it en
Risultati
Benessere animale

Benessere animale in etichetta: il modello britannico

di Quaranta A.

L’interesse e l’attenzione dei consumatori nei confronti del benessere degli animali, specialmente di quelli coinvolti nelle filiere produttive, hanno raggiunto livelli davvero importanti, tanto da influenzare non poco le tecniche di allevamento moderne, risultando anche determinanti nell’ottenimento di un discreto successo sul mercato. Ma come possono gli allevatori far conoscere ai consumatori i propri sforzi organizzativi e finanziari affrontati per produrre in modo etico e sano? E come possono i consumatori riconoscere i prodotti (carne, latte, uova, ittici e relativi derivati) ottenuti da animali allevati in modo totalmente etico e privo di stress, in allevamenti aventi caratteristiche peculiari tali da permettere la libera espressione dei comportamenti naturali di specie? Chi garantisce i consumatori riguardo all’ottimale qualità delle tecniche di allevamento?
Nel Regno Unito i consumatori e gli allevatori, grazie ad un illuminato e costante impegno, hanno trovato già nel 1994 le risposte a queste importanti domande. Prima di descrivere dettagliatamente lo specifico “meccanismo di tutela” inglese, è utile analizzare il point of view della popolazione britannica nei confronti degli animali e del loro benessere.


Era il 1824 quando un gruppo di politici di varie fazioni fonda a Londra, esattamente nel pub Old Slaughter’s Coffee House, un’organizzazione chiamata “Society for the Prevention of Cruelty to Animals” (SPCA) inizialmente impegnata nel migliorare le condizioni di vita degli animali da lavoro, sport e servizio (cavalli da traino militari o di trasporto pubblico); l’iniziativa piace molto all’allora regina Vittoria, monarca di indiscutibile progressismo culturale e molto ben voluta dai suoi sudditi, che nel 1840 rende la suddetta società onorata del Royal Status, modificandone il nome in “Royal Society for the Prevention of Cruelty to Animals” (RSPCA), ancora oggi operante con grande successo (www.rspca.org.uk/home).


Da allora RSPCA ha lavorato costantemente ed ininterrottamente, ampliando le sue competenze e tutele, tanto da arrivare al 1994 (momento successivo all’epidemia BSE) quando, grazie ai recenti lavori scientifici relativi al benessere animale negli allevamenti, pubblica un marchio da etichetta RSPCA Assured (www.rspcaassured.org.uk) che tutela il consumatore, garantendogli che il prodotto deriva da un animale allevato secondo direttive dettate dalla RSPCA e controllate quotidianamente sul campo dai propri ispettori. Chiunque può consultare i welfare standards in allevamento, suddivisi per specie e attitudine (science.rspca.org.uk/sciencegroup/farmanimals/standards).


Accanto a questo rigido marchio di tutela del benessere, nel 2000 viene fondato il Red Tractor Food Assurance (www.redtractor.org.uk), ente di controllo e tutela delle qualità e degli standard produttivi in agricoltura. Il Red Tractor quindi, rispetto alla RSPCA, tutela il consumatore non solo in merito al benessere animale in allevamento e durante la macellazione, ma anche in merito alla tracciabilità delle filiere, all’impatto ambientale dei residui, all’utilizzo dei fertilizzanti e al corretto management degli alimenti destinati agli animali da produzione. Anche in questo caso sono facilmente consultabili gli standard qualitativi previsti da Red Tractor, suddivisi per specie e attitudine produttiva (assurance.redtractor.org.uk).


È facilmente immaginabile che gli allevatori e le aziende che dispongono dell’autorizzazione di utilizzo di questi loghi trovano più facilmente sbocchi di mercato (soprattutto nella grande distribuzione), e possono affacciarvisi con prezzi superiori rispetto alla concorrenza, certi che il consumatore medio è assolutamente consapevole del significato dei due diversi marchi, ed è perciò disposto a pagare un prezzo leggermente più alto pur di consumare, in maniera etica garantita, prodotti ottenuti nel pieno rispetto del benessere animale.
Nel mercato italiano e nelle sue importanti filiere produttive manca un analogo sistema di garanzia: sarebbe auspicabile, pertanto, che aziende o enti, sia pubblici che privati, comincino ad intraprendere un percorso di registrazione di un protocollo etico delle produzioni, una sorta di “marchio di qualità etica”, che verrebbe senza dubbio accolto con estremo favore dalla platea dei consumatori, sempre più consapevole e attenta ai temi etici.


Alfonso Camassa
Endell Veterinary Group Ltd
Salisbury, Wiltshire  UK

Angelo Quaranta
Dipartimento di Medicina veterinaria
Università di Bari



Attiva l'abbonamento

Per abbonarti a una nostra Rivista o acquistare la copia di un Annuario