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Giorni di festa

La vigilia: tradizioni gastronomiche del Belpaese da nord a sud

di Scaglioni C.

Si trovano, nella cultura contadina, dei modi di dire empirici dettati dall’esperienza e dalla tradizione in grado di superare, in saggezza, i tanti mezzi di comunicazione di oggi. Un esempio: per individuare come sarebbe stato “il tempo” nell’anno a venire i contadini controllavano le pellicole che avvolgevano gli spicchi dell’aglio; infatti, si pensava che l’aglio si preparasse, con un certo anticipo, a difendersi dai rigori del tempo. Più pellicole c’erano, più l’inverno a venire sarebbe stato duro da affrontare anche per la campagna. Tutto giusto, ma oggi? Con l’aglio in commercio che arriva dai più svariati paesi del mondo diventa veramente difficile orientarsi e fare delle previsioni relative al proprio territorio! E il detto popolare adatto al momento attuale, che suona: “È meglio un lupo nel pollaio che il sole per Natale”, qualcuno se lo ricorda? Nel Natale 2009 il sole l’ha fatta da padrone in tutta l’Italia e non è forse stato il 2010 un anno con catastrofi naturali, specie nella nostra penisola, senza precedenti? Vale la pena di rivalutarli questi antichi modi di dire, anche se, di fronte a certi avvenimenti, si è comunque impotenti.

Si avvicina il Natale e sono molte le padrone di casa desiderose di festeggiare questo religioso e magico periodo dell’anno nel modo giusto, anche dal punto di vista culinario. Sfogliare i propri ricettari alla ricerca di qualche piatto nuovo, ma legato alla tradizione, è quasi obbligatorio. Il rituale, sia della Vigilia che del giorno di Natale, è profondamente radicato nella nostra cultura, intrecciandosi, in questo periodo dell’anno, il senso del divino e del soprannaturale con il bisogno, in ognuno di noi, di credere, amare e sentirsi amati, specialmente dai propri familiari. Da questi sentimenti profondi nasce la necessità di trovarsi riuniti con le persone care intorno alla tavola e chi cucina spera che il suo pranzo venga ricordato come un momento di magica aggregazione. In passato, per la Vigilia, in quasi tutte le famiglie di cultura cattolica, durante il giorno si praticava il digiuno quasi totale, ma nel cenone si mangiava con “abbondanza” di magro e si cucinava il baccalà, il pesce di mare, di lago e di fiume, attingendo a quanto il proprio territorio era in grado di offrire, non esistendo i mezzi di trasporto di oggi. Erano comunque permesse delle “follie”. In alcune campagne del nord, ad esempio, si sosteneva che i tradizionali ed usuali spaghetti con il tonno, piatto tipico e classico della Vigilia, dovessero essere possibilmente “ben concimati” per la gioia dei commensali.

Per assecondare lo spirituale ed interiore aspetto rituale-magico-religioso del momento, si dovevano conservare amorevolmente alcuni pezzi di pane avanzato perché, benedetti dalla Notte Santa, potevano servire, durante tutto l’arco dell’anno, come medicina per aiutare ad alleviare alcuni mali. In montagna poi, dove la povertà regnava sovrana quotidianamente, si celebravano le feste mangiando castagne secche bollite nel latte. E la zucca, cotta al forno con i semi, non doveva assolutamente mancare sulla tavola nelle zone votate a tale tipo di coltivazione perché, nell’immaginario contadino, i semi rappresentavano i soldi e portavano fortuna a chi ne mangiava per la Vigilia. Tale credenza è rimasta viva anche oggi. Ogni regione, paese, campagna ha le sue tradizioni radicate e non vi rinuncerebbe per alcun motivo. Nella sera della Vigilia, infatti, chi ancora possiede un camino, osservando il pezzo di legna che brucia, si trova a riflettere su come si fondono, nel lento consumarsi del ceppo, due elementi propiziatori: il fuoco, con il suo vivace schioppettare, rappresenterebbe la vitalità del sole, mentre il tronco, che pian piano si riduce, simboleggerebbe il vecchio anno in procinto di andarsene con tutte le sue ambasce e i suoi dolori. Nel fondo del cuore, però, dovrebbe trovare posto anche la speranza di un futuro migliore. In Puglia si crede che l’accensione del ceppo simboleggi la distruzione del peccato originale e, come in Basilicata, il pranzo della notte di Natale dovrebbe avere almeno 13 portate. Numero magico che deriverebbe dalla somma dei dodici apostoli più il Cristo. Tutte queste sono tradizioni che vanno mantenute vive e tramandate di padre in figlio.

Interessante è poi analizzare come le varie comunità si preparino, con il loro personale digiuno, alla sera della Vigilia. In alcune famiglie non si tocca cibo per tutta la giornata in modo da arrivare all’abbuffata serale con una grande fame e tanta voglia di festeggiare.

C’è anche chi, appena alzato, si gusta, specie nelle regioni del Nord Italia, un pezzetto di spongata di Brescello, uno dei tanti dolci natalizi tipici, con una bella tazza di caffè forte, o chi, sorbito il caffè, attende il mezzogiorno per mangiare pezzetti di sedano croccante, finocchi crudi, poi la ventresca, insieme alla famosa stortina (o sturteina, come è detta la piccola anguilla marinata, reperibile facilmente nei mercati rionali) e ai pesci “puttanini” (così chiamati per-ché putein, pesci-bambini, di pic-cole dimensioni), e infine chiude questo brevissimo pasto con un bicchierino di Sassolino, liquore per eccellenza della Vigilia, diffuso specialmente nelle zone di Modena e Reggio Emilia.

Il cenone della Vigilia è da sempre un pasto di magro e in quasi tutte le regioni italiane la fa da padrone il “baccalà”, che può essere fritto in pastella, in umido, in insalata, mantecato, anche perché, oltre ad essere molto buono se ben cucinato, fino a pochi anni fa era poco costoso e alla portata di tutte le tasche. Interessante sarebbe entrare in punta di piedi, anche solo per un momento, la sera del 24 dicembre nella casa di un contadino mantovano per osservare i rituali in uso in quelle zone. La persona più anziana della famiglia, prima di iniziare il pasto, gira per le stanze della casa accompagnata da tutti i familiari e le benedice; solo dopo avere compiuto questo percorso e fatto questi gesti di ispirazione sacra dà ai presenti il permesso di sedersi a tavola. Il pasto di solito inizia con i tortelli di zucca conditi con il burro a cui seguono le rane fritte, le lumache in umido, il capitone (anguilla femmina dai 50 centimetri di lunghezza in su e di almeno 500 grammi di peso) cotto al forno o ai ferri, il pesce gatto in umido, il tutto accompagnato da ottime insalate di verdura. Si termina con sughi d’uva, frutta fresca e la buonissima torta sbrisolona. Gli spaghetti, preparati con il tonno in scatola, sono stati una presenza costante nella cucina delle famiglie italiane quando ancora non si riusciva ad avere a disposizione del pesce di mare fresco, mentre oggi i menu, grazie anche alle padrone di casa più aperte alle novità e più preparate, si sono evoluti e raffinati e il pesce di mare la fa da padrone. Si servono le tagliatelle al salmone, il branzino al sale, il carpaccio di tonno, ma, accanto a queste squisitezze, non manca mai il tradizionale capitone perché, senza questa specialità, la Vigilia, nell’immaginario dei presenti, non sarebbe una festa. Uno dei menu più tipici e sontuosi, anche se le finanze non sono delle migliori, è quello napoletano, preparato con attenzione maniacale in tante famiglie del posto. Si inizia normalmente con una insalata di mare o di polipo, purpo ’nzalata, poi si servono i vermicelli alle vongole, il capitone fritto, il branzino al cartoccio o al forno (umettato durante la cottura con una vinaigrette realizzata con aceto forte, olio d’oliva, sale e pepe). Per chiudere in bellezza, dopo tanto buon pesce, si porta in tavola sempre la famosa ’nzalata ’e rinforzo (insalata di rinforzo) realizzata con cavolfiore lessato, scarola riccia, olive nere di Gaeta, sottaceti, condita con aceto di vino bianco, olio, sale, e così chiamata, secondo le credenze popolari, perché, a mano a mano che viene servita, può essere rimpolpata, rinforzata — anche nei giorni di festa successivi — degli ingredienti via via consumati dagli ospiti.

Secondo alcuni studiosi, però, questa interpretazione è un luogo comune da sfatare perché, essendo il cenone un pantagruelico pranzo di magro, una volta si pensava dovesse essere “rafforzato”, quindi integrato, da un’insalata, mancando in tavola altri tipi di verdure. E questo è vero; analizzando, infatti, i menu di altre zone d’Italia si osserva come, alla fine del pasto a base di pesce, vengano servite le verdure o in pinzimonio o fritte con la pastella o cotte al vapore, per equilibrare il pranzo che termina con i dolci locali tipici di questa festa, come gli struffoli a Napoli, il panettone a Milano, o il pandoro a Verona. In tutte le regioni, terminato il cenone, era usanza rassettare la tovaglia e giocare o a tombola o a Mercante in fiera, in attesa dell’ora in cui tutti, grandi e piccini, si recavano alla messa di mezzanotte. I premi, da assegnare a chi vinceva le varie tornate, erano mandarini e frutta secca; cose semplici e di valore più che altro simbolico, ma piene di magia.

Questi usi e costumi, raccontati ai giovani d’oggi, li fanno sorridere, ma chi ha vissuto quei momenti li tiene stretti nel cuore come ricordi meravigliosi e irripetibili in questo mondo in continua evoluzione in cui le tradizioni, valori importantissimi ma senza un prezzo economico, debbono essere tenute strette per cercare di non farle scomparire.


Clara Scaglioni


Curiosità
Per finire vi proponiamo un’altra ricetta a base di pesce, perfetta per questi giorni di festa.


Zuppa di pesce “Notte di Natale”

Ingredienti per 6 persone

Per la zuppa: 12 code di gambero lessate, 1,8 litri di brodo di pollo, 120 ml di Sherry, 2 carote, 3 porri, 1 gambo di sedano bianco, 1 foglia d’alloro, 60 g di spaghettini di soia, 2 albumi, 1 cucchiaio di olio d’oliva, sale e pepe q.b. Per le frit-tatine: 2 uova, 50 g di farina, 3 cucchiaini di prezzemolo tritato, 1 cucchiaino di erba cipollina, 200 ml di latte, olio di semi, sale q.b.

Procedimento. Pulite bene le verdure; tritate 1 carota, 2 porri, il sedano e versateli nel brodo bollente assieme alla foglia d’alloro. Aggiungete gli albumi sbattuti con lo Sherry, mescolate bene, aggiustate di sale e pepe, mettete il coperchio e fate cuocere a fuoco basso per circa 40 minuti, poi togliete il brodo dal fuoco e fatelo raffreddare. Passatelo, filtrandolo con un canovaccio, in un’altra pentola e tenete da parte. Preparate le frittatine mescolando i tuorli con tutti gli altri ingredienti e fate riposare per 15 minuti nel frigorifero. Spennellate di olio una padella dal diametro di 15 cm e, quando è calda, versate metà del composto di uova che farete cuocere a fuoco basso facendo attenzione che la frittatina non prenda troppo colore. Giratela a metà cottura e ripetete l’operazione col composto avanzato. Raffreddate le frittatine, tagliatele a julienne (striscioline sottili) e tenetele da parte. Tagliate ora a julienne il porro e la carota rimasti e fateli bollire per circa 5 minuti in abbondante acqua salata, scolate e tenete da parte. Nella stessa acqua lessate gli spaghetti di soia seguendo le istruzioni della confezione e tenete poi da parte. Mezz’ora prima di servire, riscaldate il brodo aggiustando di sale. Distribuite tutti gli ingredienti precedentemente preparati in 6 fondine o nelle apposite tazze da consommé e versatevi sopra il brodo bollente (fonte: www.mangiarebene.com)



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