della loro dentatura sia un deterrente di grande efficacia contro i possibili attacchi di altre creature marine. I denti sono anche usati come arma negli scontri ritualizzati tra squali. Proprio perché questi pesci cartilaginei sono dotati di armi tanto micidiali, è indispensabile che i contrasti, sia tra esemplari della medesima specie, sia tra individui di specie diverse, siano ridotti al minimo, poiché i risultati sarebbero eccessivamente dannosi per entrambi i contendenti. Molti squali recano profonde ferite e vecchie cicatrici di scontri con altri esemplari.

Un altro uso dei denti è quello che ne fa il maschio prima e durante l’accoppiamento: mordendo sulle pinne e la testa la femmina e trattenendola con i denti, la invita alla copula lasciandole delle caratteristiche cicatrici. Al fine di limitare i danni conseguenti dall’accoppiamento, la femmina della verdesca (Prionace glauca) ha sviluppato una pelle che è notevolmente più spessa di quella del maschio.

Alessandro De Maddalena

Presidente della Società Ittiologica Italiana

Curatore della Banca Dati Italiana Squalo Bianco

Bibliografia

Castro J. 1983, The sharks of North American waters. Texas A&M University Press, College Station, 180 pp.

De Maddalena A. 2002, Lo squalo bianco nei mari d’Italia. Ireco, Formello, 144 pp.

Randall J. E. 1986, Sharks of Arabia. Immel Publishing, London, 148 pp.

Stevens J. D. (ed.) 1987, Sharks. Intercontinental Publishing Corporation Limited, Hong Kong, 240 pp.



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