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La comunità  di Castelnuovo Rangone dedica un monumento al suino

di Benedetti B.

Il monumento al maiale.

 

Il miglior amico dell’uomo? A Castelnuovo senz’altro il porcellino. Insomma, nell’antico borgo modenese Piggy batte Fido. Un duello senza speranze. Una preferenza che non nasce da preconcetti verso la razza canina, ma dall’impressionante volano economico e produttivo che viene messo in moto dall’animale rosa con la coda a truciolo.

Castelnuovo Rangone, feudo medievale dei Rangoni, è proiettato ora più che mai verso il futuro. Gran parte del benessere diffuso lo si deve proprio alla lavorazione delle carni suine. Il centro alla periferia di Modena è, a pieno titolo, capitale europea di un settore che movimenta un giro d’affari da far paura. Si tratta di migliaia di miliardi all’anno. Fatturati da favola. E come ringraziare un animale così importante? Un animale dall’aspetto non certo snob ma che crea lavoro e ricchezza. Beh, la scelta non è semplice.

Si tratta di una immensa risorsa, anche se poco nobile. Pensandoci bene, Castelnuovo dovrebbe fare un monumento al maiale. Già, un monumento. L’idea decolla subito e prende corpo. Chi l’ha proposta ha anni di lavoro sulle spalle e sa quello che dice. Il commendator Onelio Benedetti, editore di rango con numerosi nastrini sulla giubba, lancia così il sasso nello stagno. Vengono coinvolti da subito in questa impresa l’Ordine dei Maestri Salumieri di Modena (associazione senza fini di lucro che tutela la qualità e la professionalità nel comparto), l’amministrazione comunale di Castelnuovo Rangone e, soprattutto, l’Ente Interprofessionale Olandese della Carne. Dai Paesi Bassi proviene infatti il maggior numero di commesse e, tanto per non parlare di aria fritta, basti dire che un solo centro produttivo modenese importa dall’Olanda 450 tonnellate di carne suina ogni settimana che Dio manda in terra.

Il monumento al maiale dunque s’ha da fare. Ci si rimbocca le maniche e si inizia a lavorare. Nel giro di pochi mesi tutto quadra. Il grande giorno è previsto per il 14 dicembre prossimo, quando nel centro di Castelnuovo Rangone verrà inaugurato ufficialmente il monumento, opera dello scultore olandese Klaas Jansen. L’Ente Interprofessionale Olandese della Carne gentilmente offre. Una giornata particolare anche per la celebrazione di sua maestà lo "Zampone" che, ormai lo sanno anche i sassi, è il più grande del mondo. E rappresenta il momento clou del made in Castelnuovo.

Tutti contenti dunque. Il sindaco Nadia Paltrinieri e il presidente dell’Ordine dei Maestri Salumieri di Modena cav. Sante Bortolamasi non nascondono la loro soddisfazione. Ora il maiale avrà il suo monumento, proprio nel paese dove ha portato più ricchezza. La cerimonia ufficiale si terrà in piazza Bertoni, a pochi passi dal palazzo municipale, ma la statua verrà spostata in via Garibaldi, a ridosso delle antiche mura. Questo naturalmente appena terminati i lavori di recupero architettonico della zona. Questione di qualche mese.

Un riconoscimento da parte di tutto il territorio modenese, dove da tempi lontani si lavorano le carni suine. Un rapporto, questo del porco e dell’uomo, da sempre vincente, da sempre ben vivo nella nostra società. Tanto da entrare a pieno titolo nella cultura storica modenese. Da essere protagonista delle tradizioni contadine e protoindustriali. Da scandire il passare del tempo e delle stagioni. Ma quando inizia il viaggio di questi due vecchi amici? Cerchiamo di ricostruire il percorso.

Il maiale selvatico (cinghiale) è un animale antropofilo, cioè di antichissimo addomesticamento. Questo diventa nemico dell’uomo quando inizia la civiltà agricola e lo è ancora oggi. Basta ascoltare i lamenti dei contadini appenninici, che si vedono troppo spesso devastati i campi dai branchi di cinghiali che stanno ripopolando le nostre montagne. Ma dobbiamo conoscere il maiale domestico per identificare il vero amico dell’uomo. Inizia a comparire 6-7 mila anni fa, in pieno Neolitico. E rimane una presenza costante a fianco degli antichi modenesi. Il maiale arriva cosi alle famose "Terremare" e diventa uno dei cardini dell’alimentazione dei "Villanoviani". Gli archeologi hanno infatti rinvenuto una enorme quantità di resti di maiali nei fondi delle capanne preistoriche presenti in alcune aree del territorio modenese.

La simbiosi era strettissima al punto che gli studiosi hanno potuto evidenziare tre tipi di suini domestici: un tipo alto di garrese, che forse si avvicinava come fattezze al cinghiale, uno medio, probabilmente macellato intorno ai due anni di età, e un tipo piccolo, facilmente identificabile con un maialino da latte.

La presenza del porco a fianco dell’uomo prosegue ancora ininterrottamente lungo i secoli. Lo troviamo nelle tribù celtiche che abitavano la pianura padana, poi approda alla prima civiltà storica, quella etrusca. Siamo ora nel IX-VIII secolo avanti Cristo. Il maiale viene prima allevato allo stato brado, poi con precise regole intensive dalla civiltà romana.

Il buio Medioevo riporta indietro nei secoli le tecniche ma non allenta i legami tra uomo e suino. Perché un rapporto così stretto? Semplice: si tratta più che altro di convenienza. La presenza infatti dell’immensa foresta di querce che copriva l’intera pianura padana permetteva di allevare a costi zero animali che assicuravano grandi quantità di carni, da sempre preziose e di ottima qualità. I maiali si cibavano infatti di ghiande.

Tanta era l’importanza di questa simbiosi naturale (querce, ghiande, suino, uomo) che l’uomo celebrava veri e propri riti propiziatori. Le scadenze erano fisse e rappresentavano fondamentali momenti di socializzazione e di sacralità pagana. Si iniziava in primavera, quando il frutto della quercia "legava" nel momento in cui la pianta sacra a Giove elargiva i suoi frutti. Poi era ancora festa a novembre, quando si battevano le ghiande; a dicembre poi, vero e proprio evento, entrava in scena la macellazione.

Quindi non ci sono dubbi. Il monumento al simpatico animale rosa è strameritato. In particolar modo proprio a Modena, dove anche in età imperiale le carni suine erano già famose. Dire che lo zampone facesse la sua figura sui banchetti di Augusto sarebbe esagerato, ma di certo Mutina era famosa per la lavorazione della carne di maiale. I Campi Macri, probabilmente Magreta, frazione di Formigine, erano uno dei punti più importanti per il rifornimento delle legioni imperiali.

La tradizione deve essersi conservata, visto che proprio a Modena ha sede uno dei più importanti mercati italiani della carne. La posizione non secondaria della carne suina nella civiltà dei sette colli la si può evidenziare anche dal fatto che la carne di suino faceva parte della triade sus, ovis, taurus. I sacrifici alle divinità venivano eseguiti solo con la carne di porco, pecora e toro. Ma la tradizione iconografica del porcellino continua a navigare nei secoli. Il maiale diventa il simbolo delle tentazioni della carne sotto il cristianesimo. E diventa compagno inseparabile di Sant’Antonio, protettore degli animali domestici.

L’allevamento del maiale prosegue anche nei terribili periodi delle invasioni barbariche e sopravvive anche al dominio dei Longobardi. Anzi, la morte delle città imperiali favorisce il ritorno dei boschi anche nelle zone bonificate dai romani. Ne segue un aumento dei branchi di maiali selvatici che ritornano a popolare le enormi selve di querce di nuovo padrone della pianura. E, naturalmente, a rifornire di carne le popolazioni nel corso di tutto il Medioevo.

Anche il grande incremento demografico dell’anno Mille rende sempre più necessario l’allevamento dei suini. Ci sono più bocche da sfamare e occorre sempre più cibo. Si arriva poi al Rinascimento e qui si iniziano a vedere gli embrioni di quella che diventerà una vera e propria industria modenese, capace di creare impressionanti fatturati. E migliaia di posti di lavoro.

Modena da sempre ha fondato una grossa fetta del proprio settore economico e produttivo sul maiale. Potenti erano, ad esempio, le corporazioni dei Salsicciai e dei Lardaroli dal XVI al XVIII secolo. E tutto il XVI secolo fu teatro del grande splendore dell’arte salumiera in Modona. Certo i maiali avevano un aspetto diverso da quello attuale. In pieno ’500, nella nostra città come nel resto d’Europa, i capi medi non superavano gli 80 chili. Gli animali erano coperti da pelliccia nera, striata e rossiccia. Il suino a cui noi siamo abituati è il risultato di lunghe, difficili e delicate selezioni genetiche portate avanti soprattutto negli ultimi 150 anni. Modena dunque come capitale dell’arte salumiera già in epoca ducale. La corte estense infatti si approvvigionava, per sfamare le circa 500 bocche, esclusivamente dal mercato modenese per la carne di porco.

Salsicce rosse e gialle, salami, prosciutti, coppe, pancetta, mortadella, carne fresca e salata, insaccati. Non mancava nulla. Non per niente l’albero della cuccagna, nelle iconografie di quel tempo, era rappresentato zeppo di queste merci prelibate. Nel mezzo del primo millennio la carne buona veniva vista col binocolo dal popolino, anche se già grande era il consumo da parte della classe nobile e borghese.

Il volano produttivo insomma girava e le tecniche di lavorazione della carne di porco a Modena divennero sempre più raffinate. Tanto che alle nozze di Alfonso II d’Este la città fece arrivare in dono anche 17 chili di salcizzotti gialli e una trentina di salami grossi da quasi un chilo l’uno. Correva l’anno del Signore 1565. A dimostrazione della prelibatezza del prodotto e dell’abilità dei maestri salumieri modenesi. Una tradizione che ancora oggi sopravvive con livelli qualitativi ai vertici delle graduatorie internazionali di settore.

Ma i compiti della corporazione andavano al di là della sola abilità manifatturiera. Alla fine del XVI secolo solo a Modena si contavano 40 maestri salumieri. La corporazione dei Lardaruoli e Salzitiari.

Il rapporto tra Modena e il maiale era talmente stretto che nel 1516 Francesco Guicciardini, governatore della città di fresca nomina, fu costretto a prendere provvedimenti drastici. Anche perché Modona, dilaniata da lotte intestine, era ridotta, secondo le cronache, a un vero e proprio porcile.Tanto che il Guicciardini rimase disgustato perché proprio tra la centralissima via Emilia e corso Canalgrande grufolavano i porci. Il letame veniva poi ammassato sotto i portici. Il nuovo governatore quindi proibì questa mala usanza che era tollerata dai modenesi. Anzi c’era chi apprezzava, attribuendo ai maiali la funzione di "animali spazzini".

La battaglia non ebbe molta fortuna visto che la presenza dei suini dentro le mura era una faccenda spigolosamente ancora aperta quando la corte estense si traferì, nel 1598, nella città di San Geminiano.

Insomma la tradizione del suino è profondamente radicata nelle origini modenesi. Alla metà del ’500 vennero macellati in città 1.214 porci a cui andavano però aggiunti quelli delle campagne. Una mole enorme di capi per quei tempi, che la dice lunga sull’importanza del settore. Ma ancora, scorrendo i secoli, il maiale ha da sempre accompagnato la vita dei modenesi. I contadini avevano una scadenza precisa. A dicembre si macellava il maiale. Si trattava di un vero e proprio evento che veniva eseguito con precise ritualità. La scorta di carne per tutto l’anno iniziava proprio da quel fatto che veniva seguito da tutti con rispetto tra le nebbie invernali. E che è entrato, a tutti gli effetti, nella storia della civiltà contadina delle terre modenesi. Ma un ruolo fondamentale, la lavorazione del suino l’ha avuto anche nella industrializzazione.

Saltando tra la fine del secolo scorso e l’inizio del XX, grandi furono i centri produttivi della nostra provincia. Elaborati i prodotti che ancora oggi troviamo pressoché immutati: zamponi, cappelli da prete, cotechini.Tutto ciò, nei duri anni dell’industrializzazione, ha rappresentato una fondamentale fonte di ricchezza per intere generazioni. Lavorare per la ditta Villani, ad esempio, a Castelnuovo voleva dire tranquillità e moderato benessere. La paga arrivava ogni 15 giorni e i criteri di assunzione, basati più che altro sulle conoscenze personali e sulle abilità professionali acquisite in loco, permettevano a intere famiglie di imparare il mestiere, consentendo poi il decollo nell’ambito artigianale del secondo dopoguerra. Decollo vertiginoso che ha prodotto ricchezza diffusa e che ha fatto diventare il made in Modena delle carni suine famoso nel mondo. Con una gamma infinita di specializzazioni.

Quindi, cari signori, non ci sono dubbi. Il maiale, il monumento, se lo merita eccome, soprattutto a Castelnuovo Rangone, dove ha permesso ciò che, da un punto di vista produttivo, era inimmaginabile fino a poche decine di anni fa. La presenza di una piccola e media impresa sull’intero territorio, ma più che altro nell’antico feudo dei marchesi Rangoni, deve essere celebrata, come del resto deve essere celebrato chi ha permesso tutto ciò: il miglior amico dell’uomo. Il maiale.

Benedetto Benedetti



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