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Il pesce in tavola

Le alici, un patrimonio per la salute e per la tavola

di Manicardi N.

Ci rimandano sempre l’idea dell’estate e del mare, quasi fossero questi il loro periodo e il loro habitat unici ed esclusivi, ma il consumo di alici è vivamente consigliato in tutte le stagioni dell’anno e in tutti gli ambienti, montagna compresa. Perché l’alice (chiamata anche “acciuga”), questo piccolo e delizioso pesce azzurro, forse il più delicato di tutti, forse anche il più diffuso dato che lo si ritrova ancora in abbondanza in tutto il Mar Mediterraneo ma anche nel Mar Baltico e nell’Oceano Atlantico, è una miniera inesauribile di principi nutritivi apportatori di benessere per il nostro organismo dal punto di vista sia fisico che psichico. Le sue proprietà nutrizionali sono eccezionali e meriterebbero di essere maggiormente conosciute e utilizzate. È un alimento-base, quindi, della dieta mediterranea, che dovrebbe uscire dall’ambito tutto sommato ristretto in cui finora è stato confinato e che è quello dell’antipasto e del cocktail o, in origine, del mangiare povero dei pescatori.
L’alice è un patrimonio di salute che dovrebbe essere ancora di più conosciuto e valorizzato facendola diventare un piatto principale (settimanale, dunque) della nostra corretta dieta alimentare e non un contorno facoltativo o un di più occasionale. Unica avvertenza, oggi più che mai d’obbligo e da osservare con il massimo scrupolo: attenzione se e quando mangiate le alici crude perché potrebbero trasmettere il parassita Anisakis che provoca un’infezione gastrointestinale la quale si risolve nella maggioranza dei casi spontaneamente e abbastanza benignamente ma che, in generale, non va trascurata. Ciò non deve creare alcun allarme: innanzitutto perché la presenza di eventuali larve è visibile a occhio nudo e poi perché in ogni caso si elimina del tutto con il congelamento o con la cottura in entrambi i casi secondo determinati parametri di sicurezza fissati oggi anche per legge. È un problema, per altro, attualmente piuttosto diffuso in tutto il mondo a causa dell’aumentato e generalizzato consumo di pesce crudo come moda d’importazione giapponese (dove, infatti, l’anisakidosi è molto presente) e di cui si sta prendendo coscienza anche a livello di massa, sia pure con ritardo poiché è soltanto da pochi anni che se ne parla pubblicamente benché l'Anisakis sia noto nella letteratura scientifica dal 1845. Quindi, nessuna demonizzazione della nostra preziosa alice, ma soltanto un po’ di sana prevenzione sanitaria che non guasta mai e di cui, d’altra parte, ben pochi sembrano preoccuparsi quando vanno nei locali alla moda a sborsare fior di quattrini per pesci crudi di dubbia o ignota provenienza.
Le norme igieniche e profilattiche da osservare, a livello sia italiano che comunitario, sono del resto piuttosto semplici e prevedono, in sintesi, che le larve vengano completamente uccise in seguito al congelamento (a –20 °C o anche meno per almeno 24 ore, meglio se per 3-4 giorni, normativa CE 853/2004 approvata dal Parlamento Europeo) e/o in seguito a cottura per almeno 1 minuto a una temperatura attorno ai 65-70 °C oppure mediante immersione in salamoia per circa 1 mese (per il congelamento fate però attenzione che, tra i congelatori domestici, solo quelli a tre o quattro stelle sono in grado di raggiungere la temperatura richiesta, mentre quelli a una o due stelle raggiungono rispettivamente una temperatura non sufficiente di –6 e –12 °C).
In Italia inoltre è vietato a ristoranti e punti di ristorazione collettiva servire pesce crudo, marinato o affumicato a freddo salvo che non sia stato precedentemente congelato (–20 °C) per almeno 24 ore (Ordinanza Ministeriale del 12/05/1992 – Misure urgenti per la prevenzione delle parassitosi da Anisakis). La normativa prescrive per i ristoratori l’obbligo di munirsi di abbattitori di temperatura in relazione ai quantitativi di prodotto che si intendono trattare.
Più restrittiva ancora la normativa degli Stati Uniti dove la FDA (Food and Drug Administration) raccomanda il congelamento ad almeno –35 °C per 15 ore o ad almeno –20 °C per 1 settimana mentre la CDC (Centers for Disease Control and Prevention) raccomanda la cottura dei prodotti ittici ad almeno 63 °C o il congelamento ad almeno –20 °C per 1 settimana oppure ad almeno –35 °C fino alla solidificazione con immagazzinamento a –35 °C per 15 ore o a –20 °C per 24 ore.
Fatte salve queste precauzioni, godiamoci quindi il nostro pesciolino e i meravigliosi doni nutrizionali che da tempo immemorabile ci offre e che non solo può ma anche deve continuare a offrirci per garantirci perfetta salute. L’alice infatti addirittura si distingue fra tutti i pesci azzurri per il suo straordinario apporto nutrizionale costituito da un’altissima percentuale di calcio, ferro (altamente assimilabile, come nella carne rossa, ma con il vantaggio di non essere associato a elevate proporzioni di grassi saturi e colesterolo), zinco, potassio, fosforo, proteine, vitamine (A e B) e Omega-3.
Di questi ultimi in particolare, acidi grassi polinsaturi, è adesso ormai ben nota l’indispensabile funzione di abbassare i trigliceridi e i valori del colesterolo LDL (quello “cattivo” che si deposita sulle pareti delle arterie) senza influire sulla concentrazione dell’HDL (colesterolo “buono”), con effetto quindi anti-arteriosclerotico dovuto specialmente alla presenza dell’acido linolenico e al suo prodotto di catabolismo, l’acido eicosapentanoico (EPA), in grado di stimolare la produzione delle prostaglandine della serie-3, potenti antinfiammatori, antiaggreganti piastrinici e vasodilatatori.
Quanto al valore energetico, 100 g di alici apportano in media 96 kcal, 16,8 g di proteine, 2,6 g di grassi e 1,5 g di carboidrati. Viene chiamato “pesce povero” ma, come si vede, di povero ha soltanto l’accesso alimentare, cioè quella diffusione in mare che lo rende, o lo rendeva, così abituale e facilmente accessibile agli strati più umili della popolazione, specialmente pescatori. Purtroppo questa definizione, di carattere più che altro antropologico ed etnografico, unita anche alle piccole dimensioni dell’alice, ha avuto l’effetto di svilirne l’apporto nutrizionale che in realtà, come abbiamo appena visto, è ricchissimo.

Alici crude
Fatte salve le avvertenze di cui sopra, il modo migliore di consumarla dovrebbe continuare ad essere a crudo per non ridurre o danneggiare i nutrienti. In tal caso potremo ricorrere alla preparazione più antica e tradizionale, quella marinatura che i pescatori delle nostre coste, soprattutto quelli del Tirreno e, in particolare, della Campania (nello specifico il Cilento), utilizzavano come pasto principale del loro scarso ma assai salutare nutrimento quotidiano. La marinatura è una preparazione che serve a insaporire, conservare e ammorbidire sia pesci che carni i quali in questo modo vengono come “cotti” a freddo. La versione probabilmente più antica è la salamoia, in cui gli alimenti venivano conservati in acqua salata, di mare (da cui il nome). In seguito tale acqua è stata sostituita da aceto di vino bianco, spesso accompagnato da succo di limone, che “cuoce” leggermente le carni, ma senza sale, che farebbe fuoriuscire i succhi dei pesci e delle carni (a meno che non si debbano superare le 48 ore di marinatura, come nelle produzioni industriali, perché in tal caso il sale aiuterebbe nella conservazione).

Alici marinate
Ricetta semplicissima e gustosissima, da veri intenditori. Gli ingredienti sono esclusivamente alici, aglio, limone, prezzemolo, olio evo, pepe e sale (in questa e in tutte le ricette che seguono è sempre indicata la presenza del sale, che a mio avviso si può benissimo omettere anche totalmente a maggior vantaggio della nostra salute visto che abitualmente ne assumiamo in eccesso). Occorre innanzitutto pulire le alici (assicuratevi che siano fresche e sane!) eliminando le teste e le interiora. È preferibile effettuare questa operazione indossando guanti di lattice. Per pulire le alici bisogna prima staccare le teste e poi far scorrere il pollice lungo il ventre per aprirle completamente, a libro. Togliete poi la lisca centrale e le interiora ricavandone dei filetti che — dopo averli ben sciacquati in acqua corrente e con molta attenzione per non romperli e comunque per non dividere i due lembi — vanno immersi nella marinatura di aceto e limone o anche soltanto di uno dei due. Attenzione perché a seconda della marinatura cambiano i tempi di immersione: se è di solo aceto, 12 ore; se è di solo limone 3 o 4 ore; se è di entrambi 5 ore. Alla fine si dispongono i filetti in un recipiente (piatto o tegame) uno accanto all’altro, belli distesi, e si condiscono con gli altri ingredienti. Coprire con una pellicola trasparente e lasciare riposare almeno 5 ore a temperatura ambiente. Si consiglia di consumare subito.
Le alici marinate vengono servite quasi sempre come antipasto dato che la marinatura rende questi pesci ancora più piccoli e perciò poco soddisfacenti per l’occhio. Danno l’idea che ci si possa saziare poco, insomma. Ma un bel piatto di alici marinate con del buon pane casereccio e un bicchiere di vino altrettanto genuino costituiscono invece un piatto completo e assolutamente nutriente. Provare per credere. Nel loro utilizzo “moderno” in chiave di antipasto vengono spesso accostate, anche nei ristoranti, al cocktail di gamberetti o al carpaccio di pesce spada o all’insalata di polipo.

Alici cotte
Il modo migliore per preservare le caratteristiche nutrizionali delle alici è la cottura al forno, ma anche al tegame il risultato è garantito. Proponiamo qualche ricetta nel box a pgina 68. Immancabile è la ricetta con gli spaghetti, che si prestano ancora una volta ad un abbinamento ideale con il pesce. Si condiscono con una salsa di alici, pomodori pelati, aglio e olio, cotta per una decina di minuti. Si mantecano gli spaghetti e si cosparge di prezzemolo tritato. E poi, naturalmente, non possiamo dimenticare le alici come ingrediente fondamentale sulla pizza, declinata nelle tante varianti che l’italica fantasia ha saputo creare con arte sopraffina.


Nunzia Manicardi



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