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Pesca

La perla del grande blu

di Baverez Blanco J.

L’estate è da poco terminata e, per cercare di allontanare l’idea delle imminenti piogge e dei primi rigori autunnali, ci si ritrova con piacere intorno ad un tavolo a ricordare le vacanze appena trascorse. Casualmente, una semplice frase detta da un’amica di ritorno dal Salento mi ha suggerito il tema per questo articolo. «Ho fatto una mangiata strepitosa di ostriche senza seguire il tuo consiglio, quello di non mangiarle nei mesi senza la “r” (cioè da maggio ad agosto compresi, perché il periodo della raccolta delle ostriche in Francia va da settembre ad aprile, tutti mesi che in lingua francese contengono la lettera “r”, Ndr)». Ho per di più saputo che aveva mangiato ostriche locali e, da francese, mi è sembrato giusto “dare a Cesare quel che è di Cesare”, cioè riconoscere le qualità di questa perla autoctona del mare pugliese. Da tempo volevo accennare alla catastrofe, ormai nota, che ha investito il mercato francese delle ostriche, colpite da una misteriosa moria, ma mi risultava difficile scrivere notizie così drammatiche e solo negative. Finalmente è arrivato il contrappeso, ossia una notizia positiva tutta italiana: si tratta dell’allevamento di ostriche di Manfredonia, il più grande del Mediterraneo, l’unico che commercializza anche all’estero il mollusco made in Italy. Le prime vendite sono iniziate nel marzo 2008, proprio mentre una malattia decimava gli allevamenti francesi su tutte le coste dell’Atlantico, in particolare nel famoso bacino di Arcachon, capitale mondiale di questo mollusco. In Europa la Francia è il maggior produttore di ostriche (ed è quarta nel mondo dopo Cina, Giappone e Corea del Sud), con 20.000 ostricoltori che producono ogni anno oltre 130.000 tonnellate di molluschi, per 270 milioni di euro di volume di affari. Sono gli stessi allevatori che oggi vivono ormai sul filo del rasoio, non sapendo come evolverà questa patologia, che ha messo in allarme anche gli uffici della sanità pubblica.


Di ostriche erano già ghiotti i Romani.

Diverse le ipotesi sulle cause del male: innalzamento della temperatura marina, che avrebbe reso più sensibili i molluschi ai batteri o di un nuovo virus o presenza di un’alga tossica. Si tratterebbe in particolare di alghe tossiche della famiglia dei dinoflagellati, vera minaccia naturale che invade poco a poco, da vent’anni, i mari, riducendo le specie con guscio siliceo. Sono anni, intanto, che viene sconsigliato ai consumatori, per una questione di inquinamento dei mari, di mangiare molluschi selvaggi, bensì di scegliere i prodotti certificati e di allevamento. Gli allevamenti francesi, dai quali proveniva il 90% del consumo italiano, sono ormai decimati e hanno perso in questi ultimi 2 anni dal 40% al 100% della loro produzione. Una vera e propria catastrofe, ma, come ben si sa, la disgrazia degli uni fa la fortuna degli altri! Da sempre ci sono ostriche anche nelle acque dell’Adriatico: ad, esempio, alcuni anni fa, ricordo di essermi imbattuta nel Canale di Lemme a Rovigno — nell’allora Jugoslavia, oggi Croazia — in un’ostricoltura abbandonata da chissà quanto tempo. Le ostriche che mangia allora erano enormi e saporitissime, da cuocere e non da gustare crude. Già i Romani ne erano golosi e si sa dell’imperatore Tiberio, in particolar modo, al quale non si dovevano mai far mancare. Dal Veneto i Romani trasportavano le ostriche nella capitale dell’Impero, legate una ad una perché non si aprissero durante il viaggio, per i loro luculliani banchetti.

Per non parlare delle dozzine di ostriche che Casanova degustava prima delle sue avventure amorose, in quanto esse, pur nell’incertezza scientifica che siano davvero afrodisiache, danno comunque sempre quel fascino e quell’eleganza che si fondono con l’erotismo e il buon gusto. In realtà, che siano afrodisiache non è dimostrabile, ma è innegabile che i Greci fecero nascere Afrodite, che guarda caso è la dea dell’amore, proprio dentro le valve di un’ostrica! Le prime ostriche ad essere pescate nei banchi naturali sono state quelle nei paesi del nord Europa, Francia, Inghilterra e Olanda, ma un’epidemia nell’Atlantico (la storia si ripete…) le ha esaurite ed allora i francesi hanno avuto l’idea di creare questi allevamenti. La produzione francese è essenzialmente composta da Crassostrea Angulata, o ostrica portoghese, e da Crassostrea gigas, l’ostrica giapponese, entrambe conosciute con il nome di ostrica concava. Tutte due sono ovali e allungate, mentre la Ostrea Edulis è la specie autoctona tondeggiante ricoperta di lamelle ondulate, la cui valva superiore è piatta e squamosa, mentre la valva sinistra è concava: è l’ostrica endemica del nostro mare ed arriva fino a 12 centimetri di diametro. Ancora una volta, la specie si adatta all’ambiente: l’ostrica, nell’Atlantico, vive in un ambiente con forti variabili, quali le maree, le onde, le temperature e deve quindi fissarsi bene molto in profondità (40 metri) con la sua forma concava pronunciata per “ancorarsi” e proteggersi. Nell’Adriatico e in Puglia in particolare, invece, si fa una raccolta nei banchi naturali più superficiali.

Tornando all’allevamento di Manfredonia, l’impianto, realizzato nel 2007, è costituito da 20 filari da 1.000 metri ciascuno, con un’attuale capacità di produzione di 4.000 quintali. L’allevamento parte dalla raccolta di ostriche di poche settimane nei banchi naturali della costa pugliese, selezionate e suddivise per pezzature omogenee e mantenute per un anno prima di raggiungere la taglia commerciabile. La tecnica prevede l’impiego di ceste di rete a 10 piani, attaccate ad un trave orizzontale mantenuta attraverso dei galleggianti a 3 metri di profondità; vengono allevate con tempi di crescita assai più rapidi rispetto alle francesi, per la temperatura dell’acqua più elevata e la mancanza dell’effetto marea che ne rallenta lo sviluppo. Particolari che non sono sfuggiti ai cugini d’Oltralpe, che hanno fatto un accordo con l’allevamento di Manfredonia per importare il prodotto nazionale, in modo da soddisfare la domanda in tutto il periodo dell’anno. E ben vengano anche le ostriche a “chilometro zero” allevate in Italia. Il primo impianto avviato una decina di anni fa si trova in Toscana e oggi sfiora i 2 milioni, pari a 15.000 quintali. Il suo successo sta proprio nella freschezza garantita di un prodotto che nel giro di poche ore passa dalla gabbia alla tavola, contro i 5 giorni di viaggio per quello di importazione. Anche in questo caso, la crescita dell’ostrica, il cui seme arriva dalla Francia, è assai rapida e sembra interessare il mercato d’Oltralpe.

Mentre gli italiani stanno quindi lanciando “ostriche nostrane e champagne” (o, perché no, il nostro favoloso spumante), l’ultima raffinatezza francese è “ostriche e Perrier”. Tutti ormai sono terrorizzati dai controlli sulle strade legati al consumo di alcool, così la famosa acqua minerale francese che fa tante bollicine, la Perrier, ha ideato questo abbinamento di lusso assolutamente “non multabile”. Durante l’estate 2009, i Fratelli Rinaldi, importatori, hanno invaso i locali più “in” dalla Riviera Romagnola alla Versilia, dalla Liguria alla Campania, da Torino a Milano, Roma e Napoli con la moda dei calici con cocktail analcolici a base di Perrier serviti insieme ad una degustazione di ostriche. Una buona idea da provare anche in casa…

Josette Baverez Blanco



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