it en
Risultati
La carne in tavola

Inno alla trippa

di Corona S.

 

Per un certo periodo era quasi caduta nel dimenticatoio. Poi, come è successo per altri piatti e per i tagli poveri, se ne sono riscoperte le virtù. In realtà, i veri cultori della trippa non hanno mai smesso di amarla, ma quello che un tempo era un piatto comune sulle tavole degli Italiani, è diventato, per un certo periodo, cosa rara. Considerata classica pietanza da osteria e, in quanto tale, forse poco meritevole di apprezzamento, la trippa, soprattutto negli ultimi trent’anni, non ha riscosso grandi successi. Fortunatamente, però, una discreta schiera di appassionati amatori non solo ne ha perpetuato il consumo, a dispetto di tutto e tutti, ma si è anche battuta per riconoscimenti importanti come, per esempio, quello di prodotto tradizionale, iscritto all’elenco mi­nisteriale, per la tripa’d Muncalé, salame tipico di Moncalieri.

Miti da sfatare…
C’è voluta la crisi — così com’è accaduto per buona parte delle frattaglie — per ricordare agli Italiani che nel menu della tradizione comparivano piatti sani e gustosi, degni di rientrare in cucina dalla porta principale. Sarebbe interessante sapere quanto le nuove generazioni conoscano questa pietanza che, oltre ad essere presente in maniera marcata in tutte le cucine regionali ed essere un piatto famoso in tutto il mondo, può essere presentata in tantissime varianti. In pochi sanno, ad esempio, che questo piatto economico e pratico non merita la fama di pietanza ipercalorica. La trippa è ricca di proteine e vanta un alto valore biologico, non contiene glucidi o fibre ma abbonda in sali minerali, ferro e vitamine del gruppo B e potrebbe quindi essere impiegata senza problemi in alcune diete, senza fare torto alla linea o al portafoglio.

…e differenze regionali: diverse parti, diversi animali
A seconda della zona di preparazione vengono utilizzate parti anatomiche diverse dell’animale, ma c’è altresì una differenza importante nei condimenti e nei modi per servirla. La trippa può essere infatti preparata dallo stomaco di diversi animali e non in tutte le regioni si usa la stessa parte.
Lo stomaco del bovino, per esempio, è composto da diverse cavità distinte e alcune vengono preferite ad altre a seconda della zona o del gusto personale. Il rumine è la parte più spessa e più grassa e da sola rappresenta circa l’80% di tutto lo stomaco del bovino. Il reticolo invece ha un aspetto spugnoso e la sua forma ricorda una cuffia. La parte più magra è quella dell’omaso che ha una caratteristica struttura lamellare ed innumerevoli pieghe di colore bianco.
Viene infine l’abomaso, l’unica cavità equivalente allo stomaco vero e proprio, fatto un indebito paragone con il corpo umano. Questo taglio, impiegato per esempio per il famosissimo lampredotto fiorentino, è la parte più scura e più grassa della trippa.
Anche in Lombardia e nel Lazio è tradizione consumare l’abomaso: interno nella pajata e tagliato a strisce nella buseca.
Se la trippa di bovino è quella maggiormente impiegata, si sappia che quella del suino e dell’ovino vengono ugualmente utilizzate, così come esiste una tipologia di trippa fatta con il pesce che prevede l’impiego di merluzzo, tonno, spigola, cernia o dentice, seppure con esemplari di una certa dimensione. La materia prima maggiormente utilizzata rimane comunque il rumine di manzo.
Poiché la trippa non può essere consumata grezza, chi non è tanto giovane e ha vissuto negli ambienti rurali non avrà certamente dimenticato il rito (non propriamente piacevole) della sua pulizia: un momento indimenticabile nella vita di campagna, indissolubilmente legato al discutibile odore che essa emanava. Se quella attualmente in commercio è quasi sempre pronta all’utilizzo, ossia alla cottura finale, i meno avvezzi alla materia dovrebbero comunque sapere quale pesante lavoro c’è dietro un chilo di prodotto. Dopo la macellazione il rumine deve essere separato, svuotato, raschiato con una spazzola o con un coltello, lavato e sgrassato con cura e preferibilmente precotto in acqua calda o al vapore, facendo eventualmente seguire questo passaggio ad un altro con l’aceto. È, infatti, difficile preparare una qualsiasi ricetta con la trippa cruda che, seppur pulita, necessita sempre di infiniti tempi di cottura.
In ogni caso, ci si raccomanda di non allungare oltremodo il tempo della prima bollitura per evitare di far perdere al prodotto gusto e qualità nutrizionali. È quindi necessario un lavoro di non poco conto che negli stabilimenti industriali, per ovvie ragioni pratiche, può essere sostituito dall’utilizzo di sostanze chimiche, così come accadeva anche in passato in certi ambienti domestici.

Infinite modalità di preparazione e di ingredienti: dalla trippa alla romana a quella “finta”

Se può sembrare lungo e faticoso il procedimento di pulizia e di prima preparazione, si pensi che la cottura non è meno impegnativa, in qualunque modo avvenga. Di sicuro però sono talmente varie e fantasiose le modalità di preparazione che, pur mangiandone per delle settimane, non c’è il rischio di diventarne mai stufi. Una modalità classica è quella del brodo. E tra le ricette di trippa in brodo si distingue quella alla bresciana, che vede l’impiego di un soffritto di verdure con passata di pomodoro e brodo e una cottura di oltre due ore.
Nella trippa alla madrilena compaiono anche altri ingredienti poveri come il muso di manzo, il lardo, delle ossa di bovino, del prosciutto, dei sanguinacci, delle salsicce locali, aglio, cipolle, olio d’oliva, prezzemolo, alloro, farina, paprika, pepe e sale, per preparare un piatto dove la trippa è solo uno degli innumerevoli ingredienti. Ma anche qui — a conferma del fatto che questo è un ottimo piatto anche quando viene servito freddo — si raccomanda di procedere alla preparazione con un anticipo di almeno 24 ore.
La trippa all’olivetana è invece una sorta di timballo attribuito ai palermitani dell’ordine dei monaci Olivetani, appunto. In una teglia, tra due strati di trippa tagliata a strisce e già cotta in padella con cipolla e pomodoro fresco, si mettono listarelle di melanzane fritte, fette di tuma, uova sode e pecorino grattugiato. Prima di infornare, si spolverizza con peperoncino e altro formaggio grattugiato. La si può mangiare a Palermo, Enna e Caltanissetta.
La trippa alla carbonara è tipica calabrese e prevede che la trippa in umido venga arricchita da cipolle, pomodori, melanzane e patate. A salire, la trippa alla napoletana è preparata con un soffritto di strutto e cipolla, e poi uova battute e formaggio grattugiato. Quella alla romana è invece in umido con pomodori pelati e aromatizzata, in fase di cottura, con menta fresca e poi pecorino romano. La versione tradizionale, detta anche alla trasteverina, prevede, oltre alla menta e al pecorino, l’impiego di sugo di garofolato.
La trippa alla fiorentina si fa con il rumine tagliato a listarelle, rosolato con un battuto di verdure aromatiche e portato a cottura in umido, con pomodori pelati, brodo e chiodi di garofano. Si serve dopo mantecatura nel burro e una generosa spolverata di parmigiano grattugiato e pepe macinato.
In Toscana, a Montalcino, si apprezza anche la trippa allo zafferano che, dopo essere stata preparata nella maniera classica, viene portata a cottura con un po’ di manzo, peperoncino e chiodi di garofano. Solo quando è pronta si aggiunge lo zafferano e, prima di servirla, parmigiano grattugiato.
A Milano invece la trippa è un secondo preparato con l’omaso, l’abomaso e fagioli di Spagna che andranno cotti a parte ed aggiunti in cottura. In Emilia il piatto presenta lievi varianti a seconda della provincia: a Piacenza è proposto con fagioli bianchi lessi, a Bologna con uova battute fresche e parmigiano grattugiato versati a fine cottura; nel reggiano, dopo aver preparato un battuto di lardo e verdure, si cuoce con conserva di pomodoro e si rifinisce con abbondante parmigiano-reggiano grattugiato.
La trippa con le patate è una specialità del leccese, così come quella con le verze è tipica del Polesine.
Le varianti maggiori sono la trippa di rospo, ossia le interiora di rana pescatrice, tipiche della cucina marinara marchigiana, cucinate per lo più con pomodoro, cipolla e maggiorana, come la trippa bovina, e non poteva mancare la trippa di tonno, un’antica preparazione livornese che utilizza lo stomaco di tonno sciacquato più volte in acqua salata e aceto e un soffritto di verdure aromatiche e cottura in umido con pomodoro.
Esiste inoltre la trippa finta che, come dice il nome stesso, di trippa in realtà non ha nulla poiché si tratta di una preparazione ligure a base di uova, farina, grana, sale e pepe, ripassati in un sugo di pomodori e cipolle. Quando invece il termine è utilizzato al plurale si indica un piatto caldo da osteria, tipico piemontese, legato soprattutto a fiere e mercati, come quelle del Monregalese e di Carrù. Poiché la trippa è un piatto estremamente versatile e quindi, a seconda del condimento, adatto a tutte le stagioni, ne esiste anche un versione da gustare fredda in insalata con una serie di varianti sul tema, con ingredienti a scelta.


Sebastiano Corona




Bibliografia
Dizionario delle cucine regionali italiane, Slow Food Editore, 2008.



Attiva l'abbonamento

Per abbonarti a una nostra Rivista o acquistare la copia di un Annuario