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Ambiente

Sta per scomparire l'italico gambero di fiume

di Manicardi N.

 

Il nome scientifico può sembrare difficile, Austropotamobius pallipes (Lereboullet, 1858), né paiono più agevoli i sinonimi: Astacus pallipes, Atlantoastacus orientalis, Atlantoastacus orientalis carinthiacus, Atlantoastacus pallipes rhodanicus, Austropotamobius (Atlanoastacus) pallipes lusitanicus, Austropotamobius (Atlantoastacus) berndhauseri, Austropotamobius italicus carsicus, Austropotamobius pallipes italicus. Molto più semplice, allora, chiamar­lo con il nome comune e familiare di “gambero di fiume”, adatto a ben descrivere questo crostaceo d’acqua dolce che vive nei torrenti e nei rivi particolarmente ossigenati e di cui, in Italia, l’unica specie autoctona è Austropotamo­bius pallipes (con la sottospecie A. p. ita­licus faxon). In questo articolo ci occuperemo esclusivamente di questi gamberi di fiume e non dei gamberi d’acqua dolce in genere, che comprendono anche i gamberi di lago e, naturalmente, quelli provenienti da allevamento.
Il gambero di fiume preferisce i letti ghiaiosi o sabbiosi, ma dotati di rive in cui siano presenti anfratti e luoghi sicuri, rappresentati spesso da fronde di alberi caduti o da foglie, per potersi nascondere e riposare. Essendo un organismo stenotermo freddo, predilige i corsi d’acqua montani, freschi e di elevata qualità ambientale, non troppo turbolenti e con temperature massime dell’acqua pari a 20-22°C (a temperature più elevate non sopravvive). Il pH ideale va dalla neutralità pH 7 a pH 8; molto importante per la creazione dell’esoscheletro è la presenza di una certa concentrazione di sali di calcio. Da tutto ciò, e anche dal titolo dell’articolo, avrete quindi capito che oggi (ma già da parecchi anni) l’habitat di questo crostaceo è fortemente a rischio. I problemi di inquinamento idrico che rendono difficile la sua sopravvivenza sono riscontrabili in diversa misura pressoché in quasi tutti i paesi europei dove la specie è diffusa (Portogallo, Spagna, Francia, Gran Bretagna, Irlanda, Austria — da cui ha preso parte del nome —, Svizzera, Italia, Slovenia, Bosnia ed Erzegovina, Russia e Croazia), anche se è soprattutto l’Italia a presentare i maggiori pericoli. In alcuni dei paesi citati questo crostaceo viene chiamato anche “gambero dai piedi bianchi” per la caratteristica colorazione degli arti e del ventre che contrasta con il resto del corpo. Quest’ultimo può variare dal bruno rossiccio al verde scuro, talvolta con sfumature giallastre. Particolarmente tozzo e dal carapace robusto, il gambero di fiume può raggiungere gli 11-12 centimetri di lunghezza e i 90 grammi di peso. I maschi sono più grandi delle femmine.

Sa difendersi bene, ma quanti nemici e quanti pericoli!
Oltre ai pericoli indotti artificialmente, i gamberi di fiume devono sfuggire continuamente a numerosi predatori naturali che, come l’uomo, ne apprezzano le carni. Le larve, specialmente, sono spesso oggetto di cattura da parte di altre larve grandi cacciatrici, come quelle dei coleotteri idroadefaghi (che si nutrono in acqua) quali i Ditiscidi, o delle libellule, anch’esse particolarmente voraci allo stadio larvale, che possono predare persino i piccoli gamberetti. Tra i pesci predatori vanno ricordati la trota, il persico sole, il persico trota, l’anguilla e il cavedano. Anche i corvi, oltre a molti uccelli trampolieri, ne vanno ghiotti.
Il povero gambero di fiume, nonostante le relativamente piccole dimensioni, si difende strenuamente dagli attacchi nemici, rivelando un’indole aggressiva, soprattutto nella difesa del territorio e nelle lotte sessuali. Non di rado, infatti, si catturano esemplari con arti o chele parzialmente o totalmente mutilati.
Per la nutrizione ha poche pretese e si accontenta di quello che c’è: è un animale onnivoro, prevalentemente notturno, il cui cibo va dalle alghe alle piante acquatiche, dai vermi ai molluschi e agli insetti, dalle larve di anfibi e pesci ai vegetali acquatici e ai detriti organici.
L’accoppiamento avviene soprattutto in autunno. La femmina porta sull’addome per 5-6 mesi le uova fecondate (circa un centinaio), prendendosene cura, ventilandole e pulendole continuamente fino alla schiusa in primavera, anche se le piccole larve rimangono ancora per qualche tempo aggrappate al corpo materno. In seguito si accrescono per sviluppo diretto.
Nel primo anno di vita subiscono 5-6 mute, durante le quali l’esoscheletro chitinoso viene abbandonato per alcuni giorni per consentire l’accrescimento corporeo. Nell’adulto ciò avviene, di norma, una sola volta l’anno. Da segnalare (altro fattore di rischio per la sopravvivenza) che la crescita dei gamberi, attraverso queste mute successive, è molto lenta, tanto che per raggiungere i 9 centimetri di lunghezza sono necessari almeno 4 o 5 anni.

Il grande predatore americano
In Italia oggi la specie — presente, e in quantità molto limitata, solo in alcune sporadiche zone — è considerata vulnerabile in base ai criteri della IUCN Red List (www.iucnredlist.org), mentre fino a non molti anni fa essa era segnalata in quasi tutti i torrenti alpini e appenninici. I fattori che più ne minacciano la sopravvivenza nelle nostre acque sono di due tipi e sempre riconducibili ad attività umane indiscriminate e incontrollate. Innanzitutto, il già rammentato inquinamento idrico — collegato anche allo sfruttamento a fini idroelettrici di numerosi torrenti, con drastiche diminuzioni di portata in alveo e conseguente depauperamento della funzionalità ecosistemica dei torrenti captati — a cui deve aggiungersi la presenza di crostacei esotici, non autoctoni, spesso sfuggiti da allevamenti. Tali specie sono in particolare il Procambarus clarkii (il terribile “gambero della Louisiana” o gambero “americano”, un vero e proprio killer!), l’Orconectes limosus, anch’esso di origine americana, e l’Astacus leptodactylus di origine turco-asiatica. La presenza di questi predatori esotici provoca due effetti entrambi nefasti: la competizione per le risorse, che ovviamente si risolve a danno del ben più debole gambero nostrano, e l’introduzione di malattie sconosciute alla specie autoctona, e quindi molto meno tollerate. In particolare, con i gamberi “americani” si è introdotto anche il fungo Aphanomyces astaci che ha causato un’elevata moria nel nostro Austropotamobius pallipes.

Mancanza di ossigeno e presenza di metalli nell’acqua
A sua volta, l’inquinamento organico diminuisce il tenore di ossigeno nelle acque, rendendo impossibile la presenza del gambero, mentre l’inquinamento inorganico, dovuto principalmente ai metalli pesanti contenuti negli anticrittogamici, va a sua volta ad aggredire mortalmente il piccolo crostaceo. Dovremmo meravigliarci se ciò non succedesse! Anzi, non è più neanche possibile affidarsi alla presenza di crostacei nei corsi d’acqua per dedurne, come si faceva un tempo, che l’acqua sia di ottima o anche soltanto di qualità, poiché il crostaceo c’è, sì, ma è il predatore e non il nostrano, con tutti i guai che ne derivano o che ne sono già derivati!

Un alimento povero un tempo molto diffuso
Dulcis in fundo, bisogna aggiungere al triste elenco dei nemici del gambero di fiume il bracconaggio, poiché esso è da tempo immemorabile una fonte nutritiva importante delle popolazioni di montagna. Una risorsa povera, semplice, dato che i gamberi si pescavano con quello che si aveva a disposizione, anche soltanto un pezzo di rete o un barattolo. Una volta, quella del gambero, era una pesca commisurata al fabbisogno locale e quindi non invasiva, ma poi è andata sempre più sviluppandosi a livello commerciale, riducendo drasticamente la quantità della specie. Tipico al proposito è il caso della Turchia, che traeva da ciò una delle maggiori fonti di guadagno finché il calo delle quantità non ne ha decimato il numero, insieme con l’epidemia provocata dalla peste del gambero. Non dimentichiamo, inoltre, che spesso viene spacciato per gambero di fiume il comunissimo scampo, tra l’altro di pezzatura molto più piccola (e di valore commerciale molto inferiore), approfittando del fatto che il cliente di solito non ne conosce l’aspetto. Spesso, infine, quelli che si trovano in Italia provengono da altri paesi, come la Repubblica Ceca.

Progetti di allevamento e ripopolamento
Per fortuna sono in atto, in varie zone d’Italia (parco dell’Adamello, valle del fiume Ticino, parco del Gran Sasso e Monti della Laga, Appennino modenese, ecc…), alcuni progetti di allevamento ai fini del ripopolamento che stanno dando dei buoni risultati (come il “Progetto Life Rarity”).
Tutti i progetti hanno come finalità quella di ricostituire piccole popolazioni autonome di gamberi in alcuni corsi d’acqua provvisti delle caratteristiche ecologiche e chimico-fisiche idonee alla specie, verificando nel contempo le cause della sua scomparsa in loco. Le fasi d’intervento sono generalmente le seguenti (prendo ad esempio l’iter adottato nel progetto per il parco Adamello della Val Camonica):
ricognizione della presenza e della distribuzione del gambero fino ai tempi il più possibile recenti anche mediante ricerche bibliografiche;
censimento delle consistenze del­la specie sia all’interno dell’area da ripopolare che in territori ad essa limitrofi;
prelievo di esemplari di Austropotamobius pallipes in alcune zone dove ce ne siano ancora abbastanza, previo accertamento della compatibilità genetica degli individui da immettere;
stabulazione, se necessaria, e successivo rilascio di piccole popolazioni di gambero in alcuni corsi d’acqua idonei all’interno dell’area da ripopolare;
monitoraggio delle neopopolazioni ricostituite;
interventi di divulgazione, con finalità didattiche, dell’intervento di ricostituzione biologica eseguito sulla specie in questione.
Si spera in questo modo di salvaguardare almeno la possibilità di esistenza della specie.


Nunzia Manicardi



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