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Storia e cultura

Le corride in Italia nel '900

di Gaddini A.

In Italia per secoli si sono disputati combattimenti con i tori in diverse città, la giostra delle vaccine a Roma (Gaddini A., La corrida a Roma, in Eurocarni n. 2/2018, 122-128 pp.), le cacce dei tori a Venezia (Gaddini A., Le cacce dei tori a Venezia, in Eurocarni n. 12/2018, 132-139 pp.) e a Siena (Gaddini A., La caccia de’ tori a Siena, in Eurocarni n. 7/2020, 126-131 pp.) e le vere e proprie corride spagnole a Napoli (Gaddini A., Dilettevoli horrori”: la corrida a Napoli, in Eurocarni n. 11/2019, 154-160 pp.). Questi combattimenti furono nel tempo proibiti, soprattutto per il rischio al quale venivano esposti i giostratori, e a volte il pubblico, e per lo spettacolo di crudeltà che urtava la sensibilità degli spettatori stessi. In tempi più recenti, la vicinanza culturale con la Spagna, dove le corride sono tuttora popolari, ha però spinto diversi impresari a proporre tauromachie sul suolo italiano seguendo il modello spagnolo e di solito con matadores e tori iberici, cercando un difficile compromesso con le leggi italiane al momento in vigore.

Le corride degli anni ‘90

Il 27 aprile e il 4 e 11 maggio 1890 si svolsero a Roma tre corride con gli espada di Siviglia Pedro Campos (detto Perico) e José Hernandez (detto Americano). I combattimenti avvennero nell’Arena Flaminia (detta anche Arena Margherita), in vicolo dei Bagni, appena fuori Porta del Popolo, e una foto dell’epoca mostra spalti semivuoti. I tori per le prime due date provenivano dalla campagna romana, mentre per la terza furono annunciati tori spagnoli. Per mercoledì 14 maggio era annunciata una quarta corrida, con l’uccisione del toro, ma non è chiaro se si sia svolta. Il giornale specializzato spagnolo “El Toreo” del 19 maggio commentò: “i toreri sivigliani che hanno lavorato in alcune novilladas nella capitale d’Italia sono già di ritorno a Siviglia. Da quanto ci dicono, lo spettacolo taurino non ha fatto un buon effetto in quella capitale. Si rinuncerà quindi ad eseguire la serie di corride che si pensava di dare nella Città Eterna”.

A Roma, nello stesso anno, il 6 marzo, ai Prati di Castello (dove oggi sorge il quartiere Prati) il Wild West Show di Buffalo Bill aveva visto la leggendaria sfida tra i butteri laziali e i cowboys americani nella doma di cavalli e nella cattura di vitelli, davanti a circa 20.000 spettatori. Il 10 maggio 1892 a Palermo, nel quadro dell’Esposizione Nazionale, si tenne una corrida in piazza Vittoria, in una struttura simile ad un circo, con seimila spettatori, in una cornice mondana, alla presenza del console di Spagna. I matadores erano Juan Borrell detto el Murulla e José Cazanave el Morenito. La cronaca de L’Illustrazione Italiana del 4 giugno del 1892 racconta che i tori erano quattro e almeno il primo aveva le punte delle corna coperte di gomma. Solo l’ultimo toro era destinato a morire e prima di essere ucciso ferì a morte il cavallo di un picador (all’epoca i cavalli non indossavano protezioni) che fu abbattuto nella stessa arena. Nel pomeriggio di domenica 3 settembre 1893 a Verona ebbe luogo una corrida ispano-landese, un ibrido tra la tauromachia spagnola e l’incruenta course landaise del Dipartimento atlantico francese delle Landes, vicino al confine con la Spagna. Dopo un corteo in costume per le vie del centro, lo spettacolo iniziò allo stile landese, con gli écarteurs che schivavano all’ultimo momento le cariche, per proseguire in stile spagnolo, con la cappa e le banderillas (fonte: Alle5dellasera).

I toreri francesi ebbero un buon successo e la corrida fu ripetuta venerdì 8 settembre. Contrariamente alla prima, per questa fu annunciata con grande risalto “la morte del toro”. In realtà, il torero Pierre Cazenabe detto Félix Robert, risparmiò l’animale, forse per timore di sanzioni. Infatti l’articolo 491 del recentissimo codice penale del 1889, detto “codice Zanardelli”, recitava: “chiunque incrudelisce verso animali o, senza necessità, li maltratta ovvero li costringe a fatiche manifestamente eccessive, è punito con l’ammenda sino a lire cento”.

Le corride del 1923

Nel 1923 si svolse una tournée organizzata da Manuel Vigatà con un gruppo di oltre trenta persone e tori di Antonio Fuentes. La cuadrilla (squadra) era composta dagli espadas Francisco López Parejo, di Lucena, presso Córdoba, detto Parejito, e Alfonso Muñoz detto Corchaito II, con il sobresaliente José Estrella detto Valentino e i banderilleros Diego Hornero Santiago, detto Chatín e Mariano Bejarano Martínez detto Moreno de la Merced. Domenica 6 maggio la corrida si tenne a Roma, allo Stadio dei Parioli, in seguito nominato Nazionale, che si trovava più o meno dove oggi sorge lo Stadio Flaminio, e che più avanti ospitò le partite di calcio delle squadre romane e della nazionale, compresa la finale del Campionato del mondo del 1934 vinta dall’Italia. Secondo alcune fonti la corrida si era svolta al Motovelodromo Appio ai Colli Albani, ma cronache, foto e locandine dell’epoca smentiscono questa tesi.

A breve distanza dalla zona dello stadio, nell’attuale via dei Monti Parioli, il 15 ottobre 1741 si era svolta una tragica caccia dei tori, per devozione alla Madonna dell’Arco Oscuro: un giostratore era stato incornato e un palchetto era crollato, causando morti e feriti (fonte: Lollobrigida).

Allo Stadio dei Parioli le tribune erano divise, all’uso spagnolo, in sol y sombra, ossia posti al sole, più economici, e all’ombra, più costosi. Secondo il cronista del Corriere della Sera la divisione fu eseguita in modo maldestro, tanto che diverse signore dei settori all’ombra si scottarono. La corrida si svolse in un recinto interno al campo da gioco e, probabilmente per evitare problemi con la legge, non si concluse con la morte del toro, mentre le banderillas, invece di essere a punta, per essere conficcate nel dorso del toro, erano incollate con la pece. Ancora il Corriere della Sera, citato da Bocchio, riportò: “il povero Parejito ha l’ordine di non far del male al toro e getta la spada. La corrida sprofonda: fischi”. Tridenti su Il Giornale d’Italia descrive le spettatrici che urlavano al torero “Ammazzalo, ammazzalo!”, mentre la corrida “in accordo con le ansie delle vecchie zitelle legiferatrici” non vide spargimento di sangue, seguendo, secondo l’estensore dell’articolo, “una concezione di vita oltremodo democratica e falsa”.

Gli organizzatori proposero due nuove date, giovedì 10 maggio, giorno dell’Ascensione, e domenica 13 maggio. Per la prima data si verificò una forte richiesta di biglietti, con conseguente bagarinaggio e rialzo dei prezzi, perché era circolata la voce che il capo della Polizia, il generale Emilio De Bono aveva dato l’autorizzazione all’uccisione del toro, che era stata invece negata per la prima corrida. Gli organizzatori promisero un dono ad una istituzione di beneficenza. La seconda corrida vide in effetti la morte del toro, il quinto e ultimo, ucciso da Parejito al secondo tentativo, mentre Corchaito fu incornato, senza gravi danni, e un toro scatenò il panico tra il pubblico, saltando il primo recinto di protezione (Bocchio). Anche la terza corrida vide l’ultimo dei cinque tori ucciso da Parejito.

L’intera cuadrilla fu ricevuta dal papa Pio XI, che impartì la benedizione e donò a ciascuno un rosario, e il 12 maggio la squadra andò anche in visita a palazzo Chigi da Mussolini, che però delegò l’accoglienza al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri Giacomo Acerbo. Parejito regalò al capo del governo il capote de paseo, il prezioso mantello che il torero usa nella sfilata che precede la corrida, e Mussolini contraccambiò facendo consegnare una sua foto e un “artistico” portasigarette d’oro contenente sigarette “Eja”.

Secondo il giornale La Tribuna, Corchaito avrebbe esclamato che anche gli Spagnoli nel loro paese avrebbero avuto bisogno di un Mussolini. Quattro mesi dopo, il 15 settembre 1923, il torero fu accontentato: un colpo di stato di destra portò al potere in Spagna Miguel Primo de Rivera, che governò come dittatore fino al 1930.

Nella seduta della Camera dei deputati del 28 maggio 1923, il deputato socialista cremonese Costantino Lazzari commentò l’incontro tra Mussolini e la cuadrilla: “Quale meraviglia (…) quando abbiamo visto il Presidente del Consiglio andare in estasi per i campioni della boxe, per i toreador che vengono qui a portarci le glorie delle corride spagnole? Tutte esaltazioni della forza brutale considerata come necessità, come utilità per la vita di un popolo”.

Carlo Montani, su Il Messaggero del 7 maggio 1923, paragonò questa corrida ad una caccia ai tori di stile ben diverso, svoltasi un anno prima a Roma in piazza di Siena, a Villa Borghese, con una vacca nostrana, restia a farsi aizzare al combattimento da toreri improvvisati, che avevano appena smesso i costumi da buttero per indossare quelli da comparse della “Carmen” di Bizet.

La tournée proseguì il 27 maggio e il 1o giugno alle ore 16:00 al velodromo di Bologna, che si trovava dove oggi sorge il parco omonimo, dove l’organizzatore allestì 20.000 posti (15.000 dei quali venduti) e si ingraziò le autorità donando 30.000 lire alla Casa del Fascio. Fu messa in atto una potente macchina propagandistica, con automobili che battevano la regione emiliana e quattro aeroplani che lanciarono volantini su Firenze, Venezia, Ancona e Parma. Le corride furono cruente: nella prima Corchaito uccise un toro e nella seconda Estrella e Parejito uccisero un toro ciascuno.

Si proseguì per Verona, il 10 giugno all’Arena. Dei cinque tori l’ultimo era destinato ad essere ucciso ed era stato sorteggiato Parejito, cosa che per la grande mobilità del toro gli riuscì solo al quarto tentativo, con sofferenza dell’animale e pessimo effetto sul pubblico.

Domenica 24 giugno la squadra si spostò al Velodromo del Sempione a Milano, che sorgeva non lontano dall’attuale velodromo Vigorelli, dove 10.000 spettatori circa procurarono duecentomila lire di incasso e dove Parejito uccise il quinto toro. Secondo il quotidiano socialista Avanti! la corrida milanese terminò tra i fischi.

L’8 luglio la corrida fu a Torino, allo Stadium, il più grande d’Europa, e uno dei più grandi al mondo, costruito nel 1911 e demolito nel 1946, che sorgeva nella zona dell’attuale Politecnico. Lo stesso Stadium aveva ospitato il 15 giugno 1913 una “corrida romana”, ossia una riedizione della giostra delle vaccine eseguita da butteri della Campagna romana, oggetto anche di un cortometraggio prodotto dalla Leonardo Film. Lo stesso spettacolo si svolse allo Stadium di Genova il successivo 24 giugno.

Il 26 e il 28 agosto si scese nell’arena a Trieste, in un’arena da 10.000 spettatori costruita appositamente nei pressi dell’ippodromo di Montebello, con tori dell’allevamento di Samuel Flores e con Parejito ed Estrella come espadas e Julio Martinez (Marinero) come sobresaliente. La corrida doveva raccogliere fondi per l’erigendo ricreatorio dei padri spagnoli di via Rittmeyer ed in onore dei marinai della nave della marina di guerra spagnola Jaime, ormeggiata nel porto di Pola. Il 26 Parejito uccise l’ultimo dei cinque tori, la cui carne fu donata all’Istituto dei poveri, mentre il 28 non venne ucciso alcun toro e i primi due tori “svogliati e di cattivo umore” cercarono più volte di saltare la staccionata e rifugiarsi nelle stalle. Ebbe molto successo la gara tra gli spettatori per strappare una coccarda con 250 lire (500 per la seconda corrida) fissata sulla fronte del toro Tollot, che aveva le corna imbottite e spuntate. Inoltre tra i biglietti venduti vennero estratti premi evocativi della Spagna, mantelli, scialli, pettini e spilloni, oltre a una somma in denaro di 500 lire.

Il 9, il 15 e il 16 settembre del 1923, la corrida fu a Bari, in un’arena che, dall’interpretazione di una cartolina dell’epoca, potrebbe essere nella zona della caserma Rossani nel quartiere di Carrassi o nella zona industriale del rione Marconi adiacente allo stadio della Vittoria (fonte: Caruso). I tori furono tre e dopo che una fanfara militare ebbe allietato gli spettatori con marce e inni patriottici, entrarono in scena i matadores: prima Julio Martinez, poi Josè Estrella e infine Parejito, che uccise il terzo toro. Come a Trieste l’organizzazione mise in palio 250 lire per chi, alla fine della corrida, avesse strappato una coccarda attaccata tra le corna di un toro. 

Le corride del 1924

Visto il successo della tournée del 1923, se ne organizzò un’altra l’anno successivo, guidata da don José Estrella. Uno dei toreri era Rafael Rubio Oltra, detto Rodalito, nato nel 1894 a La Roda, presso Albacete, molto apprezzato in patria, che alla fine della carriera divenne impresario taurino.

Parejito tornò nel 1935 a Roma, dove sposò la nobildonna italiana Anna Maria Tedeschi, figlia della contessa Vulpiani, conosciuta a un ballo in un hotel del rettifilo a Napoli. Allo scoppiare della guerra civile era in Spagna e si schierò con il Fronte Popolare. Alla vittoria dei franchisti fu processato e condannato a 15 anni di carcere ma fu rilasciato nell’estate 1941, forse per la sua fama di matador. Rodalito tornò in Italia, trovò impiego all’Ambasciata spagnola e in seguito aprì a Roma una bottega di restauratore. Visse nella capitale fino alla morte, nel giugno 1979, a 85 anni.

Un altro dei toreri era il basco Pedro Basauri Paguaga detto Pedrucho de Eibar (in basco: Petrotxo), nato nel 1893. Ebbe anche lui un seguito italiano, lavorando come attore cinematografico con Francesco Rosi in “Il momento della verità” del 1965 e Florestano Vancini in “I lunghi giorni della vendetta” del 1967, e in altri cinque film spagnoli. 

Il terzo torero era Enrique San Millàn, detto Millanito. Inoltre partecipavano il rejoneador (giostratore a cavallo con lancia) Emilio Ramón Boltañès. I tori venivano dagli allevamenti del marchese di Albaserrada, del Cullar e di José Bono. La tournée ebbe inizio il 1o maggio a Cagliari, allo Stadio Amsicora, inaugurato l’anno prima, dove il torero Pedrucho rimase ferito dal toro.

Nelle domeniche 22 e 29 giugno e 6 luglio si proseguì a Roma, ancora allo Stadio dei Parioli, per raccogliere fondi per i mutilati della prima guerra mondiale, promossa dall’Associazione Romana Mutilati ed invalidi di guerra. Ad ogni spettacolo parteciparono circa 50.000 persone. Alla prima corrida presero parte sei tori, con dieci tra picadores e banderilleros, suonò la banda del 1o Reggimento Granatieri. Nel mezzo della corrida uno scroscio di pioggia rese l’arena scivolosa e quindi pericolosa per i toreri.

A proposito della prima corrida romana, il torero Rodalito raccontò che nel combattimento fu scagliato in aria dal toro, e il pubblico applaudì entusiasta, chiedendo il bis, dato che aveva interpretato l’incidente come un numero acrobatico deliberato, a riprova della scarsa dimestichezza degli italiani con la corrida (fonte: Areva).

La prima corrida terminò con una giostra di amateurs, nella quale un toro con le corna imbottite affrontava “persone del pubblico in maniche di camicia, bretelle e colletto inamidato” che provavano, inutilmente, a strappare una coccarda attaccata sulla fronte del toro (fonte: Il Giornale d’Italia).

La seconda corrida, svoltasi in un giorno di pieno sole, vide l’uccisione di due tori da parte di Pedrucho e Rodalito. Allo Stadio Parioli si ripeté l’inconveniente dei posti all’ombra, risolto al terzo spettacolo con una diversa disposizione. I biglietti andavano dalle 60 lire per i distinti numerati alle 10 lire per i posti più economici. I valori delle lire del 1924 equivalgono a una somma leggermente inferiore agli euro di oggi. Il tour proseguì a Torino, Bologna, in due occasioni a Verona, il 18 ottobre fu a Budapest, poi in altre piazze ungheresi e infine Il Cairo.

Le polemiche

La stampa italiana riportò molte opinioni contrarie alle corride, sia di opinionisti sia di lettori. Una parte delle critiche verteva sulla crudeltà dei combattimenti, che offendeva la sensibilità degli spettatori, mentre altre obiezioni riguardavano l’estraneità della corrida alla tradizione italiana, ma anche la scarsa qualità dello spettacolo rispetto all’originale iberico, con numero ridotto di tori e toreri scarsi e di qualità non eccelsa. D’altra parte i toreri che partivano in tournée per l’Europa e il Sud America lo facevano soprattutto per motivi economici, per cercare all’estero lo spazio che non riuscivano a trovare in patria.

Spesso in Italia, anziché corridas de toros si tennero in realtà delle novilladas cioè combattimenti con novillos, animali giovani e meno pericolosi, destinati ai toreri principianti o meno abili.

La Tribuna Illustrata del 4 maggio 1890, a proposito della corrida del 27 aprile a Roma, scrive: “Il senso di pietà profonda che desta la corrida di Roma è dovuto a un contrasto singolare tra i toreri che sono autentici, e tutto il resto che è falso”.

Il cronista dell’Illustrazione Italiana, commentando la corrida di Palermo del 1892, scrisse che, nel momento dell’uccisione del toro: “alcuni spettatori svengono, altri vanno via disgustati. In generale, si è convinti che codesti spettacoli non sono fatti per la nostra civiltà”. Carlo Tridenti su Il Giornale d’Italia dell’8 maggio 1923, commentando la corrida di Roma di due giorni prima, scriveva “si è trattato, disgraziatamente, di una modesta parodia” che “si è svolta fra gli applausi e i fischi (più fischi che applausi)”.

Il quotidiano La Giustizia nell’edizione del 23 giugno 1923, riferendosi alla corrida di Milano, fu lapidario: “Le persone di buon senso resteranno a casa loro” perché la corrida “per il gusto italiano è una crudele pagliacciata” (fonte: Alle5dellasera).

Per la corrida di Trieste, la Società Zoofila Triestina intervenne presso le autorità perché fosse risparmiata alla città “la parodia indecorosa e brutale di una corrida di tori, spettacolo che ripugna alla civile educazione, alla mentalità equilibrata, all’animo generoso del popolo italiano” (fonte: Il Piccolo).

Le critiche erano molto spesso ironiche, se non sarcastiche. Un cronista de L’Avvenire d’Italia del 29 maggio 1923 commentò, sulla corrida di Bologna: “Per questo, tanto baccano e tanta fatica? Ma per vedere ammazzare un toro c’è il civico macello!”, mentre Avvenire pubblicò la poesiola di un lettore che recitava: “O torero, alfin ti ho visto / pugnalare a tradimento / un torello di Siviglia / che a una pecora somiglia…”.

Si lessero comunque anche commenti favorevoli: il quotidiano Il Piccolo di Roma del 30 giugno 1924, e il Giornale d’Italia del 1o luglio 1924 in articoli identici, al termine di un resoconto entusiastico della corrida di Roma del 1924, conclusero elogiando: “questo spettacolo, che è certo uno dei più interessanti (e nel genere il più interessante), che siano mai stati dati in Roma”.

I cronisti non si trattennero dall’evocare “la baldanza di Escamillo e l’amore appassionato di Carmen per il bel toreador aitante e coraggioso” dell’opera di Bizet.

Sul giornale spagnolo specializzato El Toreo del 7 maggio 1923 il corsivista Escobar si compiaceva del successo della corrida in Italia, ma si scagliava contro i critici italiani, che la definivano uno spettacolo indegno di un paese civile. Escobar riteneva che la corrida non fosse più crudele e violenta del calcio, dell’atletica leggera, delle corse di cavalli o del circo. Va sottolineato che il giornale spagnolo, a parte gli spunti sopra citati, non diede alcun accenno alle corride svolte in Italia, accreditando la tesi che non fossero di grande qualità, rispetto allo standard spagnolo.

Colpi di coda

Nel 1956 in occasione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, il torero Luis Miguel Dominguin, giunto con la moglie Lucia Bosè, intendeva offrire per il 5 settembre una corrida (sia pur benefica e garantita come incruenta) in un’improvvisata arena allestita nel recinto del galoppatoio del Lido, insieme a suo fratello Pepe. Un’associazione zoofila locale si oppose facendo appello alla Legge 12 giugno 1913 n. 611 (legge Luzzatti), che proibiva “gli atti crudeli su animali” e “i giuochi che importino strazio di animali”. L’Ente Nazionale Protezione Animali inviò una diffida al presidente della Biennale e al direttore della Mostra del Cinema riservandosi di intervenire direttamente con le guardie zoofile per bloccare lo spettacolo in caso gli organizzatori lo avessero comunque messo in scena, facendo appello al Regio Decreto 6 maggio 1940, n. 635 che proibiva espressamente la corrida.

Nel 1961 l’imprenditore greco Nicolas Papaioannou, lanciò l’ambizioso progetto di costruire a Torino, in corso Maroncelli, un pueblo español, ossia un villaggio spagnolo di 66.000 m2, che avrebbe dovuto funzionare durante il periodo delle celebrazioni per il centesimo anniversario dell’unità d’Italia.

Erano in programma 48 corride, una per sera nel periodo dei festeggiamenti, in un’arena con 26.000 posti. L’imprenditore fallì e i creditori poterono recuperare solo i materiali di costruzione del villaggio, in gran parte legno. Le corride ovviamente non si tennero (fonte: Callegaro).

Ancora Dominguin preannunciò nel 1972 una corrida nell’Arena di Verona, che comunque non ebbe luogo (fonte: Bocchio). Una decina d’anni dopo, un impresario privato di Napoli vide bloccare una propria iniziativa.

Nel 1985 l’associazione culturale veneziana I Antichi ottenne l’approvazione del Comune per organizzare in occasione del Carnevale un ciclo di tre corride incruente in campo San Polo, il 9, il 10 e l’11 febbraio, in un’arena prefabbricata da duemila posti, in legno e acciaio, con pista di 40 metri di diametro.

La corrida, una novillada senza picadores, avrebbe visto undici toreri delle scuole di Valencia e di Madrid, tra i quali una donna, contro undici tori andalusi, di razza Miura, e contava sull’adesione del sindaco di Madrid Enrique Tierno Galvan (fonte: I Antichi). 

Gli organizzatori e il Comune ottennero dai rappresentanti della Scuola di Tauromachia spagnola una dichiarazione in dieci punti secondo la quale “si tratta di un gioco privo di qualsiasi violenza e non di una corrida” e “non vi sarà alcun tipo di ferimento o danno agli animali prima, durante e dopo la manifestazione”, e “non saranno dati eccitanti o altre droghe” e i tori “non saranno posti in alcuna condizione dannosa per la loro salute, né in alcun modo sottoposti a sevizie”. Inoltre, si impegnarono a destinare i tori alla riproduzione dopo la corrida (fonte: I Antichi), anche se in effetti i tori sopravvissuti alla corrida non si utilizzano mai di nuovo per il combattimento nell’arena, in quanto diventano troppo pericolosi, grazie all’esperienza che acquisiscono.

La lega antivivisezionista nazionale di Firenze aveva indirizzato addirittura una lettera-petizione a Papa Wojtyla, facendo riferimento alla bolla pontificia “De Salute Gregis Dominici” emessa da Papa Pio V il 1o novembre 1567 che prevedeva anche la scomunica per i partecipanti e gli spettatori. Il WWF annunciò che i suoi attivisti si sarebbero incatenati davanti alle stalle dei tori. La giunta comunale rischiò la crisi, e il Comune infine annullò la tauromachia per rispetto alla sensibilità dei cittadini (fonte: I Antichi).

L’articolo 727 del codice penale, nella forma all’epoca in vigore, puniva con l’ammenda da cento a tremila lire: “chiunque incrudelisce verso animali o senza necessità li sottopone a eccessive fatiche o a torture” ed anche che: “la pena è aumentata, se gli animali sono adoperati in giuochi o spettacoli pubblici, i quali importino strazio o sevizie”.

Le norme più recenti

Il primo governo Berlusconi suscitò molte speranza tra gli Italiani favorevoli alla corrida col Decreto Legislativo 480 del 13 luglio 1994, che con l’art. 13 abrogava, tra l’altro, l’articolo 70 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con RD n. 773/1931, che stabiliva: “Sono vietati gli spettacoli o trattenimenti pubblici che possono turbare l’ordine pubblico o (…) che importino strazio o sevizie di animali” e l’articolo 129 del Regolamento per l’esecuzione del testo unico 18 giugno 1931, n. 773, delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con Regio Decreto 6 maggio 1940, n. 635 che stabiliva “Tra i trattenimenti vietati a termini dell’art. 70 della legge, sono: le corse con uso di pungolo acuminato, i combattimenti tra animali, le corride (…)”.

Dieci anni dopo, però, la Legge 20 luglio 2004, n. 189 recante “Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali, nonché di impiego degli stessi in combattenti clandestini o competizioni non autorizzate”, nata per colpire i combattimenti clandestini tra cani, ha modificato il Libro II del codice penale inserendo, dopo il titolo IX, un nuovo titolo IXbis “dei delitti contro il sentimento per gli animali”, che contiene, tra l’altro, l’articolo 544quater (Spettacoli e manifestazioni vietati), che punisce “chiunque organizza o promuove spettacoli o manifestazioni che comportino sevizie o strazio per gli animali” con la reclusione da quattro mesi a due anni e la multa da 3.000 a 15.000 euro, con sanzioni maggiori in caso di legame con scommesse clandestine o se l’animale muore.

La stessa pena detentiva è prevista dall’articolo 544bis del codice, “Uccisione di animali”, che recita, “Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale è punito con la reclusione da quattro mesi a due anni”), dopo la modifica apportata dalla Legge 4 novembre 2010, n. 201, lettera a) del comma 1 dell’art. 3, che ratifica la Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia fatta a Strasburgo il 13 novembre 1987.

Conclusioni

A parte il quadro normativo, decisamente ostile a spettacoli come la corrida, non sembra comunque che in Italia ci sia una vera e propria richiesta di tauromachie e le leggi che sono state varate nel tempo dimostrano che l’opinione pubblica sia più che altro orientata contro dei giochi che coinvolgano in modo violento degli animali.

Andrea Gaddini

Nota

Bibliografie e sitografia sono disponibili chiedendo alla Redazione.



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