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Analisi di settore

Il settore ittico in Italia: Check-up 2008 di Ismea

Il Check-up del settore ittico italiano fornisce un’analisi della pesca, dell’acquacoltura e dell’industria di trasformazione ittica, attraverso una serie di indicatori economici relativi all’offerta e alla domanda (valore aggiunto, produzione, occupazione e produttività, costi e prezzi, consumi, scambi commerciali). Tali indicatori sono analizzati sia nel contesto nazionale, nell’ambito del più ampio settore agricolo e dell’industria alimentare, sia in quello europeo, in relazione alla dinamica del settore ittico nei principali paesi comunitari. L’estensione dell’analisi al periodo 2002-2007 ha permesso l’individuazione e l’interpretazione dei principali cambiamenti avvenuti nel settore ittico a livello nazionale e internazionale. Per l’anno appena concluso, il 2008, i dati finora disponibili, alcuni stimati, hanno già evidenziato i primi effetti della crisi economica sul settore ittico italiano, effetti che si vanno a sommare alle difficoltà strutturali che soprattutto il comparto della pesca marittima manifesta da diversi anni. Nell’agroalimentare italiano il settore ittico occupa una posizione secondaria, se si considera che l’incidenza della pesca e dell’acquacoltura sull’intero settore primario (branca agricoltura, silvicoltura e pesca) non ha oltrepassato nel 2007 il 5% in termini di produzione e il 5,9% in termini di valore aggiunto.

Anche nel settore industriale il ruolo dell’ittico è assolutamente marginale, se si osserva che nel 2007 il fatturato delle conserve ittiche ha inciso per meno dell’1% sul fatturato totale delle industrie alimentari; ancora più ridotto è il contributo dei surgelati ittici. L’impatto dell’ittico sulla bilancia commerciale agroalimentare appare invece cospicuo: nel 2007, i prodotti ittici hanno inciso per l’11,2% sul totale delle importazioni agroalimentari e solo per il 2,3% sul totale delle esportazioni; oltre un terzo del deficit agroalimentare è stato alimentato dagli scambi di pesci, molluschi e crostacei. Il quadro che emerge dall’analisi della dinamica delle principali variabili economiche del settore ittico non è affatto positivo. Sul fronte produttivo, la pesca nelle acque del Mediterraneo è tornata ad accusare nel 2007 un calo delle catture (–6,5%), dopo il recupero del 2006, in misura tale da determinare una flessione della produzione ittica nazionale (–3,1%). Il calo dei volumi pescati registrato nel 2007 è riconducibile innanzitutto ad una minore attività di pesca, poiché il costo del gasolio, in aumento congiunturale a partire dal mese di marzo e tendenziale dalla seconda metà di settembre, ha scoraggiato le uscite in mare in presenza di condizioni meteomarine non buone. Non meno importante è stata la riduzione dello sforzo di pesca legata alla diminuzione delle imbarcazioni attive, in atto ormai da diversi anni. Nell’immediato futuro si potrebbe avere un’altra consistente contrazione della capacità di pesca, in relazione al piano di arresto definitivo adottato dall’Italia nell’agosto 2008.

Per il 2008 le ultime stime Ismea, sulla base della serie storica dei dati Mipaaf-Irepa, tracciano una consistente diminuzione delle catture, a cui si accompagnerebbe una riduzione altrettanto rilevante dei ricavi delle imprese. Sebbene il costo del carburante abbia manifestato segnali di riduzione a partire da agosto, non emergerebbero segnali di ripresa per l’attività media dei battelli, non solo per il fermo di emergenza temporaneo di trenta giorni sia in Adriatico sia nel Tirreno, ma anche per le sfavorevoli condizioni meteorologiche che si sono verificate soprattutto a partire dalla fine di novembre. L’impatto socioeconomico della riduzione dello sforzo di pesca nel corso degli ultimi anni non è stato affatto irrilevante, se si considera che gli occupati nella pesca marittima sono scesi nel 2007 a poco più di 30.000 unità, quando il settore ne contava 38.000 nel 2002 e, soprattutto, quasi 47.000 nel 2000. Sul calo della manodopera ha probabilmente inciso anche la flessione della redditività del settore, peraltro abitualmente soggetta a oscillazioni perché legata a fattori esogeni (come il clima) che condizionano l’attività di pesca. Sul fronte dei ricavi, dagli ultimi dati divulgati dall’Irepa per il conto economico delle imprese di pesca, risulta nel 2007 una riduzione più elevata di quella delle catture, dovuta sia ad una riduzione dei prezzi medi alla produzione di alcuni dei principali prodotti pescati — primi fra tutti le alici o acciughe — sia ad una variazione della composizione del pescato, che ha visto una minore presenza di specie a più alto valore unitario (gamberi rosa, naselli, pesce spada, scampi).

Con la flessione dei ricavi, in concomitanza di una riduzione dei costi di produzione meno che proporzionale, sono scesi sia i profitti lordi conseguiti dalle imprese, sia la remunerazione del lavoro svolto a bordo: quest’ultima dinamica è da collegare alla lieve diminuzione degli imbarcati registrata nel 2007 e, soprattutto, all’andamento produttivo, per la diffusa applicazione del contratto di lavoro alla parte, dove il salario è strettamente vincolato all’evoluzione delle catture. Nel 2007, il costo del carburante ha inciso per il 51% sul totale di costi sostenuti dalla pesca marittima (al netto degli oneri salariali) e per il 20% circa sui ricavi complessivi di settore. Per il 2008 è facilmente prevedibile un netto deterioramento della redditività di settore: a fine anno, il prezzo medio del gasolio per autotrazione (al netto delle tasse locali) si è attestato a quota 0,705 e/litro, registrando un rincaro di circa il 29% sul 2007. La debolezza della domanda e la concorrenza del prodotto importato sono tra le principali motivazioni alla base della flessione o della stabilità dei prezzi alla produzione di molte specie pescate nel 2007, nonostante la riduzione delle catture.

Diversamente dal comparto della pesca nel Mediterraneo, segnali positivi sono giunti dal comparto dell’acquacoltura che, secondo gli ultimi dati divulgati dall’API, Associazione Piscicoltori Italiani, ha registrato nel 2007 un aumento della produzione del 2,2% in volume e del 4,1% in valore, ascrivibile alla dinamica positiva della venericoltura e dell’allevamento di spigole e orate. Il segmento delle trote, seppure continui ad essere tra i più rilevanti in termini produttivi e di fatturato, risente di un posizionamento penalizzante sul mercato italiano, rispetto sia ai prodotti di importazione più economici (per esempio, il pangasio) sia a quelli che incontrano maggiormente il gusto del consumatore e tali da giustificare, quindi, un prezzo superiore a quello della trota (spigole e orate soprattutto). La flessione della produzione nel 2007 è da ricollegare, però, al calo non solo della domanda interna, ma anche di quella estera. L’andamento di mercato del comparto delle specie ittiche eurialine — spigole e orate — è risultato fino al 2007 complessivamente positivo, anche se fortemente influenzato dalle importazioni: ne è una conferma il basso tasso di autoapprovvigionamento, pari al 39% per le orate e al 34% per le spigole.

Nel corso del 2008, la massiccia presenza di prodotto estero ha influenzato ancora di più le dinamiche di mercato interne, compromesse nella seconda metà dell’anno anche dalla crisi economica in atto. Un’elevata produzione di orate in Grecia si è infatti riversata sul mercato italiano a prezzi molto bassi, con l’effetto di condizionare i prezzi di vendita dei produttori nazionali. L’offerta abbondante di orate è stata assorbita da una domanda interna in forte aumento, anche grazie al ridimensionamento dei prezzi al consumo, mentre sono diminuiti i consumi di spigole: la riduzione del prezzo delle orate potrebbe aver causato una sostituzione fra le due specie, essendo prodotti simili e con le stesse funzioni d’uso. Negli ultimi due anni l’andamento di mercato dei mitili è risultato nel complesso stabile. Si mostra differente, invece, il mercato italiano delle vongole che dipende esclusivamente dalla produzione interna, pescata e soprattutto allevata. Contrariamente al 2007, il 2008 non dovrebbe risultare particolarmente positivo sul fronte produttivo per le morie verificatesi nel corso dell’anno. Ciò potrebbe essere la causa dell’innalzamento dei prezzi medi alla produzione (e, di conseguenza, anche di quelli al consumo), aumento che però si è arrestato nell’ultimo trimestre dell’anno, quando l’offerta è tornata a crescere a fronte di una domanda che ha iniziato, anche in questo segmento, a risentire dell’andamento economico generale.

Nel 2007, la produzione ittica complessiva è risultata in flessione non solo in Italia ma in molti altri Paesi UE, quasi sempre per il calo dei quantitativi catturati. Il quadro che emerge nel comparto della pesca comunitaria non è affatto positivo, se si considera il –3,9% registrato in media dalle catture dell’UE 27 nel periodo 2002-2007, in concomitanza con una riduzione della flotta che, solamente nell’UE 15, si è tradotta nell’espulsione di oltre 10.000 battelli nel quinquennio in esame. Oltre l’eccessiva capacità di pesca, che sarebbe alla base del sovrasfruttamento di molti stock ittici, la flotta comunitaria, come quella italiana, soffre di una scarsa redditività, com’è chiaramente emerso con gli effetti provocati dall’impennata del prezzo del carburante nel corso del 2008. Nel 2007 la produzione dell’industria della lavorazione e conservazione di pesce e di prodotti a base di pesce ha registrato un’inversione di tendenza, dopo la lieve crescita del 2006. Anche il 2008 si è chiuso con un calo produttivo, lieve e in linea con quello dell’industria alimentare, la quale continua a mostrare le sue doti anticicliche in una fase di crisi economica. Le difficoltà incontrate dall’industria ittica italiana, riscontrate anche tra molte altre industrie europee del settore, riguardano in particolare il comparto del tonno in scatola, il più importante in Italia nell’ambito della lavorazione e conservazione di pesci e di prodotti a base di pesce.

Negli ultimi anni, l’aumento dei costi di produzione, per effetto soprattutto del calo delle catture di tonno, ha indotto le imprese italiane, totalmente dipendenti dall’estero per l’approvvigionamento delle materie prime, a modificare le proprie strategie produttive e commerciali: da un lato, l’importazione di tonni congelati sta nuovamente aumentando a scapito dei semilavorati rappresentati dai loins di tonno, meno economici dei primi; dall’altro lato, la necessità di ridurre comunque i costi ha indotto diverse imprese a delocalizzare la produzione in aree vicine alle zone di pesca e dove il costo della manodopera è più basso. Contemporaneamente, diversi marchi da italiani sono diventati stranieri, soprattutto spagnoli. Pertanto, la domanda interna non particolarmente vivace è stata soddisfatta in misura crescente da prodotto estero. L’aumento dei costi energetici ha ulteriormente penalizzato l’industria ittica.

Nonostante la flessione dei quantitativi prodotti sia nel settore primario sia in quello industriale, le importazioni sono cresciute nel 2007 a un tasso inferiore rispetto al 2006, mentre le esportazioni, per la prima volta dal 2002, sono rimaste sostanzialmente stabili, complice anche la riduzione delle catture in mare. Il calo produttivo e la decelerazione delle importazioni ha messo in evidenza, nel 2007, una stagnazione dei consumi interni. La componente domestica della domanda interna ha mostrato un netto rallentamento della crescita (+0,7% rispetto al +4,9% del 2006), a fronte di un lieve aumento dei prezzi al consumo dei prodotti ittici (+1,6%). Il 2008 si è chiuso, secondo le più recenti stime Ismea, con una riduzione della domanda finale: il consumo pro capite dovrebbe essere sceso a 20,6 kg, il livello più basso degli ultimi dieci anni. La diminuzione dei consumi interni dovrebbe aver riguardato soprattutto la componente extradomestica, in quanto gli acquisti domestici di prodotti ittici hanno segnato, complessivamente, un calo dello 0,8% rispetto al 2007, in un contesto generale di tenuta dei consumi alimentari (+0,5%). In particolare, la domanda di pesce fresco ha accusato una netta riduzione (–3,1%); al contrario i consumi di prodotti trasformati sono cresciuti dell’1,7%: fra questi, i congelati sfusi, economicamente più convenienti dei freschi, hanno anche registrato una lieve flessione dei prezzi nel 2008.

Anche il tonno in scatola, per le molteplici funzioni d’uso, ha mostrato una ripresa dei consumi domestici, nonostante il rincaro rilevato nel 2008. I prezzi al consumo dei prodotti ittici freschi, per effetto della debolezza della domanda, non si sono discostati dal livello medio del 2007. Il +1,3% registrato dal prezzo medio dall’intera categoria degli ittici (comunque inferiore a quello dei prodotti agroalimentari) è da legare al rincaro dei prodotti trasformati. Anche gli approvvigionamenti all’estero sembrano aver risentito della contrazione della domanda interna; in effetti, secondo le stime Ismea, il 2008 dovrebbe essersi chiuso con una flessione dell’import, dopo la crescita in atto da numerosi anni. Contestualmente, le esportazioni, stabili nel 2007, dovrebbero aver mostrato, a fine anno, una netta riduzione (superiore al 7%) dovuta anche alla diminuzione della produzione interna. Se tali dinamiche saranno confermate dai dati Istat consuntivi di dicembre, la bilancia commerciale ittica, strutturalmente deficitaria, dovrebbe registrare nel 2008 un peggioramento dei principali indicatori.

A livello comunitario, l’Italia continua ad essere il Paese con la maggiore dipendenza commerciale dall’estero: il livello del deficit è risultato nel 2007 il più elevato con riferimento agli scambi complessivi e a quelli intra-UE; negli scambi extra-UE, l’Italia è preceduta da Spagna, Regno Unito e Svezia. Il ruolo dell’Italia come paese esportatore è assolutamente marginale, con una quota dell’export comunitario scesa nel 2007 al 3,2%. Inoltre, una percentuale estremamente elevata delle esportazioni (78,6% nel 2007) è destinata all’UE: Spagna, Germania, Francia e Grecia assorbono circa il 60% dell’export nazionale. Nei principali Paesi dove si esporta, l’Italia occupa una posizione di fornitore secondario, in quanto i prodotti italiani freschi spesso non hanno un’identità specifica che li differenzi da quelli dei diretti concorrenti e, di conseguenza, possono competere soltanto sul prezzo.

Salvo qualche eccezione (è il caso ad esempio delle alici o acciughe sul mercato spagnolo) la scarsa differenziazione dell’offerta sta, quindi, rendendo la posizione competitiva dell’Italia sempre più vulnerabile alla maggiore presenza di prodotti provenienti da Paesi Terzi, venduti a prezzi più bassi.

Sul fronte dell’import, anche se poco meno del 60% degli acquisti complessivi vengono effettuati nell’UE (la percentuale raggiunge l’80% se si considerano le importazioni di prodotti ittici freschi), negli ultimi anni sono stati soprattutto i Paesi extra-UE a incrementare le vendite in Italia. Ecuador, Thailandia, Argentina, Perù, Marocco, Messico e India sono tra i principali fornitori di prodotti ittici trasformati e negli ultimi anni sono riusciti a conquistare crescenti quote di mercato grazie all’applicazione di prezzi più bassi e in alcuni casi in flessione.

Ezio Castiglione, Responsabile della ricerca

Maria Luisa Spina, Responsabile scientifico

Fabio Del Bravo, Responsabile della redazione

La pubblicazione è scaricabile gratuitamente nel sito www.ismea.it, sezione “Pubblicazioni” – Pesca acquacoltura.



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