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Self-monitoring in the butcher shop

of Cappelli M.

Introduzione

L’adozione e l’attuazione in tutte le attività di produzione, deposito, trasporto e commercio dei prodotti alimentari di un piano di autocontrollo secondo il sistema HACCP (Hazard Analysis and Critical Control Point) sono state rese obbligatorie in Italia dal Decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 155, in attuazione delle direttive 93/43/CEE e 96/3/CE, ed interessano, nel settore delle carni, la vendita al dettaglio in tutte le forme in cui essa è esercitata.

Infatti, com’è noto, le fasi di macellazione, sezionamento, deposito e commercializzazione “all’ingrosso” (con esclusione del deposito di prodotti preconfezionati) sono regolamentate, per quanto riguarda l’aspetto igienico-sanitario, dalle seguenti norme di derivazione comunitaria:

  • Decreto Legislativo n. 537 del 30/12/1992 (Attuazione della direttiva 92/5/CEE relativa a problemi sanitari in materia di scambi intracomunitari di prodotti a base di carne).
  • DPR n. 559 del 30/12/1992 (Regolamento per l’attuazione della direttiva 91/495/CEE relativa ai problemi sanitari e di polizia in materia di produzione e commercializzazione di carni di coniglio e di selvaggina d’allevamento).
  • Decreto Legislativo n. 286 del 18/04/1994 (Attuazione delle direttive 91/497/CEE e 91/498/CEE concernenti problemi sanitari in materia di produzione ed immissione sul mercato di carni fresche).
  • DPR n. 607 del 17/10/1996 (Regolamento recante norme per l’attuazione della direttiva 92/45/CEE relativa ai problemi sanitari e di polizia sanitaria in materia di uccisione di selvaggina e di commercializzazione delle relative carni).
  • DPR n. 495 del 10/12/1997 (Regolamento recante norme di attuazione della direttiva 92/116/CEE che modifica la direttiva 71/118/CEE relativa a problemi sanitari in materia di produzione e immissione sul mercato di carni fresche di volatili da cortile).
  • DPR n. 309 del 03/08/1998 (Regolamento recante norme di attuazione della direttiva 94/65/CE, relativa ai requisiti applicabili all’ immissione sul mercato di carni macinate e di preparazioni di carni).
  • Tali norme di recepimento di direttive comunitarie prevedono specifiche regole per l’autocontrollo, per lo più riconducibili alla definizione di metodi di sorveglianza e di controllo degli stessi, al prelievo di campioni per analisi di laboratorio, alla conservazione della relativa documentazione e alla formazione degli addetti: elementi presenti anche nel più completo sistema HACCP, che sarà comunque introdotto integralmente per tutte le fasi produttive e commerciali con l’applicazione del Regolamento (CE) n. 852/2004 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 (già in vigore ma applicabile dal 1° gennaio 2006).

    Lo scopo di questo scritto non è quello di redigere un piano di autocontrollo, anche in considerazione dell’errore di fondo in cui cade chi fornisce soluzioni generiche, predefinite ed indifferenziate senza focalizzare le specificità delle singole strutture produttive o commerciali.

    Si vogliono semplicemente esaminare alcuni aspetti generali per affrontare il problema relativamente all’attività di vendita al dettaglio negli esercizi tradizionalmente denominati “macellerie”.

    La macelleria

    Secondo la classificazione del DLgs n. 114/1998, la tradizionale macelleria è solitamente un esercizio di vicinato del settore alimentare: un esercizio, cioé, adibito alla vendita di alimenti avente una superficie di vendita non superiore a 150 m2 nei comuni con meno di 10.000 residenti o non superiore a 250 m2 nei comuni con oltre 10.000 residenti. Da tempo, non esistono più le tabelle commerciali di cui alla preesistente normativa in materia di commercio: gli esercizi del settore alimentare possono vendere qualunque prodotto alimentare purché siano rispettate le norme igienico-sanitarie, per esempio riguardo all’utilizzo delle attrezzature e dei locali, al personale, ecc…

    Si devono evitare, in pratica, interferenze tra diverse attività a rischio e quindi le contaminazioni crociate, che possono derivare proprio dalla promiscuità nelle fasi di conservazione, preparazione e lavorazione, di esposizione e vendita. La macelleria ha generalmente mantenuto la sua specificità e tradizione, limitandosi alla vendita delle carni fresche, dei prodotti di salumeria e delle preparazioni di carne, inserendo talvolta prodotti di altro genere preconfezionati, per i quali, soprattutto se non deperibili, i fattori di rischio sono assai limitati.

    Con lo sviluppo della grande distribuzione organizzata si è notevolmente diffusa l’attività di “macelleria” esercitata in specifici reparti di medie o grandi strutture di vendita (supermercati, ipermercati), conservando in generale caratteristiche simili a quelle dell’esercizio tradizionale, fatte salve le differenze dovute alle dimensioni dei locali e delle attrezzature e il ricorso alla tecnica del preincarto.

    Premesse al piano di autocontrollo

    Si ritengono necessarie alcune premesse al piano di autocontrollo, che vengono sotto elencate.

    Dati anagrafici aziendali

    Indicare i dati aziendali completi è molto importante: nome e sede della ditta, oltre a cognome, nome e dati anagrafici completi ed aggiornati (luogo e data di nascita, residenza) del titolare o legale rappresentante. È meglio se i dati sono accompagnati da una visura camerale aggiornata.

    Individuazione delle responsabilità

    L’art. 2 del Decreto Legislativo n. 155/1997 prevede che il responsabile dell’industria alimentare sia il titolare o persona specificamente delegata.

    Il responsabile è colui che deve garantire l’igienicità di tutte le operazioni, individuare le fasi critiche per la sicurezza alimentare, individuare, applicare, mantenere ed aggiornare le adeguate procedure di sicurezza secondo il sistema HACCP e tenere a disposizione dell’autorità di controllo le informazioni e la documentazione relativa; è, infine, colui che riceve dagli incaricati del controllo ufficiale le eventuali prescrizioni e le contestazioni in caso di violazione.

    L’eventuale delega deve essere scritta dal titolare ed accettata, sempre per iscritto, dall’interessato, o risultare dalla documentazione ufficiale allegata (atti societari o visura camerale) nel caso di una vera e propria procura speciale.

    Il responsabile deve comunque essere persona in possesso del requisito dell’autonomia decisionale e finanziaria: solo tale requisito, infatti, gli consente di far fronte alle decisioni e alle spese necessarie per la gestione del sistema e per l’esecuzione di eventuali prescrizioni impartite dagli organi di controllo ufficiali, onde non incorrere nelle sanzioni previste.

    In premessa al piano è bene che siano riportati i suoi dati anagrafici completi.

    Possono essere indicate responsabilità di grado inferiore (per esempio, riguardo alle procedure, all’esecuzione di determinate operazioni, a specifici controlli e azioni di monitoraggio), che hanno tuttavia una valenza esclusivamente aziendale, senza alcuna rilevanza legale.

    Descrizione dei locali, impianti ed attrezzature

    In qualunque piano di autocontrollo è opportuno descrivere adeguatamente i locali, con riferimento alla loro conformità all’Allegato al DLgs n. 155/1997 (caratteristiche costruttive, facile pulibilità, lavabilità, luminosità, aerabilità, ecc…), meglio se con l’ausilio di una planimetria allegata nella quale indicare la collocazione dei principali impianti ed attrezzature (cella, banco frigorifero, scaffalature, ecc…).

    Anche di queste è utile descrivere le caratteristiche igienico-funzionali.

    Attrezzi ed utensili in dotazione potranno essere elencati e descritti.

    La descrizione di impianti ed attrezzature può essere utilmente accompagnata dalla documentazione fornita dal costruttore con informazioni circa le modalità di utilizzo, la pulizia e la manutenzione.

    Piano di autocontrollo

    L’elaborazione di un Piano di Autocontrollo con il sistema HACCP contempla fondamentalmente l’individuazione dei pericoli, l’analisi e la gestione del rischio nello specifico processo.

    Individuazione delle fasi del processo

    Occorre innanzitutto individuare le fasi del processo che, nel caso della classica macelleria, possono essere (a solo scopo esemplificativo):

    Il diagramma di flusso che ne deriva è molto semplice; esso deve comunque rispecchiare esattamente lo specifico processo aziendale: alle fasi sopra indicate, che si ritiene siano quelle generalmente individuabili, saranno aggiunte tutte le altre riscontrabili nell’attività del singolo esercizio (per esempio, in riferimento all’attività di produzione di preparazioni di carni, eventualmente autorizzata).

    Individuazione dei pericoli e analisi del rischio

    Definito il processo si deve procedere all’individuazione dei pericoli e, per ognuno di essi, all’analisi del relativo rischio.

    Il pericolo è una caratteristica biologica, chimica o fisica di un alimento, in grado di comprometterne la sicurezza, mentre il rischio è la probabilità che il pericolo si presenti.

    Il Punto Critico di Controllo (CCP) è una fase nella quale, applicando una specifica metodologia di controllo, è possibile annullare o ridurre a livelli accettabili i rischi valutati, assicurando la sicurezza dell’alimento.

    In maniera sintetica, si può ipotizzare quanto segue.

    Fase fornitura

    Il rischio è rappresentato dalla probabilità di introdurre nell’esercizio prodotti non conformi.

    La non conformità può essere riferita a pericoli di carattere biologico (presenza di parassiti, di microrganismi patogeni o di una carica microbica elevata che può esprimersi con il deterioramento del prodotto), chimica (per esempio, presenza di residui di sostanze impiegate nei trattamenti farmacologici in allevamento, di contaminanti ambientali, di sostanze vietate) o fisica (corpi estranei, in particolare nei prodotti preparati preconfezionati).

    Occorre tenere comunque conto della tipologia di prodotto e delle modalità di consumo.

    Il rischio che si verifichi una non conformità non è elevato, purché si adotti e si segua un’adeguata procedura di selezione dei fornitori valutandone l’attendibilità e si provveda alla verifica visiva e documentale di ogni fornitura.

    Le carni macellate, sezionate ed elaborate in stabilimenti riconosciuti sono sottoposte alla visita veterinaria post-mortem (che segue la visita ante-mortem subita dagli animali), con periodici controlli analitici sia ufficiali che in autocontrollo, e sono contraddistinte dal “bollo sanitario” che ne garantisce l’idoneità al consumo.

    La fase può essere correttamente individuata come Punto Critico di Controllo, ma può essere gestita anche a livello di procedura.

    Fase stoccaggio

    Nello stoccaggio delle carni i principali pericoli sono rappresentati da:

    I pericoli di contaminazione microbica e chimica, che potrebbero esprimersi con un livello di rischio anche elevato in una gestione disordinata e igienicamente scorretta, possono essere tenuti sotto controllo mediante l’adozione e il rispetto di adeguate procedure di sanificazione, di manutenzione e, in generale, di gestione dell’ambiente interno dell’esercizio ed, in particolare, delle celle frigorifere, nonché di igiene del personale (buone pratiche igieniche).

    Per quanto riguarda invece il pericolo di moltiplicazione microbica, può anch’esso esprimersi con un’alta probabilità di rischio, causando il deterioramento del prodotto fino alla sua alterazione e con più gravi conseguenze per la salute del consumatore, se a moltiplicarsi sono dei microrganismi patogeni presenti sulle carni a causa di contaminazione; vi è la necessità (e la possibilità) di applicare una specifica misura preventiva, quale il condizionamento termico, allo scopo di ridurre il rischio (non si ritiene possibile in questo caso eliminare completamente il pericolo).

    Si può dire che la fase di stoccaggio, considerata per il pericolo di “moltiplicazione microbica”, sia il classico CCP, o Punto Critico di Controllo.

    Fase riduzione in tagli anatomici o apertura confezioni

    L’apertura delle confezioni sottovuoto contenenti tagli anatomici ottenuti in un laboratorio di sezionamento o di confezioni di prodotti a base di carne o preparazioni di carni (talvolta conservate in atmosfera protettiva) è di per sé un’operazione rapida, per cui il pericolo di moltiplicazione microbica può essere considerato con una bassa probabilità di rischio, purché la fase sia gestita, nell’ambito delle buone pratiche di lavorazione, con un limitatissimo tempo di permanenza a temperatura ambiente.

    Il pericolo di contaminazione si presenta invece con un rischio più elevato, sia in relazione alla cattiva igiene ambientale e personale, sia in riferimento al possibile trasferimento nel contenuto delle confezioni di microrganismi presenti sull’esterno delle stesse.

    Per quanto riguarda, invece, la riduzione in tagli anatomici mediante disosso e separazione dei muscoli, oltre al pericolo di contaminazione dovuto all’ambiente e al personale, va considerata la seria possibilità che microrganismi presenti in superficie si moltiplichino, dato che talvolta, soprattutto nelle piccole macellerie, le operazioni hanno una durata piuttosto lunga, venendo svolte a temperatura ambiente e ad esercizio aperto al pubblico, con frequenti interruzioni dovute alla necessità di servire i clienti da parte del titolare che, spesso, è anche l’unico addetto.

    Occorre pertanto ridurre al massimo il tempo di svolgimento delle operazioni di disosso e preparazione dei tagli anatomici, effettuando le stesse preferibilmente a negozio chiuso, e introdurre rapidamente le carni sezionate nella cella o nel banco espositore, per ridurre il più possibile il rischio.

    Un’alternativa potrebbe essere quella di procedere all’operazione in cella frigorifera (negli stabilimenti di sezionamento vi sono locali adibiti a tale scopo climatizzati a meno di +12 °C, condizione non proponibile in una macelleria), ma tale possibilità non garantisce il benessere dell’operatore e può comportare contaminazioni e difficoltà nella successiva pulizia dell’ambiente di stoccaggio specialmente se angusto. I rischi in questa fase possono essere gestiti mediante le buone pratiche igieniche e di lavorazione, senza individuare la stessa come CCP.

    Fase esposizione

    La fase di esposizione al pubblico per la vendita comporta i medesimi pericoli evidenziati per la fase di stoccaggio.

    Pertanto, il rispetto delle procedure predefinite (buone pratiche igieniche) tiene sotto controllo il rischio, ad eccezione che per il pericolo di moltiplicazione microbica che costituisce un CCP.

    Fase taglio o macinatura

    Il taglio delle carni fresche (affettatura, spezzettatura) avviene a richiesta del cliente e, comunque, anche in caso di preparazione di un certo quantitativo di fette o pezzi, in tempi rapidi: pertanto, non si ritiene di dover considerare elevato il rischio relativo al pericolo di moltiplicazione microbica (rischio che viene tenuto comunque sotto controllo con l’applicazione delle buone pratiche di lavorazione).

    Anche per quanto riguarda i pericoli di contaminazione è sufficiente garantire, mediante le previste procedure, l’igiene delle attrezzature ed utensili (coltelli, affettatrici, taglieri, ecc…), dell’ambiente in generale e del personale.

    La macinatura, che può essere gestita allo stesso modo, nasconde in realtà alcune grandi insidie.

    La permanenza a temperatura ambiente di residui di carne macinata all’interno del cilindro e della trafila di un tritacarne tradizionale comporta il pericolo di moltiplicazione dei microrganismi presenti in origine sulla superficie dei tagli anatomici o qui insediatisi ad opera dell’addetto (si tratta di una fase con elevato livello di manipolazione, talvolta con utilizzo di ritagli carnei eliminati da precedenti operazioni) o per causa ambientale.

    Il passaggio, una o più volte, delle nuove carni introdotte nel tritacarne comporta un pericolo di contaminazione, qualora il macchinario non sia stato lavato e disinfettato, a causa dei suddetti residui: problema frequente quando la macinatura non sia la prima della giornata, data la difficoltà che incontra l’operatore nell’applicare la procedura di sanificazione dopo ogni utilizzo. È uso, infatti, preparare la carne macinata in piccole quantità a richiesta del cliente.

    Si ritiene che i rischi, per nulla trascurabili, relativi ai pericoli indicati, non possano essere annullati ma ridotti con le buone pratiche igieniche, applicabili alle superfici e alla coltelleria impiegata per realizzare i pezzi da destinare alla macinatura e, soprattutto, al personale con particolare riguardo per le mani (lavaggio accurato prima di ogni operazione o uso di guanti monouso).

    Peraltro, la carne macinata viene talvolta utilizzata, sia in macelleria che presso il consumatore, per preparare polpette o hamburger: preparazioni che non sempre subiscono, fino al cuore, una cottura in grado di inattivare completamente i microrganismi presenti.

    Questa fase può essere individuata come Punto Critico di Controllo, con effettuazione periodica di analisi su campioni per verificare il rispetto dei limiti critici, ma può essere anche gestita con la rigorosa applicazione delle procedure di igiene, ferma restando l’utilità di analisi periodiche, allo scopo di valutare se le procedure stesse e la loro applicazione siano corrette (comunque nell’ambito delle verifiche periodiche sull’efficienza del sistema).

    Si ritiene che il rischio relativo alla moltiplicazione microbica possa essere sensibilmente ridotto solamente con l’utilizzo dei moderni tritacarne refrigerati, dato che il tentativo da alcuni effettuato di smontare ogni volta la trafila del macchinario, contenente residui carnei, riponendola in frigorifero, non è semplice né rapida e comporta un’ulteriore manipolazione.

    Un’alternativa, seguita soprattutto nella grande distribuzione ma anche in macellerie classiche con una buona mole di lavoro, è costituita dalla preparazione, in un’unica sessione di macinatura, di una certa quantità di carne destinata alla vendita della giornata (o di un più breve periodo), con sanificazione del tritacarne in attesa del successivo utilizzo e adeguata conservazione del prodotto nel banco o nella cella (+2 °C).

    Tale modalità sottende il rischio commerciale di dover eliminare le quantità eventualmente avanzate alla fine della giornata, che non possono essere lasciate al giorno successivo (si veda a tal proposito la Circolare dell’Alto Commissariato per l’Igiene e la Sanità Pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri n. 22 del 25/02/1957, tuttora attuale).

    Fase vendita

    Questa fase si risolve con il prelievo del prodotto dal banco, associato alle operazioni di cui alla fase precedente, e con la pesatura e l’incarto, con consegna finale al cliente. Anche in questo caso le procedure di igiene, in particolare riferite al personale, consentono di tenere sotto controllo il rischio, che non è ritenuto elevato.

    Si aggiunga che in questa fase interviene il materiale d’incarto (fogli di carta, sacchetti plastici, pellicole), che deve essere considerato nelle procedure di selezione dei fornitori e risultare, eventualmente da documentazione allegata, idoneo a venire a contatto con gli alimenti, e che deve essere conservato in buone condizioni igieniche.

    Gestione del rischio e monitoraggio dei CCP

    Come si è visto, i CCP sicuramente individuabili nel processo ipotizzato sono le fasi di stoccaggio e di esposizione per la vendita, limitatamente ai prodotti deperibili (carni fresche, prodotti di salumeria freschi e cotti) ed in riferimento al pericolo di moltiplicazione microbica.

    Per limitare il più possibile il rischio, vale a dire la possibilità che il pericolo si verifichi, occorre individuare una misura preventiva, che è costituita dal mantenimento dei prodotti ad adeguata temperatura.

    Si farà quindi uso di una cella frigorifera nella fase di stoccaggio e di un banco espositore, anch’esso frigorifero, con adeguata impostazione termica.

    Si consideri che l’art. 31 del DPR n. 327/1980 prevede che “gli spacci di vendita e i banchi di generi alimentari debbano essere forniti, sia nelle mostre che negli eventuali depositi, di mezzi idonei ad un’adeguata conservazione delle sostanze alimentari, in rapporto alla loro natura e alle loro caratteristiche”.

    È quindi indispensabile individuare il limite critico, che è definibile come il confine entro il quale il punto critico deve restare per essere considerato sotto controllo. Deve essere, in pratica, deciso quale sia il valore termico che non deve essere superato.

    Per le carni la normativa prevede i valori termici sotto riportati, che rappresentano il punto di riferimento scientifico, nonostante le norme che li definiscono siano applicabili agli stabilimenti riconosciuti e alle fasi di trasporto.



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