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Sicurezza

La sanificazione nell'industria alimentare e negli allevamenti (Nota 2)

di Stefani E.

Disinfettanti chimici

Cloroderivati

Il cloro e i suoi composti possiedono la stessa caratteristica: in soluzione acquosa presentano cloro elementare e acido ipocloroso che si dissocia in ione ipoclorito. I disinfettanti a base di cloro sono i più impiegati nell’industria alimentare e si dividono in inorganici (più usati) ed organici (più stabili) a seconda che provengano da sali a base di cloro o da molecole più complesse. Tra gli inorganici i più attivi e stabili sono i clorurati fosfatici, 3-4% di cloro attivo, commercializzati in forma di polveri, privi di potere schiumogeno, concentrazione d’uso a 100-200 ppm di cloro attivo in soluzione a pH 11.

Diossido di cloro: impiegato per potabilizzare l’acqua.

Ipoclorito di potassio: in soluzione allo 0,5% viene chiamato “acqua di Javel”.

Ipoclorito di calcio: viene attenuato miscelando bene 2-3 parti di cloruro di calce (al 20-30% di cloro attivo) in 100 parti di acqua.

Ipoclorito di sodio: NaOCl, scoperto più di 200 anni fa (“acqua di Labarraque” = soluzione al 5%), è ancora il disinfettante più usato con i nomi commerciali di candeggina, varechina, euclorina, amuchina, ecc… È disponibile sul mercato in concentrazioni che variano tra l’1,5 e il 15%. Il sodio ipoclorito commerciale è una soluzione concentrata di sodio ipoclorito (dal 3 al 5% di cloro attivo) ottenuta mediante processi di chimica di base a basso costo, presenta scarso livello di purezza, notevole instabilità ed elevata alcalinità, privo di potere schiumogeno, spesso viscosizzato con detergenti che facilitano la penetrazione della soluzione nello sporco e ne prolungano i tempi di contatto.

A causa della bassa concentrazione d’uso per la disinfezione e il basso impatto ambientale, l’ipoclorito di sodio è marcatamente più efficiente se comparato con le più moderne alternative di disinfettanti disponibili sul mercato. Questa soluzione economica ha i vantaggi di essere un potente germicida, di essere incolore, di non macchiare (eccetto i vestiti), di non essere velenosa se diluita propriamente e di togliere tutti gli odori. Per la sua larga diffusione è diventata lo standard di paragone per tutti gli altri disinfettanti. Per compiere al meglio il suo dovere, è necessaria una concentrazione di 100-200 ppm di cloro libero con un’esposizione di 10 minuti. L’attrezzatura da disinfettare deve essere immersa per 10 minuti, e poi sciacquata o lasciata seccare per eliminare il resto del cloro. I composti cloroattivi, in soluzione acquosa, danno origine a cloro elementare (Cl), ad acido ipocloroso (HOCl), dotato di un elevato potere ossidante e in grado di danneggiare le cellule microbiche e a ione ipocloroso(OCl). Questi ultimi due originano l’uno dall’altro in funzione del pH della soluzione: a pH acido si origina acido ipocloroso con attività germicida più elevata; a pH alcalino si forma prevalentemente ione ipocloroso la cui attività disinfettante è meno marcata (1:80); il massimo di attività dell’acido ipocloroso si ottiene a pH intorno a 5, che consente solo una dissociazione ionica minima mentre diminuisce a pH superiore. Il potere disinfettante di tutti i composti che liberano cloro viene espresso come “cloro disponibile”, in percentuale per i prodotti solidi, in parti per milione (ppm) per le soluzioni in rapporto alla concentrazione. La varechina contiene già all’origine percentuali variabili di sodio ipoclorito e conseguentemente di cloro; essendo inoltre instabile, non è possibile fare pieno affidamento sulle concentrazioni riportate in etichetta.

Caratteristiche

Ampio spettro ed elevato potere battericida; Gram pos: +++, Gram neg: +++, Micobatteri: ++, Miceti: +, Virus: ++, Spore: ++, Prione: ++.

Basse concentrazioni di cloro producono un marcato aumento di permeabilità della membrana citoplasmatica e, quindi, dispersione degli elementi citoplasmatici vitali; il cloro penetrato all’interno della cellula reagisce con il protoplasma formando composti N-cloro (cloramine) che si accumulano con effetti letali, nel tempo, per la cellula microbica, ovviamente avvengono anche determinati gravi danni nei meccanismi di trasporto delle sostanze nutritive all’interno della cellula. A concentrazioni più elevate, in virtù della spiccata capacità ossidativa del cloro (soprattutto del Cl2 e del HOCl) e a circa pH 5 (a valori inferiori si formerebbe cloro gassoso, molto meno attivo), si ha denaturazione o coagulazione delle proteine strutturali ed enzimatiche della cellula microbica, nonché denaturazione dei gruppi -SH degli enzimi. Nei confronti delle spore il cloro, secondo le concentrazioni relative d’uso, provoca aumento della permeabilità, rottura degli involucri esterni, blocco della germinazione. L’effetto biocida del cloro libero disponibile è evidenziato in Tabella 11.

Numerosi fattori, singoli o associati, condizionano le attività antimicrobiche del cloro: pH, concentrazione, temperatura, materiale organico, presenza di ammoniaca o di composti ammonici, addizione di alogeni, ecc… L’efficacia varia con la temperatura, e sarà migliore a temperature più alte, comunque sono altamente attivi anche a basse temperature, quindi adatti per le celle frigorifere. Sono efficienti anche a basse concentrazioni, questo significa un minore consumo di sostanze chimiche e, di conseguenza, un minor carico per l’ambiente. Entro certi limiti, un incremento del pH riduce l’attività biocida dell’acido ipocloroso, mentre in ambiente acido si ha la massima efficacia, ma questo comporta maggior corrosività per i metalli; la maggiore quantità di acido ipocloroso non dissociato è presente circa a pH 5. Se l’acqua ha pH > 9 occorre controllare la concentrazione di cloro; un pH alto inibisce l’azione disinfettante dell’ipoclorito di sodio allungando i tempi di esposizione. Le sostanze organiche “consumano” il cloro disponibile e ne riducono l’efficacia; le proteine integrano il cloro nella loro molecola formando N-cloro composti (cloramine); i lipidi, soprattutto gli acidi grassi polinsaturi, incorporano cloro in valori ancora più marcati. Il fenomeno dell’incorporazione aumenta con la diminuzione del pH da 8,5 a 5. Anche in presenza di latte il “consumo” di cloro è rilevante. Piccole aggiunte di iodio ne aumentano notevolmente l’attività biocida. Scarsa stabilità alla luce ed al calore, quindi vanno conservati in recipienti ben chiusi, al riparo da luce e calore. La candeggina si degrada col tempo, se non se ne conosce l’età è possibile sapere la concentrazione esatta con un apposito test reperibile presso un fornitore di prodotti per piscine. Facilmente dilavabili (non lasciano residui). Non provocano fenomeni di resistenza nei confronti di virus e batteri perché alcune ore dopo l’applicazione il prodotto è completamente degradato.

Compatibilità

Sono incompatibili con alcune sostanze (formaldeide, tioglicolato, tiosolfato) e, in presenza di acidi (pH < 5), sviluppano cloro, che è un gas tossico, o altri composti che possono danneggiare la salute, perciò deve essere assolutamente evitato l’impiego della varechina insieme all’acido muriatico. A contatto con l’ammoniaca generano un composto irritante (clorammina). Inoltre, a causa dell’elevato contenuto salino, sono particolarmente corrosivi nei confronti delle superfici metalliche, ad es. i metalli leggeri; il cloro può essere impiegato su acciaio inox a temperatura ambiente o a basse temperature senza dar luogo a corrosioni, mentre ad alte temperature e a pH acido può essere molto corrosivo (necessità di stabilizzazione a pH > 8 con NaOH). Non miscelare l’ipoclorito con detergenti, potrebbe dar luogo a reazioni indesiderate. L’ipoclorito è incompatibile (viene neutralizzato con sviluppo di ossigeno) con l’acqua ossigenata. Il cloro può inoltre combinarsi con i composti fenolici e formare i clorofenoli, che danno al prodotto finito un odore di medicinale. I sali dell’acqua (Fe++, Mn++, nitrati) causano la precipitazione del disinfettante e la sua inattivazione. L’ipoclorito è un forte ossidante e può danneggiare abiti o superfici delicate. In caso di contatto con il prodotto puro risciacquare immediatamente e abbondantemente con acqua.

Stabilità e sicurezza

In genere, i prodotti formulati per l’uso domestico, insieme all’ipoclorito contengono altre sostanze stabilizzanti che ne favoriscono la conservazione. In ogni caso, le soluzioni di ipoclorito devono essere mantenute al riparo della luce diretta del sole e in un luogo fresco. In condizioni non idonee, la degradazione dell’ipoclorito in sale da cucina e ossigeno è molto rapida, infatti si decompone dopo 20-30' dalla preparazione e, oltre a causare situazioni di pericolo quali il rigonfiamento delle confezioni e la loro possibile esplosione, può rendere vane le operazioni di disinfezione a causa della bassa concentrazione di principio attivo nelle soluzioni disinfettanti utilizzate, in pratica occorre preparare la soluzione ogni volta. Non disponendo di attrezzature di laboratorio adeguate, per verificare se una soluzione di ipoclorito contiene ancora materia attiva, è possibile fare alcune semplici prove.

Prova con acidi. In un bicchiere di vetro mettere alcune gocce di acido cloridrico di tipo commerciale (muriatico), aggiungere poca acqua e, con molta precauzione, alcune gocce di ipoclorito da controllare. Se è ancora presente la materia attiva, si svilupperà cloro sotto forma di gas che renderà la soluzione ambrata e stazionerà come gas pesante sul pelo del liquido. Attenzione: il cloro è un gas tossico, questa prova deve essere effettuata con molte precauzioni evitando di respirare i gas che si sviluppano. Indossare guanti e occhiali di sicurezza.

Prova con acqua ossigenata. In un bicchiere di vetro mettere alcune gocce di acqua ossigenata (quella disponibile per la disinfezione delle ferite va bene) e aggiungere con precauzione la soluzione di ipoclorito da provare; se la materia attiva è ancora presente si noterà un energico sviluppo di gas (il gas che si sviluppa è ossigeno, quindi non è pericoloso). È opportuno comunque indossare occhiali di sicurezza per evitare che eventuali schizzi provocati dall’effervescenza della soluzione possano entrare in contatto con gli occhi o le mucose.

I composti organici (cloramine, clorocianurati) sono costosi, necessitano di lunghi tempi di contatto, ma sono meno aggressivi nei confronti dei metalli. Consentono una disponibilità di cloro attivo di 750 mg per litro d’acqua solo se impiegati alla concentrazione minima del 2%. La cloramina T è una polvere cristallina bianca contenente circa il 15% di cloro disponibile; rispetto agli ipocloriti è meno irritante, mantiene più a lungo il cloro, non reagisce rapidamente col materiale organico, è meno corrosiva sui metalli, è più stabile al calore e alla luce; tuttavia manifesta un’azione biocida molto più lenta.

Gli isoclorocianurati di sodio e di potassio e gli acidi isocianurici, sviluppati negli anni 50, sono prodotti a elevatissimo contenuto di cloro (40-60%) in grado di fornire una sorgente solida e più stabile di cloro attivo. Caratteristiche, efficienza e compatibilità sono equiparabili all’ipoclorito. Vengono principalmente utilizzati nelle piscine, nei detergenti per lavastoviglie, nei disinfettanti per i bagni, negli ospedali, nelle mense, ecc… Sono poco usati nell’industria delle carni.

Modalità e concentrazioni d’uso

Efficienza e concentrazioni d’uso sono equiparabili a quelle indicate per l’ipoclorito di sodio. Il fabbricante deve riportare sempre sulla confezione la concentrazione di cloro per pastiglia e le diluizioni necessarie per le diverse applicazioni.

Nota

Spesso, dopo l’uso di ipoclorito, la pelle delle mani rimane impregnata di un odore sgradevole di cloro; un semplice modo per rimuovere i composti clorurati che si sono formati è quello di lavarsi con una soluzione di acqua ossigenata avente una concentrazione del 2-3%. Al termine dell’operazione è bene risciacquare abbondantemente con acqua corrente. Se possibile, applicare una crema idratante; sia l’ipoclorito che l’acqua ossigenata sono molto aggressivi nei confronti della pelle.

Iodio

Lo iodio non esiste libero in natura, ma lo si trova come ioduro o come iodato di calcio. Lo iodio elementare è un alogeno leggermente solubile in acqua. La sua stabilità in acqua è aumentata dall’aggiunta di ioduri alcalini. È noto da oltre un secolo come valido battericida, sporicida e virulicida, ma solamente se sciolto in alcool. In tal caso è anche un buon agente contro i micobatteri. Lo iodio agisce anche contro le cisti dei protozoi e contro le spore. Il risciacquo deve essere accurato per evitare la persistenza di residui. Lo iodio da solo è un ottimo disinfettante, ma macchia quasi tutto ed è irritante per la pelle ed altri tessuti. Perciò oggigiorno sono più usate le soluzioni di iodio complessato con carrier ad alto peso molecolare; queste soluzioni sono dette iodofori. Il carrier ad alto peso molecolare in genere è un polimero neutro (polivinilpirrolidone, glicoli poliesteri), cioè una molecola fatta da un grande numero di atomi organizzati in una struttura ripetitiva. Il complessamento dello iodio con il carrier polimerico ha tre funzioni principali. Primo, aumentare la solubilità dello iodio, che allo stato elementare ha una solubilità molto bassa, e la combinazione con i polimeri la aumenta notevolmente. Secondo, il complesso iodio-carrier fornisce una riserva di iodio autoregolata, poiché lo iodio resta legato al carrier finché la concentrazione di iodio libero in soluzione scende sotto un determinato livello di equilibrio. Per ultimo, l’equilibrio forma libera/forma complessata mantiene basso il livello di iodio libero, ma è sufficiente per l’eliminazione dei microrganismi. Perciò l’altrimenti tossico iodio può essere usato tranquillamente nell’industria alimentare. Tutti gli iodofori sono prodotti con un procedimento a freddo, senza aggiunte esterne di calore. Questo processo avviene in ambiente acetico e il risultato finale del complesso ha pH circa 3 in relazione al carrier impiegato. Alcune formulazioni contengono anche acido fosforico e sono prodotte principalmente per l’industria casearia dove l’aggiunta di acidi aiuta a disciogliere i depositi di calcio derivati dal latte. Le formulazioni per alimenti, invece, non contengono acidi aggiunti, garantendo una più facile maneggiabilità del prodotto; in queste lo iodio è legato a tensioattivi non ionici che abbassano la tensione superficiale dell’acqua favorendo la solubilizzazione dello iodio e stabilizzandolo. L’immersione per 10 minuti in una concentrazione di iodio libero di 12,5 ppm uccide la maggior parte dei microrganismi presenti sull’attrezzatura. Una tale concentrazione ha un colore marrone scarico, utile per valutarne l’efficacia; se la soluzione perde colore, non contiene abbastanza iodio libero. Quando lo iodoforo viene diluito in acqua fredda si forma un equilibrio fra la forma libera (misurabile) e quella legata, lo iodio libero raggiunge subito il suo massimo e poi inizia a calare. La WestAgro Inc. of Kansas City, MO, il fabbricante dei principali iodofori reperibili in commercio, indica come quantità massima di iodio libero (che uccide i microrganismi) raggiungibile in acqua di 75 ppm, non c’è quindi nessun vantaggio a usarne di più.

Caratteristiche

I principi attivi delle soluzioni di iodio puro sono: lo iodio molecolare, l’acido ipoiodoso, lo ione triioduro e lo ione ipoiodito. Tuttavia il vero agente antimicrobico pare sia rappresentato dallo iodio libero, cioè nella sua forma molecolare, che è in grado di attraversare rapidamente la parete cellulare dei microrganismi. La reazione più importante coinvolge l’ossidazione del gruppo zolfo-idrogeno nell’amminoacido cisteina e in seguito a ciò il microrganismo non è più in grado sintetizzare le proteine e muore. Ampio spettro d’azione, es. un’esposizione di 10 minuti a 15 ppm uccide il 99,999% dei microrganismi contaminanti per l’ambiente birrario.

Poco solubili in acqua, quindi associati a tensioattivi.

Compatibilità

Le proteine e altre sostanze organiche legano lo iodio e non lo rendono disponibile per la disinfezione. I composti contenenti zolfo, inoltre, sono ottimi inibitori dello iodio.

Sufficientemente efficaci anche in presenza di acque dure.

Vanno bene su plastica e acciaio, ma sono sconsigliati con alluminio, rame, ottone e ferro.

Stabilità e sicurezza

Sono instabili al di sopra di 40°C, devono essere impiegati in ambiente acido e colorano di giallo le superfici per reattività con residui di sudiciume proteico.

Hanno odore pungente, sono costosi, irritanti e corrosivi.

Modalità e concentrazioni d’uso

L’azione dello iodoforo è inibita se il pH è fuori dal range 3-6. Il raggiungimento di questi valori non è difficile, vista la natura acida dello iodoforo, ma se il pH dell’acqua è molto alto (più di 9) occorre controllare il pH della soluzione dopo aver aggiunto lo iodoforo e, se fuori intervallo, l’acqua deve essere acidificata sotto pH 9 con acido fosforico o citrico, dopodiché si può aggiungere lo iodoforo.

Il trattamento con iodofori deve essere preceduto da un trattamento detergente con prodotti alcalini e quindi da un ottimo risciacquo, infatti dopo un trattamento alcalino, l’ambiente acido risulta molto più letale per i microrganismi.

Preparare solo la quantità di soluzione strettamente necessaria perché lo iodio è volatile e tende ad allontanarsi dalla soluzione, che perderà così il suo potere. Le soluzioni di iodoforo conservate per molto tempo perdono il colore. La soluzione avanzata deve essere stoccata in un vaso di vetro con chiusura ermetica, oppure in una bottiglia di plastica PET ben chiusa. La soluzione così conservata resterà stabile per circa una settimana. Non deve essere tenuta in altri tipi di plastica, perché assorbiranno lo iodio rapidamente, oppure lasceranno scappare lo iodio attraverso le pareti permeabili ai gas.

Sostanze che liberano ossigeno

Acqua ossigenata

L’acqua ossigenata (perossido di idrogeno) è uno sbiancante, è considerata un disinfettante efficace e sicuro, ma è meno efficiente ed uccide meno microrganismi dell’ipoclorito. Uccide i microrganismi tramite ossidazione e cioè con una specie di combustione controllata.

L’acqua ossigenata genera perossidrili liberi che attaccano le molecole biologiche ossidandole e quando viene a contatto con la materia organica (microrganismi, proteine) si divide in ossigeno e acqua. La sua efficienza viene largamente influenzata dal pH della soluzione di lavaggio e da alcune impurezze o enzimi che possono essere presenti.

Un semplice metodo per aumentarne l’efficienza ossidante, quindi antibatterica, è quello di aumentare il pH della soluzione in uso. Nel recipiente in cui si prepara la soluzione da utilizzare, aggiungere la quantità di acqua ossigenata richiesta, quindi aggiungere 1 cucchiaio di carbonato di sodio (Soda Solvay) per litro d’acqua e agitare fino a completa dissoluzione, da utilizzare subito perché la soluzione non è stabile per lungo tempo.

Nel caso si volesse incrementare ulteriormente l’efficienza dell’acqua ossigenata, sostituire la Soda Solvay con la soda caustica; sul mercato esiste sotto forma di soluzione o in perle per sgorgare i lavandini. In questo caso aggiungere mezzo bicchiere di soda caustica in soluzione o in perle e fare l’applicazione entro un’ora dalla preparazione (questa soluzione è molto reattiva e instabile).

Prestare attenzione alla composizione dichiarata sulla confezione di soda caustica in soluzione; se contiene ipoclorito non miscelare con l’acqua ossigenata; si neutralizzano a vicenda perdendo l’efficacia antibatterica.

Norme di sicurezza

Nota 1: la soda caustica è corrosiva e deve essere maneggiata seguendo le istruzioni indicate sulla confezione. Durante l’applicazione, indossare guanti di gomma e occhiali di sicurezza. In caso di contatto con gli occhi o la pelle risciacquare abbondantemente con acqua di rubinetto e consultare il medico.

Nota 2: il pH elevato rende particolarmente attiva e instabile l’acqua ossigenata. Non aggiungere mai soda caustica o Soda Solvay alla confezione originale dell’acqua ossigenata. Nel giro di poche ore potrebbe svilupparsi molto ossigeno che sarebbe in grado di far esplodere la confezione.

L’ulteriore aggiunta di un tensioattivo alla soluzione di acqua ossigenata ne aumenta le proprietà bagnanti (penetra meglio nello sporco e negli interstizi della superficie da disinfettare), quindi ne incrementa l’efficienza disinfettante. A tale scopo basta aggiungere alla soluzione disinfettante uno spruzzo di un qualsiasi prodotto per lavare i piatti a mano.

Caratteristiche

Il prodotto è disponibile sul mercato in diverse concentrazioni: 3%, 5%, 12% e 35%. Quest’ultima soluzione è altamente instabile e deve essere conservata in frigorifero. Non lascia residui perché si trasforma in ossigeno e acqua, quindi non esiste il problema della risciacquabilità

Recentemente sono stati introdotti sul mercato alcuni prodotti commerciali a base di acqua ossigenata (dal 3 al 5% di attivo). Tali formulati hanno il vantaggio di un’azione sinergica tra l’acqua ossigenata e il principio detergente (disinfezione + aumentata capacità bagnante della soluzione); sono quindi molto adatti per la pulizia.

Compatibilità

Il prodotto è un forte ossidante ed è incompatibile con alcune superfici. Nel caso in cui venga utilizzato su metalli è opportuno risciacquare abbondantemente dopo la disinfezione. L’ossigeno attivo dell’acqua ossigenata può essere disattivato dalla catalasi (è un enzima contenuto nelle carni e in modo particolare nel fegato) e dai metalli in tracce (ferro e rame in particolare). Per cui è sconsigliata la sanitizzazione di superfici sulle quali è stata trattata la carne: il sangue e i residui di carne potrebbero disattivare l’acqua ossigenata prima che sia stata ottenuta la disinfezione.

Stabilità e sicurezza

L’acqua ossigenata tende a degradarsi e a perdere la sua efficacia quando non viene mantenuta nelle condizioni di stoccaggio ideali: in luogo fresco e lontano da contaminazioni. Un segno evidente della degradazione del prodotto è il rigonfiamento delle bottiglie di plastica che lo contengono. Non rimettere mai la parte di acqua ossigenata non utilizzata nella bottiglia originale.

Modalità e concentrazioni d’uso

Vista la bassa efficienza dell’acqua ossigenata per la disinfezione, è opportuno utilizzare il prodotto puro per disinfettare oggetti o piccole superfici, sia che si tratti di acqua ossigenata tal quale sia che si tratti di prodotti formulati. Una soluzione al 3%, reperibile in drogheria, ucciderà la maggior parte dei batteri in circa 10 minuti. Come menzionato precedentemente, l’aumento del pH e l’aggiunta di un detergente, ne aumentano l’efficienza.

Considerando il costo elevato, l’acqua ossigenata ha applicazioni limitate; è utilizzata di preferenza per sterilizzare il materiale di confezionamento prima del riempimento asettico, per esempio contenitori del latte Uht.

Acido peracetico

I disinfettanti a base di acido peracetico sono formati da miscele di acido acetico, acqua ossigenata e acido peracetico. È disponibile in commercio in soluzioni al 40% opportunamente stabilizzate.

L’acido peracetico nell’ambiente si scinde, in breve tempo, in acido acetico, ossigeno e acqua ossigenata. Di queste molecole, di per sé già singoli agenti antimicrobici attivi, l’acido peracetico è molto più attivo.

Sono molto usati negli impianti CIP (Cleaning In Place: indica la pulizia e la disinfezione automatica delle parti interne di apparecchiature, recipienti, serbatoi, tubazioni eseguita mediante pompaggio di soluzioni adatte. È utilizzata ad es. nell’industria del latte per camion, silos, impianti, tubature,…).

Caratteristiche

Incolore, corrosivo, con un caratteristico odore pungente.

Come altri peracidi organici, l’acido peracetico produce un’azione ossidativa irreversibile che altera i componenti cellulari.

Ampio spettro di azione; battericida a concentrazioni dello 0,0001% e fungicida allo 0,0003%; è sporicida a concentrazioni dello 0,3% in non meno di l0' (non risulta molto attivo contro le spore carbonchiose). A concentrazioni dell’l% uccide batteri, funghi, spore, virus e toxoplasmi entro l0'; è uno dei disinfettanti più attivi contro gli stafilococchi coagulasi +, E. coli, Proteus vulgaris e Pseudomonas aeruginosa. Ha una buona attività battericida contro i micobatteri.

Compatibilità

Compatibilità con l’acciaio inox, alluminio, teflon, polistirene e polietilene (ma non con: rame, zinco, bronzo, cemento ed intonaci alla calce).

Facile inattivazione ad opera di materiale organico.

Stabilità e sicurezza

Allo stato puro è esplosivo e la sua instabilità è favorita dalle alte temperature e dalla presenza di ioni di metalli pesanti.

Le soluzioni commerciali, generalmente al 40%, esplodono se portate a temperature superiori a 70°C).

Modalità e concentrazioni d’uso

Attività a basse temperature (T massima di utilizzo = 40°C ).

La non perfetta chiusura dei recipienti ne determina la scissione in acido acetico e ossigeno, riducendone pertanto drasticamente le proprietà disinfettanti.

Per neutralizzare l’acido peracetico vanno bene: acido ascorbico, bicarbonato sodico, soda caustica, ecc…

Permanganato di potassio

Il permanganato di potassio (KMnO4) si presenta in piccoli cristalli di color violaceo molto solubili in acqua. È un agente ossidante con ampia attività antimicrobica: battericida allo 0,03% dopo 1 ora, fungicida allo 0,01% e virulicida tra 0,001 e 0,1%; la soluzione in acqua libera ossigeno allo stato nascente con attività disinfettante molto transitoria, quindi va preparata estemporaneamente.

Quaternari d’ammonio (quaternari o QAC)

Si tratta di tensioattivi (surfactants) cationici. Le caratteristiche chimico-strutturali dei composti dell’ammonio quaternario ne definiscono l’impiego e dipendono dal tipo e dal numero di radicali alchilici e arilici presenti nella molecola.

I più impiegati a livello industriale sono il benzalconio cloruro (sapocitrosil, detergil) ed il cloruro di dimetildidecilammonio; fanno parte di questo gruppo anche il benzoxonio (bactofen) e la cetrimide.

Caratteristiche

Come tensioattivi cationici possiedono le seguenti proprietà:

riducono la tensione superficiale nel punto d’assorbimento;

sono prontamente attratti e rapidamente assorbiti su superfici che abbiano carica elettrica negativa (lana, vetro, proteine, batteri, ecc…);

formano aggregati ionici o micelle con concomitanti variazioni nella conducibilità elettrica, tensione superficiale e solubilità.

Come disinfettanti possiedono le seguenti proprietà antimicrobiche:

effetto denaturante, complessante e precipitante sulle proteine;

effetti sulle reazioni metaboliche, con particolare azione sulla respirazione aerobica e anaerobica del glucosio in vari batteri e sull’ossidazione del lattato in alcuni batteri;

effetti sulla permeabilità cellulare (citolisi e perdita di fosforo; danno di membrana e perdita di potassio);

effetto sull’enzima che mantiene dinamica la membrana citoplasmatica;

interazione con l’intera cellula microbica;

effetto collassante sulla forza motrice protonica attraverso cortocircuitazioni della membrana citoplasmatica (flusso inverso di protoni attraverso la membrana stessa).

Queste caratteristiche li rendono adatti alla formulazione di prodotti ad attività detergente e disinfettante combinata (c.d. sanificanti), l’elevato potere schiumogeno ne ostacola il risciacquo.

A basse concentrazioni presentano un’azione batteriostatica ed una inibizione della crescita delle alghe e dei micobatteri e l’inibizione del fenomeno della escrescenza delle spore.

A medie concentrazioni presentano un’azione battericida, alghicida, fungicida e un’azione di rilievo verso i virus lipofilici.

Ad elevate concentrazioni nessuna azione sporicida, micobattericida; nessuna azione verso i virus idrofilici.

Attivi sui G + e muffe, poco nei confronti dei G – (soluzioni di composti d’ammonio quaternario troppo diluite o non recenti possono favorire la crescita di batteri Gram–); mediamente sui virus e nulli sulle spore, i micobatteri e lo Pseudomonas aeruginosa.

Contro i G + sono più efficaci a 120-130 ppm in ambiente alcalino.

Alcuni psicrofili (ad esempio, nelle vasche di raffreddamento del latte crudo alla stalla) possono manifestare una certa resistenza ai composti d’ammonio quaternario.

Manifestano la loro attività sia in ambiente acido che alcalino, con maggiore attività in soluzioni alcaline.

La concentrazione d’uso dipende dalla specifica struttura chimica di ogni composto, l’efficacia aumenta con l’aumentare della lunghezza della catena (> C12-14).

In generale tali prodotti si dimostrano più attivi in soluzione alcoolica che in soluzione acquosa.

Compatibilità

Sono molto compatibili con quasi tutti i materiali (acciaio inox, metalli leggeri, ferro, ceramica).

Vengono inattivati dalle acque dure, dai residui organici, dalla cellulosa e dalla gomma.

I quaternari sono incompatibili con i tensioattivi anionici; quando vengono miscelati con questi ultimi essi diventano inefficaci.

Non miscelare mai i composti d’ammonio quaternario con i normali detergenti.

Per aumentare l’efficienza dei quaternari si possono aggiungere dei sequestranti quali l’EDTA, fosfati o fosfonati e tensioattivi compatibili (non ionici). In commercio esistono formulati che contengono questi componenti che hanno un’azione sinergica con il disinfettante aumentandone l’efficienza (Lysoform o simili).

Stabilità e sicurezza

I quaternari sono inodori, incolori e insapori. Si prestano per il loro uso in ambienti interni quali mense e cucine. Non essendo percepiti dal punto di vista organolettico e non essendo facilmente degradabili, essi possono venire a contatto con gli alimenti se non perfettamente risciacquati.

Essendo stabili nel tempo, i quaternari quando vengono applicati su una superficie senza risciacquarli vi rimangono a lungo; in questo caso potrebbero dare origine a fenomeni di resistenza batterica. Per questo motivo è bene risciacquare a fondo la superficie trattata oppure alternare questo disinfettante con l’ipoclorito o altri prodotti disponibili.

Modalità e concentrazioni d’uso

Esistono sul mercato due famiglie di prodotti disinfettanti a base di quaternari: formulati per prodotti di largo consumo che contengono 1,5-2,5% di principio attivo e soluzioni al 10%.

L’uso di un formulato rispetto alla materia prima al 10% è preferibile perché contiene altri composti quali i tensioattivi (bagnano meglio le superfici) e i sequestranti (tolgono ai batteri i metalli in tracce, il ferro per esempio, che questi utilizzano per costruire le cellule) aumentando l’efficienza del disinfettante.

Tempo di contatto: 1-15' a seconda della concentrazione del principio attivo.

In quanto schiumogeni non possono essere usati con apparecchi a pressione ed in quanto molto adesivi, soprattutto per le superfici dure (tendono a lasciare film), occorre prestare grande cura nel risciacquo. Questa caratteristica può essere favorevolmente sfruttata sulle superfici non a contatto con gli alimenti ove tale attività residuale fa da protezione nei confronti di contaminazioni accidentali.

Alcoli

Hanno un discreto potere disinfettante se usati per immersione, mentre risultano completamente inattivi per strofinamento a causa della loro alta volatilità. Si usano prevalentemente per la disinfezione delle mani; le attrezzature smontate possono essere disinfettate spruzzando le parti durante le operazioni di montaggio.

L’alcol viene applicato in diverse maniere, la più semplice è un piccolo erogatore spray. Un pezzo di garza o di cotone imbevuto d’alcol può essere usato per le superfici come tavoli o tappi, oppure gli strumenti possono essere immersi in alcol finché non vengono usati.

Caratteristiche

Agiscono distruggendo le membrane cellulari in seguito a estrazione dei lipidi, nonché denaturando le proteine microbiche e disidratando la cellula microbica.

Quando l’alcool si trova in forma idrata viene rapidamente assorbito e penetra all’interno della cellula; viceversa l’alcool puro tende a richiamare acqua sulla superficie cellulare e a produrre fenomeni coagulativi nella membrana citoplasmatica, che proteggono parzialmente le cellule batteriche dal disinfettante.

Le miscele in cui l’alcool ha concentrazioni inferiori al 59% in peso hanno scarsa efficacia disinfettante.

Dotati di elevato potere detergente e solvente.

Spettro d’azione: Gram pos: +++, Gram neg: +++, micobatteri: +–, miceti: ++, virus liofili: ++.

Virus non liofili: +–, spore: –.

Uccidono le forme vegetative entro 1 minuto, ma poiché alcuni organismi necessitano di più tempo è meglio immergere l’attrezzatura per almeno 10'; per i virus occorrono 30-60'.

Sono poco efficaci sui microrganismi essiccati su superfici.

Poco costosi.

Compatibilità

La presenza di materiale organico riduce l’attività dell’alcool.

Danneggiano la gomma e alcune plastiche dopo uso continuo e ripetuto.

Alcune plastiche, come l’HDPE, sono resistenti all’alcool, così come i metalli e il vetro.

Evaporano con rapidità.

Stabilità e sicurezza

Poiché sono infiammabili è altamente sconsigliabile l’accumulo di quantitativi eccessivi.

Agiscono a temperatura ambiente.

Gli alcoli più facilmente disponibili sono il metilico, l’etilico e l’isopropilico.

Modalità e concentrazioni d’uso

Alcol isopropilico: azione antimicrobica più spiccata rispetto all’etilico, concentrato al 70% è un eccellente ed economica scelta per le superfici di lavoro, la strumentazione e le mani.

Alcool etilico:puro è un liquido incolore, volatile, altamente infiammabile, che forma con l’acqua una miscela costituita dal 95,57% in peso di alcool e dal 4,43% da acqua. Le miscele al 70% in peso di alcool sono quelle che espletano la maggiore attività germicida. La rapidità dell’azione (pur se incompleta) e la velocità di evaporazione rendono l’alcool etilico puro adatto come veicolo per la preparazione di soluzioni composte di disinfettanti. Associato a clorexidina, iodio e derivati, ne aumenta notevolmente l’attività e la capacità di penetrazione. È piuttosto costoso a causa delle tasse; è volatile, quindi non è necessario risciacquare; possiede anche azione pulente. La F.U. italiana indica come alcool un distillato il cui residuo di acqua non sia superiore al 7,7% in peso (= 5% in volume). L’alcool denaturato può essere usato solo come solvente e detergente.

Alcool metilico: non è molto efficace se paragonato ai precedenti e questo, combinato alla sua tossicità, ne limita notevolmente l’utilizzo.

Alcol feniletilico: possiede una maggiore efficacia sui G –.

Tensioattivi anfoteri

Questi prodotti appartengono al gruppo dei tensioattivi (surfactants) anfoliti, nella molecola hanno, accanto a una parte lipofila, gruppi idrofili acidi e alcalini che conferiscono loro le caratteristiche dei composti sia cationici sia anionici, cioè associano nella stessa molecola le proprietà detergenti dei composti anionici con le proprietà microbicide dei composti cationici.

Caratteristiche

L’attività microbicida rimane virtualmente costante in un ampio range di pH, tuttavia gli anfoliti hanno maggior efficacia antimicrobica al di sotto del relativo punto isoelettrico, pertanto ogni anfolita dovrà essere preferibilmente usato a valori di pH inferiori al suo punto isoelettrico (ad esempio: un anfolita che abbia come punto isoelettrico 8,5 dovrà essere utilizzato a valori di pH inferiori a 8,5).

L’azione antimicrobica è legata principalmente alla distruzione della parete cellulare.

Sono meno inattivati dalla presenza di proteine nel substrato rispetto ai composti d’ammonio quaternario.

Ampio spettro d’azione: G +, G –, miceti; meno efficaci sui micobatteri (60' con solo 1%), alla concentrazione del 5% e a circa 60°C possiedono anche una significativa azione sporicida.

Più effetto detergente e meno schiumogeno.

Effetto deodorante.

Compatibilità

Non sono inattivati da sporcizia di natura proteica.

Non manifestano azione corrosiva nei confronti dei materiali comunemente impiegati.

Incompatibili con i tensioattivi anionici.

Modalità e concentrazioni d’uso

La loro azione si realizza in circa 10 minuti e persiste per ore.

Un buon risciacquo elimina completamente i residui di tali composti.

Composti «Tego»

Il loro impiego è molto diffuso nei paesi anglo-americani. Si tratta di saponi anfolitici (anfotensidi), cioè di amminoacidi ad alto peso molecolare. Questi composti hanno trovato vasto impiego come disinfettanti sia nell’industria alimentare che negli allevamenti zootecnici, sia nelle disinfezioni ambientali che in quelle “a ciclo chiuso”.

Caratteristiche

Azione ad ampio spettro, poiché, già a basse concentrazioni, inattivano Gram+ e Gram–, miceti e virus (particolarmente quelli a grande e media molecola forniti di envelope), non sono attivi contro le spore batteriche, i micobatteri mostrano una moderata sensibilità.

Dotati di spiccata adesività alle superfici trattate, di eccellente potere “bagnante” ed emulgente, di effetto deodorante pur essendo di per sé inodori, di una buona penetrazione.

Compatibilità

La presenza di materiale organico o di sudiciume nel substrato non compromette la loro attività, non mostrano aggressività nei confronti dei materiali trattati.

Modalità e concentrazioni d’uso

La concentrazione comune d’uso è l’l%.

La temperatura di trattamento è da ritenersi sui 50-60°C per tempi di esposizione relativamente brevi (5-10"), a temperature inferiori il composto mantiene buona efficienza, ma per tempi d’esposizione più lunghi.

Dopo il trattamento è necessario un buon risciacquo per eliminare il film residuale del tensioattivo.

Acidi e basi

Acido acetico: è disponibile in drogheria come aceto bianco distillato, ad una concentrazione standard del 5%.

Acido salicilico: usato per la conservazione degli alimenti.

Acido lattico: azione disinfettante sulle forme vegetative. Può essere impiegato nelle sterilizzacoltelli, in soluzione al 2% a 45°C oppure al 5% a 20°C, come metodo equivalente alla disinfezione con acqua a 82°C.

Acido muriatico.

Acido muriatico

Caratteristiche

La soluzione di acido è molto efficiente nella rimozione di depositi calcarei dovuti al ristagno o al gocciolamento di acqua.

Modalità e concentrazioni d’uso

Disponibile sul mercato in soluzioni comprese tra il 5 e il 10%.

Leggere la concentrazione sull’etichetta; per legge, questa deve sempre essere dichiarata.

Per l’applicazione diluire in soluzione all’1% (non usare acqua calda) e applicare alle superfici da disinfettare. Risciacquare abbondantemente con acqua alcuni minuti dopo l’applicazione.

Compatibilità

L’acido muriatico è altamente corrosivo nei confronti dei metalli; evitarne il contatto prolungato.

Norme di sicurezza

La soluzione di acido muriatico concentrato sviluppa gas irritanti; evitare di respirarli direttamente. È corrosivo; evitare il contatto diretto con gli occhi o la pelle.

Durante la preparazione della soluzione, non versare mai l’acqua sull’acido ma il contrario; l’acido nell’acqua. In caso di contatto, risciacquare immediatamente e abbondantemente con acqua e contattare il medico.

Manipolare le soluzioni indossando guanti di gomme e occhiali di sicurezza.

Non miscelare mai l’acido muriatico con l’ipoclorito (candeggina); si sviluppano gas tossici.

Acido solforico e acidi minerali in genere

Questi acidi (acido solforico, nitrico, cloridrico, fosforico, ecc…) possiedono una buona attività battericida nei confronti di molti microrganismi (eccetto i micobatteri). L’associazione acidi-alcoli è sporicida. Gli acidi sono caustici nei confronti dei tessuti e aggressivi nei confronti di molti materiali.

L’acido fosforico si presenta denso e fortemente igroscopico.

Norme di sicurezza: nelle operazioni di diluizione bisogna evitare di versare acqua nell’acido, poiché possono verificarsi violente reazioni fortemente esotermiche. Il fenomeno non avviene quando si versa gradualmente l’acido nell’acqua.

La miscela di Laplace viene ottenuta mescolando, in parti uguali, acido fenico grezzo e acido solforico. Tale miscela può essere poi diluita per l'impiego (5%) solamente quando è completamente fredda. La miscela di Laplace, più attiva delle soluzioni di fenolo grezzo, è indicata nelle disinfezioni dei ricoveri animali, ma è controindicata nelle disinfezioni dei laboratori o industrie alimentari, poiché emana uno sgradevole odore di fenolo.

Idrossido di sodio

Comunemente conosciuto come soda caustica (NaOH), in soluzione ha la capacità di sciogliere lo sporco grasso trasformandolo in sapone facilmente risciacquabile (saponificazione); l’aggiunta alla soluzione di uno spruzzo di detersivo per lavare i piatti a mano ne aumenta l’efficienza. L’idrossido di sodio, e a volte l’idrossido di potassio (KOH), è l’additivo caustico della maggior parte dei detergenti per i lavori pesanti, come i forni o le fognature.

Modalità e concentrazioni d’uso

La soluzione di soda caustica preparata con acqua ad almeno 60°C è estremamente efficiente come antibatterico, va diluita all’1-2% (max 5%).

Se si aggiunge latte di calce al 5% si ottiene il duplice vantaggio di potenziarne l’azione disinfettante e di rendere visibile, per colorazione, il trattamento eseguito.

Per la preparazione di una soluzione a base di soda caustica si consiglia di procedere come segue: in un secchio contenente mezzo litro di acqua fredda aggiungere mezzo bicchiere di soda caustica in gocce o in soluzione e un cucchiaio da cucina di detergente liquido per piatti. Agitare la soluzione fino a completa dissoluzione dei componenti, aggiungere 4 o 5 litri di acqua bollente e applicare sulle superfici da pulire e disinfettare con spugne, stracci o scope. Lasciare agire per circa mezz’ora e risciacquare abbondantemente con acqua.

Rinnovare la soluzione nel secchio ad ogni applicazione; nel caso la si volesse conservare per una applicazione successiva, proteggerla dal contatto diretto con l’aria per mezzo di un coperchio o di un foglio di plastica.

Un detergente da forno è un buon sostituto per tutte le pulizie che necessitano soda, ad esempio: per una pentola con il fondo bruciato la soluzione più semplice è quella di applicare uno spray per la pulizia del forno e lasciarlo agire, dopo che la parte bruciata è stata rimossa, è importante sciacquare a fondo ogni residuo di detergente. Dato che il prodotto è caustico, sciacquate con aceto (un acido debole) per neutralizzare ogni piccolo residuo; fatto ciò, potete tranquillamente pulire con un detergente e sciacquare per togliere ogni residuo di aceto. L’uso dell’aceto non è strettamente necessario, dipende dalla grandezza della bruciatura e dalla quantità di detergente caustico impiegato.

Compatibilità

La soda è molto corrosiva nei confronti dell’alluminio e dell’ottone. Il rame in genere è resistente, mentre l’acciaio inossidabile è corroso solo da soluzioni bollenti di soda (sconsigliato). Soluzioni forti non tamponate di NaOH non dovrebbero essere usate per pulire l’alluminio, dato che il forte pH scioglie la patina protettiva di ossidi:

La soda caustica reagisce con l’anidride carbonica atmosferica neutralizzandosi e quando viene applicata sulle superfici in sottile velo di soluzione acquosa, il contatto con l’aria ne abbassa rapidamente il pH facendo perdere alla soluzione le sue proprietà e, dopo circa un’ora, potrebbe non essere più in grado di svolgere il compito di disinfezione.

Norme di sicurezza

La soda caustica è classificata come corrosiva. Durante la preparazione della soluzione e l’applicazione indossare guanti di plastica e occhiali di sicurezza. In caso di contatto con gli occhi e la pelle, risciacquare abbondantemente con acqua e consultare il medico. Durante la preparazione della soluzione versare prima l’acqua e poi la soda; mai il contrario. L’aceto è efficace per neutralizzare l’idrossido di sodio che viene a contatto con la pelle, ma se la soda arriva sino ai vostri occhi può causare bruciature serie o addirittura cecità.

Aldeidi

Agiscono provocando l’alchilazione dei gruppi polari delle proteine (denaturazione).

Il rappresentante più importante è la formaldeide. Era largamente utilizzata (in forma gassosa per gli ambienti chiusi o in soluzione acquosa al 35%) per il vantaggioso rapporto costo/beneficio e per l’ampio spettro: azione battericida, fungicida e sporicida. L’azione disinfettante allo stato gassoso è fortemente ostacolata dalla presenza di materiale organico. In questi ultimi anni è meno usata per l’azione caustica su cute e mucose, per la permanenza di residui nell’ambiente e per la sospetta cancerogenicità.

Lo stato gassoso è ottenuto usando formelle a lenta autocombustione oppure miscelando permanganato di potassio e formolo in grandi recipienti (la reazione chimica genera spruzzi e schiumosità). Per ogni m3 di ambiente confinato si usano: potassio 20 g, formolo 30 ml, acqua fredda 20 ml. In primo luogo si immette nel recipiente il permanganato, poi il formolo diluito con acqua. Se è stata rispettata tale successione di manualità, all’operatore rimane il tempo sufficiente per uscire dal locale, prima che si liberi il gas di formaldeide. Per un’azione efficace si richiedono tempi d’esposizione prolungati.

La soluzione acquosa al 40% prende il nome di formalina e viene usata solitamente diluita in acqua al 2,5%. Ha una spiccata azione battericida, sporicida, virulicida e fungicida, ma per tempi molto prolungati di contatto. In associazione con alcool è ritenuta un ottimo agente contro i micobatteri. Purtroppo già a basse concentrazioni è irritante per le mucose (congiuntivali e respiratorie), mentre a concentrazioni più elevate è caustica e tossica.

Un potere disinfettante maggiore della formalina e privo degli spiacevoli effetti collaterali è posseduto dalle sue soluzioni saponose (lisoformio).

La soluzione saponosa, da usarsi al 2,5%, è ottenibile sciogliendo 50 g di sapone di potassa in 1 litro d’acqua e aggiungendo 20 g di formalina. Se del caso, per neutralizzare l’azione irritante o caustica della formalina, si può ricorrere all’ammoniaca. La reazione chimica dà origine alla esametilentetramina (urotropina).

La glutaraldeide si trova solitamente in commercio sotto forma di liquido color ambra, a pH acido. Tale dialdeide possiede un ampio spettro e un’elevata rapidità d’azione.

Una soluzione opportunamente alcalinizzata di glutaraldeide distrugge i batteri vegetativi, comprese le specie più resistenti, nel giro di l', la maggior parte dei virus in l0', le spore batteriche in 3 ore. Allo 0,5% manifesta un’eccellente attività contro la crescita di miceti, lieviti e spore di muffe. Per effetti letali antimicrobici essa viene usata in soluzione alcalinizzata al 2%.

La glutaraldeide ha un’attività microbica e sporicida superiore alla formaldeide (è tra i più efficaci agenti contro i micobatteri) col vantaggio di essere molto meno tossica, pur potendo provocare, in taluni casi, dermatiti da contatto.

Mantiene la sua spiccata attività anche in presenza di elevate quantità di materiali organici nel substrato; non possiede attività corrosive nei confronti dei metalli, gomma, vetro, ecc…; è stabile alla luce e al calore.

Il grado di attività antimicrobica della glutaraldeide dipende molto dal pH della soluzione, è elevato a pH alcalino, ma trascurabile a pH acido. L’optimum di attività microbicida si manifesta a pH 7,5-8,5.

L’aumento di temperatura della soluzione esalta l’attività microbicida della glutaraldeide. Le forme polimeriche della dialdeide vengono liberate e quindi attivate in soluzione alcalina a temperatura ambiente o in soluzione acida molto calda. Tuttavia le soluzioni alcaline sono molto meno stabili di quelle acide, proprio a causa delle reazioni di polimerizzazione, che avvengono a valori di pH più elevati, con una corrispondente perdita di attività antimicrobica.

Le consistenti diminuzioni dell’attività antimicrobica (ad esempio nei confronti delle spore batteriche) della glutaraldeide attivata e mantenuta in deposito per un certo tempo vengono direttamente correlate con la diminuzione della concentrazione di aldeide libera.

Per l’uso pratico la glutaraldeide è disponibile acida in soluzione al 2%, cui viene aggiunto, prima dell’uso, un “attivante” per elevare il pH a circa 8. Tale soluzione è efficace al massimo per 14 giorni dalla data di “attivazione”, dopodiché deve essere scartata a causa della sua ormai marcata perdita di attività antimicrobica.

Recentemente sono state prodotte glutaraldeidi più moderne e più stabili associate a “potenziatori d’attività” per pH inferiori. Tali “potenziatori” in genere sono quaternari di ammonio o anfoteri che danno origine ai disinfettanti sinergici largamente utilizzati in situazioni ad elevato rischio igienico (presidi medico-chirurgici).

Composti fenolici

A questa famiglia appartengono numerosi disinfettanti (fenoli, cresoli e xilenoli) che si ottengono per distillazione del carbonfossile o, più recentemente, per sintesi chimica. Da diversi anni il fenolo (sinonimi: acido carbolico, acido fenico) è quasi completamente decaduto negli impieghi pratici della disinfezione. Nel passato il fenolo grezzo (miscela naturale di cresoli e fenoli) veniva comunemente impiegato alla concentrazione del 3-5% e a caldo.

Altrettanto comunemente veniva impiegata la “miscela di Laplace”, ottenuta mescolando lentamente acido fenico grezzo e acido solforico in parti uguali. Il composto, diluibile solo quando completamente freddo, veniva utilizzato alla concentrazione del 5% con un’attività antimicrobica molto superiore al fenolo grezzo.

Il cresolo (o cresolina) è probabilmente il prodotto più facilmente reperibile sul mercato. Data la sua affinità con i grassi, è particolarmente efficace nella penetrazione dello sporco organico.

I disinfettanti catramosi sono divisibili in due gruppi, entrambi addizionati con saponi provenienti da olii vegetali o resine:

l)   preparati contenenti i derivati fenolici a basso peso molecolare (isomeri del cresolo e dello xilenolo);

2)  preparati contenenti, in aggiunta ai costituenti fenolici, proporzioni variabili di idrocarburi

catramosi e di olii neutri.

Il 1º gruppo è definito “solubile”, il 2º “emulsionabile”. Sotto il profilo organolettico, e a bassa concentrazione, i disinfettanti solubili formano in acqua soluzioni chiare mentre gli “emulsionabili” formano in acqua torbidità lattiginose. La sua azione si esplica reagendo con le proteine denaturandole.

Caratteristiche

Il cresolo si presenta come un liquido scuro oleoso all’apparenza. È composto dal 50% di oli aromatici e cresoli; questi ultimi sono la sostanza attiva e sono presenti in concentrazione compresa tra il 17 e il 18%. Il resto è costituito da acqua e tensioattivi (detergenti) che hanno il compito di disperdere la parte attiva nell’acqua di diluizione.

Il cresolo puro è una sostanza oleosa insolubile in acqua.

Compatibilità

In genere, questi composti, non danno problemi di compatibilità con altre sostanze.

Il prodotto non deve mai venire a contatto con gli alimenti e l’acqua potabile.

Stabilità e sicurezza

A causa di alcuni problemi di sicurezza, il cattivo odore persistente e la tendenza a macchiare le superfici, questi prodotti non devono essere utilizzati per la disinfezione degli interni. È preferibile utilizzarli per la disinfezione di muri esterni e cortili, luoghi in cui viene depositata l’immondizia, tubature fognarie e tombini, ecc…

Questi prodotti sono tossici; seguire attentamente le raccomandazioni d’uso riportatesull’etichetta.

Modalità e concentrazioni d’uso

Il prodotto disponibile sul mercato viene usato in soluzione acquosa al 5% (mezzo litro di prodotto in 10 litri di acqua), sulle superfici piane, la soluzione può essere distribuita con un annaffiatoio, una spugna o uno spazzolone. Sulle pareti o attrezzi è consigliabile distribuirlo con una pompa irroratrice.

I piccoli oggetti si possono disinfettare per immersione dopo aver preparato la soluzione in un catino o in una bacinella.

Essendo insolubile in acqua, questo prodotto, quando diluito, forma una emulsione di olio in acqua (piccole gocce oleose sospese in acqua). Pertanto, l’aspetto della soluzione durante l’uso, sarà di un liquido biancastro, lattiginoso.

Biguanidi

Clorexidina: è il principale rappresentante, questa distrugge G + e G – (compresa P. aeruginosa), ma è inefficace sui micobatteri e sulle spore. Agisce disorganizzando la struttura della membrana citoplasmatica. È attiva anche in presenza di proteine sieriche. Si utilizza in soluzione allo 0,1% su pareti, pavimenti, mobili, ecc… e allo 0,5-1% sulla cute.

Picloxidina: usata in combinazione con l’ammonio quaternario sulle superfici.

Idrocloruro di poliesametilene (PHMB): usato nelle piscine.

Il problema dei residui

Occorre considerare il differente grado di persistenza delle sostanze attive: massimo per i quaternari, medio negli iodofori e virtualmente assente nel caso dell’acqua ossigenata.

I problemi tossicologici posti dai residui dei disinfettanti sono quasi trascurabili ad eccezione di quelli legati all’eccessivo passaggio di iodio dalle superfici agli alimenti.

Di grande importanza sono quelli per le trasformazioni alimentari fondate sull’impiego di batteri lattici (caseari, insaccati,…) e quelli di tipo organolettico. È quindi fondamentale un accurato risciacquo degli impianti dopo la disinfezione al fine di ridurre al minimo il rischio di permanenza di residui.

I rischi maggiori in tal senso si possono avere negli impianti C.I.P. ove può residuare principio attivo con un coefficiente di rischio variabile da un principio attivo all’altro.

Alcuni disinfettanti si caratterizzano per un elevato margine di sicurezza: la concentrazione di cloroattivi e di iodofori in grado di inibire i fermenti lattici e di causare problemi organolettici è significativamente diversa dalla concentrazione di impiego del disinfettante a significare che potranno comparire effetti indesiderati solo se la superficie non è stata assolutamente risciacquata.

Nel caso di altri disinfettanti basta invece un residuo modesto di principio attivo per causare modificazioni indesiderate: questo fenomeno è massimo per i sali quaternari e, in misura minore, per l’acido peracetico.

Il problema della corrosione

La corrosione risulta essere un fenomeno multifattoriale legato ad alcune variabili. In linea generale il rischio di comparsa della corrosione aumenta con l’aumentare della temperatura e della durata di applicazione, l’aumento del potere ossidante diminuisce il rischio di corrosione generale ed aggrava quello di corrosione localizzata (microfori, punture); il pH ed il tenore di ioni cloro, influenzando il potenziale elettrochimico, orientano il fenomeno corrosivo verso manifestazioni generali o localizzate.

La candeggina contiene un equilibrio acquoso di cloro, cloruri e ipocloriti. Queste specie chimiche contribuiscono tutte al potere detergente e battericida della candeggina, ma sono anche corrosivi nei confronti di diversi metalli usati nell’attrezzatura. Se la candeggina deve essere usata su una superficie metallica occorre minimizzare il tempo di contatto e sciacquare la superficie per non continuare la corrosione.

Il rame è sensibile all’ossidazione. Gli agenti ossidanti, come candeggina e acqua ossigenata, causeranno l’oscuramento di rame e bronzo, a causa degli ossidi; questi ossidi si scrosteranno ed esporranno il metallo ad una nuova corrosione. Anche l’alluminio è attaccato dalle soluzioni caustiche e gli ossidi si discioglieranno nella soluzione.

Come nell’alluminio, l’inibitore della corrosione delle pentole di acciaio inossidabile è lo strato di ossidi che protegge la superficie. Le leghe della serie del 300 sono molto resistenti alla corrosione della maggior parte degli elementi chimici. Sfortunatamente, il cloro è uno dei pochi elementi a cui non sono resistenti. Il cloro della candeggina destabilizza lo strato protettivo di ossidi e crea dei punti sensibili alla corrosione.

Questo tipo di attacco è generalmente conosciuto come “crevice” o “pitting corrosion”. Su scala microscopica, un graffio o una piccolissima crepa può essere un’area dove la superficie ossidata può essere destabilizzata dal cloro. I cloruri possono combinarsi con l’ossigeno, sia nell’acqua che sulla superficie dell’acciaio, per formare ioni di cloriti che rimuovono la protezione. Se la soluzione di candeggina non viene rimossa, la crepa diventa un sito piccolissimo ma molto attivo e l’acciaio circostante verrà corroso.

Un altro modo in cui il cloro può corrodere l’acciaio è la concentrazione. Questo modo è molto simile a quello delle crepe descritto sopra. Lasciando che l’acqua clorinata evapori da una superficie d’acciaio, il cloro si concentra e destabilizza la superficie degli ossidi. Quando la superficie viene nuovamente bagnata, gli ossidi destabilizzati di staccano e creano un piccolissimo buco. Quando si asciuga ancora, quel buchetto molto probabilmente sarà l’ultimo punto a farlo causando un’altra concentrazione di cloro. Ad un certo punto, il buchetto diventerà profondo abbastanza per avere una corrosione tipo crepa e bucarsi definitivamente. Ecco poche semplici istruzioni da ricordare quando si usa il cloro con l’acciaio e gli altri metalli.

1)  Non lasciare il metallo a contatto con l’acqua clorinata per troppo tempo (massimo poche ore).

2)  Usare soluzioni tampone o inibitrici per diminuire la corrosione del metallo. Le soluzioni tampone o inibitrici contengono sali che mantengono un determinato pH o silicati che inibiscono la corrosione.

3)  Dal punto di vista pratico la disinfezione dell’acciaio inox può essere condotta senza evidenti problemi di corrosione con le usuali soluzioni a base di cloro, iodio e acido peracetico a condizione che la temperatura non superi i 30°C e la durata di applicazione sia limitata.

Il problema del depuratore

Per quanto riguarda i donatori di cloro e gli iodofori la loro scelta non deve, al dosaggio applicato, inibire l’attività del depuratore biologico. Contrariamente, i composti contenenti i perossidi (ac. peracetico, acqua ossigenata) non danno inconvenienti poiché i residui provenienti dalle reazioni di degradazione (ac. acetico, acqua e ossigeno) non alterano l’attività depurativa.

I detergenti determinano però seri inconvenienti agli impianti di depurazione: riduzione della sedimentazione primaria per l’azione disperdente esplicata, riduzione dell’ossidazione biologica per l’inibizione della nitrificazione, riduzione della attività dei fanghi attivi per la distruzione dei protozoi, aumento della schiuma; per questi motivi è opportuno, nell’uso di notevoli quantità di tali prodotti, evitarne l’immissione in impianti di depurazione, specie se di tipo aerobio.



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