Sullo stoccafisso si è detto e scritto molto ormai da secoli. Alle infinite pagine scritte sinora, da alcune settimane si aggiungono quelle del volume Nel segno del baccalà pubblicato dalla casa editrice veneziana Marsilio per gli autori Flavio Birri, intellettuale della città lagunare, e Carla Coco, siciliana, orientalista, trapiantata a Venezia.
Nel volume si ripercorre la storia dell’arrivo in Italia del merluzzo essiccato. Una vicenda curiosa e avventurosa che ha come protagonista un ricco mercante veneziano. Pietro Querini il 25 aprile 1431 parte da Candia (Creta) con la sua cocca carica di mercanzie e molto vino, per raggiungere le Fiandre. La rotta è la solita. Si raggiunge Gibilterra, si costeggia la penisola iberica, sino al golfo di Biscaglia, si prosegue lungo la costa francese e si imbocca il canale della Manica. La nave, che stazzava circa 450 t, viene investita da una violenta tempesta nel Mare del Nord. È naufragio! L’equipaggio mette a mare le scialuppe e si salva. Dopo settimane i veneziani toccano terra il 5 gennaio 1432, in un’isola inospitale di nome Roest, nell’arcipelago delle Lofoten, che nel suo linguaggio colorito il navigatore della Serenissima chiama "Culo Mundi". Dopo un mese di patimenti i naufraghi incontrano i pescatori locali. Tra germanico, francese e latino si fanno intendere. Essi spiegano le loro disavventure e trovano ospitalità disinteressata per tre mesi.
Allibita, la ciurma alloggia nelle case dei locali in una inusuale commistione di uomini e donne. Il soggiorno fu paradisiaco, a detta dei maggiorenti di bordo della nave del Querini, e qualche segno lo lasciano alle Lofoten se, a quanto si dice, lassù esistono uomini e donne dalle sembianze mediterranee.
La vita dei pescatori e le loro abitudini saranno poi descritte da due suoi nocchieri, Fioravante e Michiel, al ritorno. Essi descrivono la pesca con dovizia di particolari: "Prendono fra l’anno innumerevoli quantità di pesci, e solamente di due specie: l’una ch’è in maggior anzi incomparabil quantità, sono chiamati "sticfisi"; l’altra sono passare, ma di mirabile grandezza… I stocfisi seccano al vento e al sole senza sale e perché sono pesci di poca umidità grassa, diventano duri come legno. Quando li vogliono mangiare li battono col roverso della mannara che gli fa diventar sfilati come nervi, poi compongono butirro e specie per darli sapore: ed è grande ed inestimabile mercanzia per quel mare".
A Venezia in quegli anni prende gran vigore la narrazione dei viaggi per l’indubbio interesse economico e sociale ch’essi avevano nella vita del tempo. A volerlo è Gian Battista Ramusio, giovane segretario del Senato della Repubblica. Nella monumentale opera Navigazioni e viaggi pubblicata a Venezia nel 1559 viene riportata la relazione manoscritta di Fioravante e di Michiel, ora conservata alla Biblioteca Nazionale Marciana, e quella di Pietro Querini finita misteriosamente alla Biblioteca Apostolica Vaticana di Roma.
Che valore avesse lo stoccafisso in quegli anni in cui la conservazione del cibo era problematica è immaginabile. I veneziani approdati alle Lofoten dicono che lo stoccafisso veniva portato a Berge (Bergen) e di lì, ove giungono navi da molte parti, spedito in Alemagna, Scocia, Prussia e Inghilterra. Così con il solo pesce gli abitanti di queste terre "in culo mundi" si procurano ogni sorta di mercanzie. Pietro Querini, lasciate le Lofoten, naviga verso Trondheim ove, appena giunto, apprende che in una località vicina, Vadstena, vi è un veneziano di nome Zuane (Giovanni) Franco, eletto cavaliere dal re di Dacia, ricco e benestante. Raggiunto il castello di costui e accolto con grande simpatia e generosità, secondo il costume delle genti venete, presso di lui si trattiene qualche tempo. Dal concittadino riceve aiuto, cavalli e con l’aiuto di suo figlio scende al porto più prossimo, ove si imbarca su di una nave diretta a Londra e di qui dopo due mesi riparte per Venezia, attraversando a cavallo l’Europa in 24 giorni.
Siamo alla fine del 1432. Nella città natale il Querini riabbraccia i parenti che nulla sapevano delle sue peripezie e racconta la sua avventura, dà informazioni sui paesi scandinavi, sui loro usi alimentari, sulla pesca e su Zuane Franco, esempio di veneziano che aveva raggiunto una ragguardevole posizione economica in Dacia.
Arrivano così a Venezia notizie e dettagliate informazioni sullo stoccafisso dei mari freddi del Nord, ma esso era già conosciuto da quasi un secolo a Parigi e certamente anche a Londra e nell’area anseatica.
Sul termine "stoccafisso" non paiono esservi incertezze. Il termine deriva dall’antico olandese stokvisch (stock = bastone e visch = pesce), ovvero pesce essiccato sul bastone.
Assai più enigmatica e dubbia è l’origine del termine "baccalà" che in Veneto e Friuli è sinonimo di stoccafisso, ovvero merluzzo essiccato, mentre correttamente così si chiama, o è definito, il merluzzo salato.
Baccalà deriva dallo spagnolo bacalso usato per la prima volta nel 1519? Alcuni pensano che quest’ultimo derivi dall’antico olandese kabeljauw per metatesi, ovvero inversione dei suoni. Oggi altri pensano abbia origine dall’etimo romanzo cabilh, capo, testa, ovvero pesce testuto, altri ancora del latino baculus, bastone. Insomma l’origine del termine baccalà resta misteriosa.
Nella storia italiana lo stoccafisso riappare al Concilio di Trento ove fanno capolino quaranta stoccafissi venuti al seguito di qualche prelato. Di lì se ne parlerà più volte e il baccalà comparirà nella cucina ufficiale italiana attraverso le ricette della mensa papale nell’Opera di Bartolomeo Scappi, cuoco secreto (privato) di Pio V, pubblicata a Venezia da Michele Tramezzino nel 1570. Il volume si dilunga nelle historiae del baccalà che dell’Italia orientale è divenuto da cibo dei poveri a leccornia dei ricchi.
Per chiudere questo invito alla lettura di questo succosissimo saggio ricco di ricette e vicende storiche è opportuno ricordare anche ciò che in esso non si dice, e cioè che nel 1848, quando Daniele Manin, ultimo doge della Serenissima Repubblica, cacciò gli austriaci dalla laguna con strenuo ardimento del popolo di Venezia, la gente poté sopravvivere grazie ai magazzini che la ditta Block, norvegese, aveva costituito in città, in quel momento ricolmi di baccalà, ovvero stoccafisso.
Insomma le merlucce secche delle Lofoten si intrecciano con pagine di storia italica che vale la pena di leggere nel volumetto Nel segno del baccalà di Birri e Coco edito da Marsilio nella collana "Gli Specchi".
Fabrizio Ferrari
Università di Padova
Dipartimento di Sociologia
Per abbonarti a una nostra Rivista o acquistare la copia di un Annuario