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Editoriale

Lo studio dei batteri acquatici, tema di grande attualità  a più di 300 anni dalla scoperta

di Serratore P.

L’interesse per lo studio di microrganismi è sorto più di trecento anni fa, assieme alle prime realizzazioni degli strumenti ottici antesignani del microscopio moderno. Nel diciassettesimo e diciottesimo secolo non esistevano scienziati di professione, pertanto l’attività scientifica veniva svolta da personaggi che vi si dedicavano per puro interesse personale, spinti soltanto dalla sete di conoscenza. In ogni campo della scienza le grandi scoperte furono fatte da dilettanti e non fa eccezione la microbiologia: la prima descrizione ed illustrazione di forme batteriche la si deve all’olandese Antoine van Leeuwenhoek (1632-1723), mercante della cittadina di Delft, che fece le prime osservazioni del mondo microscopico proprio sull’acqua.

Nonostante questo lontano esordio, si può dire che solamente nel diciannovesimo secolo si sono fatti progressi significativi nel campo della microbiologia acquatica, sulla scia degli studi compiuti da Louis Pasteur e Robert Kock riguardo alla batteriologica medica. Rilevanti furono gli studi di Winogradsky (1888) sui batteri fotosintetici e sulle così dette alghe azzurre, successivamente classificate come cyanobatteri, che portarono alla scoperta della capacità del tutto peculiare di questi organismi di utilizzare l’azoto atmosferico per la sintesi dei costituenti cellulari. Il ventesimo secolo vede evolversi grandemente lo studio di settore, in particolare in campo marino, e qui merita ricordare il nome di Zobell, che con la sua attività trentennale, svolta tra il 1938 ed il 1965, può a ragione essere considerato il padre della batteriologia marina moderna. I batteri acquatici, sono estremamente vari: alcuni sono autoctoni e specifici, altri provengono da fonti esterne quali il suolo, l’aria, le piante, gli animali, le attività antropiche. I batteri autoctoni, considerati tali in quanto generatisi all’interno di un determinato ecosistema, sono in esso costantemente presenti, indipendentemente dalle fluttuazioni di particolari nutrienti, al contrario i batteri alloctoni appartengono ad un determinato ecosistema solo transitoriamente, anche se non necessariamente per periodi brevi, in relazione alla presenza di determinati nutrienti. In ogni caso sulla composizione delle popolazioni microbiche hanno grande influenza il carico organico e minerale, il pH, la torbidità, la temperatura, le correnti e più in generale i fattori meteoclimatici.

La distribuzione dei microrganismi in un corpo idrico, sia in relazione al numero che alle specie, dipende dall’interazione fra fattori biotici ed abiotici. Questi fattori risultano estremamente variabili, di conseguenza la stessa composizione dei popolamenti microbici è non solo estremamente varia, al punto che si può dire non esistano due fiumi o due laghi o porzioni di mare in cui sia esattamente la stessa, ma anche costantemente soggetta a cambiamenti. D’altra parte ogni ecosistema non rappresenta altro che un consorzio strutturato sull’attività di determinati organismi viventi, aperto alle influenze esterne e capace, entro certi limiti, di autoregolamentazione. Così come le alghe ed i cyanobatteri sono da considerarsi i grandi produttori di sostanza organica nelle acque, i batteri eterotrofi ed i funghi inferiori presenti nelle acque vanno considerati come i grandi demolitori della sostanza organica. Questo importantissimo ruolo nel ciclo della materia, ovvero nei processi di remineralizzazione della sostanza organica, è dovuto al fatto che i batteri sono virtualmente capaci, nel loro insieme, di trasformare tutti i composti organici nei componenti dai quali essi sono originari.

Oltre al ruolo di degradatori-mineralizzatori, i batteri entrano nelle reti trofiche degli ecosistemi acquatici anche come produttori primari, mediante il gruppo degli organismi foto- e chemioautotrofi, e come produttori secondari in quanto rappresentano essi stessi una precisa fonte alimentare per organismi superiori quali i zooplanktoni, alcuni metazoi del bentos, ed altri filtratori tra cui i molluschi bivalvi. Nonostante la cospicua produzione di studi, le nostre conoscenze sul mondo dei batteri acquatici sono da ritenersi ancora largamente incomplete se paragonate a quelle relative ad altri gruppi di viventi, piante ed animali.

La ragione di ciò è da ricercarsi prevalentemente nell’approccio metodologico. Infatti risulta relativamente semplice valutare le popolazioni batteriche in relazione ad aspetti puramente quantitativi (numero totale valutato con mezzi ottici o chimici) e per gruppi fisiologici, cioè mediante la valutazione di gruppi di per attività metabolica specifica (proteolisi, degradazione della cellulosa, riduzione dei nitrati e dei solfati ecc.). Al contrario le indagini più specifiche, ivi compreso l’approccio tassonomico, risultano difficili oltre che estremamente dispendiose.

Accade dunque che il sorgere di determinate problematiche quali quelle relative alle disfunzioni dell’ecosistema marino, vedi ad esempio la massiccia produzione di mucillagini segnalata nell’ultimo decennio in Adriatico, o le problematiche di tipo igienico sanitario, relative al consumo di alimenti marini, trovino spesso il mondo scientifico impreparato a dare risposte certe. D’altra parte considerato che la cultura moderna pone con forza il tema dello sviluppo sostenibile, non è pensabile prescindere dalla necessaria conoscenza degli ecosistemi nelle loro specifiche componenti e delle loro possibili interazioni.

Dunque lo studio dei batteri acquatici è come un grosso libro del quale appare sempre più opportuno riempire le pagine non ancora scritte. Il mondo della ricerca è probabilmente in attesa dei mezzi, soprattutto economici, per misurarsi con questa sfida.

Patrizia Serratore

 

Note

Per eventuali approfondimenti consultare:

1) Rheinheimer G. (1985) Aquatic Microbiology. J. Wiley & Sons eds. 3rd ed . Jena, Germany.

2) Austin B. (1988) Methods in Aquatic Bacteriology. J. Wiley & Sons eds. Newcastle upon Tyne, G.B.



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