Capita troppo spesso di sentir circolare vere e proprie leggende metropolitane nei confronti di alcuni prodotti: uno di questi è il pesce siluro. Sono molte le voci e le convinzioni: dal fatto che le sue carni siano velenose per l’uomo, quindi non commestibili, al fatto che vivendo sui fondali le stesse presentino sentori di fango. È possibile affermare con certezza che entrambe le dicerie siano assolutamente false. Nel lago Sebino, come in molti altri laghi e fiumi italiani (ad esempio il fiume Po), si sente oramai da tempo la “pesante” presenza del pesce siluro. Una specie molto simile al pesce gatto, ma di certo non autoctona. La sua presenza viene infatti da anni contrastata dai pescatori e questo perché, nel tempo, la sua proliferazione abbondante lo ha reso una specie infestante che ha messo a rischio la sopravvivenza delle altre specie ittiche lacustri. I siluri pescati vengono d’obbligo eliminati, cosa che avviene per tutte le specie alloctone.
A Iseo, in provincia di Brescia, un giovane chef, Daniel Gallizioli, ha deciso di sfidare la comune convinzione che le carni di siluro non siano commestibili, iniziando con curiosità a trattarlo nella sua cucina dell’Osteria Ai Nidrì (Via Colombera 2, Iseo, Brescia, telefono: 030 9177054, www.osterianidri.it), di cui è titolare e cuoco. Sicuramente non il primo e non l’unico, ma la sua caparbietà l’ha reso protagonista nella preparazione di alcuni piatti di successo a base di siluro.
Era il 2020 quando prese in gestione l’osteria, avvicinandosi subito incuriosito alla lavorazione e trasformazione di questo pesce e scoprendone l’eccezionalità delle carni. «Chiesi ad alcuni miei fornitori di portarmi del siluro e questi, perplessi, mi risposero che non avevano mai ricevuto una richiesta simile, tanto che non sapevano nemmeno cosa scrivere sulla bolla di accompagnamento.
Una volta trovata la soluzione, ho iniziato a trattarlo, con l’obiettivo di provarlo e poi buttarlo via. Ma sfilettandolo mi sono accorto che possedeva una carne compatta, senza lische, estremamente lucida. Si è sfatata così una leggenda metropolitana e, raggiunta questa consapevolezza, ho deciso di puntarci forte, nonostante l’ostracismo di alcuni» racconta lo chef. Ed è così che oggi anche altre realtà del territorio hanno iniziato ad utilizzare questo pesce e sono sempre più le persone che, andando oltre alle proprie convinzioni, assaggiano le carni di siluro e ne rimangono piacevolmente stupite.
Un pesce da cui estrarre i due filetti, perfetti per qualsiasi utilizzo e dalle caratteristiche gustative delicate. Sono magistralmente trattati da Daniel, regalando piatti dal grande godimento gustativo, ma anche di facile approccio. A partire dal bertagnì di siluro, preparato come fosse un merluzzo, dalla sua tipica sapidità, ma che viene sostituito dalle carni delicate del siluro a bocconcini, passato in una pastella a base di birra e fritto. Viene servito con una maionese al lime montata al momento: da mangiare, un boccone dopo l’atro, rigorosamente con le mani.
Poi lo shabu shabu (inteso puramente come metodo di cottura a immersione per pochi istanti), con il siluro preparato alla mugnaia a ricordare la sogliola. I filetti vengono cotti appena, lasciandone una parte leggermente cruda all’interno, poi mantecati con un’acqua di zenzero e finiti con pangrattato insaporito, burro nocciola e limone.
Infine, la cotoletta di siluro, un piatto comfort che mette tutti d’accordo. Il filetto di siluro viene allargato e panato con farina, tuorlo d’uovo e pan grattato per essere poi fritto in burro chiarificato. Il piatto si completa con gamberi di lago sgusciati, la loro emulsione, prezzemolo e burro.
«Conosci il nemico e fattelo amico…» dice Daniel. E lui lo ha fatto. E, se è vero che la tradizione è un processo di acculturazione, questa è una direzione interessante, che strizza l’occhio anche alla primaria esigenza dei nostri tempi: la protezione dell’ambiente e delle specie autoctone, la sostenibilità della pesca e del consumo dei prodotti ittici e di origine animale.
Lara Abrati
Nota
Photo © Matteo Zanardi.
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