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Buona carne non mente

S. Ilario: il prosciutto di una volta

di Guizzo E.


«Ebbene io credo di poter dire che lo spartito è unico ma cambiano gli interpreti»
Piero Montali


«Il mio lavoro non è diverso da quello di tanti miei colleghi stagionatori di prosciutti: c’è la stessa passione, la voglia di imparare sempre qualcosa per riuscire meglio, per avere successo sul mercato. È un mestiere che non ha segreti ma, come per la tastiera di un pianoforte, non basta conoscere le note per far sprigionare la musica». Piero Montali, solista del Prosciutto di Parma, se n’è andato nel 2018 e ci ha lasciato delle bellissime parole. L’arte e la passione lo portarono ad aprire, a soli trent’anni, il Prosciuttificio S. Ilario ubicato a Poggio S. Ilario, frazione del comune di Felino. Piero lo chiamò con lo stesso nome del patrono di Parma, con la speranza che portasse bene, e così è stato.
Qualche anno più in là, Piero acquisì un prosciuttificio a Mulazzano Ponte, nel comune di Lesignano de’ Bagni, sempre in provincia di Parma, che diventò la sede attuale, gestita oggi dai figli Stefano e Raffaele. Stefano segue la parte commerciale ed amministrativa, mentre Raffaele si occupa di selezionare la materia prima e della lavorazione.
Piero produceva prosciutti e coppe; queste ultime servivano per fidelizzare il cliente, mi spiega Stefano, «non avevamo nome e quindi mio padre faceva assaggiare ai potenziali clienti la coppa. Se il cliente rimaneva soddisfatto, era più facile vendergli il prosciutto». La coppa era la garante della qualità ed anticipava il parere positivo sul resto. «Mio padre era sicuro della qualità del suo prodotto e con tale consapevolezza lo valorizzava».
Piero Montali ha creato un valore inestimabile a livello qualitativo ed organolettico di prodotto, focalizzandosi sulla scelta della materia prima. Oggi come allora, l’azienda continua ad andare negli stabilimenti di macellazione a selezionare le migliori cosce. La scelta delle cosce esige un occhio attento, addestrato e formato sulla quantità di carne presente, sul grasso e sulla forma. «Il nostro prosciutto deve avere carne di qualità che supporti una lunga stagionatura e con grasso abbondante di copertura e di infiltrazione» spiega Stefano. Negli anni ‘80 si selezionavano circa 2.000 cosce a settimana, oggi il numero è diminuito, complice l’epidemia di PSA che ha ridotto la disponibilità delle cosce e la composizione nutrizionale delle carni suine, cambiate in maniera significativa sia in termini di quantità che di distribuzione del grasso sottocutaneo, oltre alla diminuzione dello spessore del lardo. Tutto ciò implica maggiori difficoltà nella scelta della materia prima.
Dopo la fase di selezione si procede con la rifilatura e la preparazione delle cosce alla salatura, punto sinergico della lavorazione del prosciutto. Le cosce vengono dapprima marchiate con il nome dell’azienda, la data di salatura e il numero di stabilimento CE, poi massaggiate per prepararle alla presa di sale umido distribuito sulla cotenna insieme a quello secco. Il sale, unico conservante ammesso dal Disciplinare del Prosciutto di Parma, proviene dalle saline pugliesi ed è macinato in azienda.
Dopo la salatura e un breve periodo in cella statica si procede a rimuovere il sale residuo dalle cosce, nuovamente massaggiate e risalate. Nella prima salatura la quantità di sale è la stessa in tutte le cosce, nella seconda, invece, la quantità è direttamente proporzionale al colore e all’acqua liberata dalla carne. Una fase certosina questa, dove l’esperienza del salatore è cruciale.
Il riposo delle cosce è un’alternanza tra celle statiche e ventilate. La ventilazione deve essere delicata al fine di garantire un’asciugatura morbida e la penetrazione del sale: qui nascono le prime muffe nobili che conferiscono sapori e profumi impreziosendo così le carni.
Dopo il riposo si procede con la tolettatura, che dona forma e tipicità al prosciutto ed evita il rischio di infiltrazioni d’aria che possono dar luogo a proliferazioni batteriche.
Terminata la tolettatura i prosciutti sono stoccati e appesi ai telai con una corda; a 100 giorni vengono lavati con acqua calda che toglie impurità e li fa rinvenire.
Dopo circa tre mesi dalla prima stagionatura delle cosce avviene la sugnatura: si “spalma” sulla parte magra la sugna (grasso di maiale, farina di riso, sale e pepe) per ammorbidire la crosta esterna del prosciutto, evitando così la formazione della barriera esterna e permettere la fuoriuscita di umidità dalla carne.
La stagionatura dura almeno un anno e mezzo: «il nostro prosciutto non è pronto prima dei 20 mesi, il profumo è il risultato di una qualità eccellente della carne, del poco sale usato e di una lenta maturazione non forzata. Più attenzioni si rivolgono ad esso e meglio risulterà» racconta Stefano.
Ogni prosciutto matura a modo suo.
Seguire un prosciutto significa controllarne attentamente il microclima che lo circonda poiché l’ambiente di maturazione è correlato alla temperatura esterna. Nelle cantine di stagionatura è presente un tubo perimetrale che genera aria calda al bisogno; tuttavia, se il cielo si fa sereno, è doveroso aprire le finestre.
La famiglia Montali produce circa 70.000 pezzi l’anno, il 70% dei quali è marchiato come Prosciutto di Parma DOP; il restante 30% invece è marchiato Riserva Sant’Ilario, un prodotto che gode della stessa selezione e degli stessi controlli di qualità previsti dal Consorzio di Parma.
Domando a Stefano quali requisiti debba avere un buon prosciutto. «Un colore chiaro, rosato, se ci riferiamo ad un prodotto con una stagionatura di 20/24 mesi (il colore diventerà più scuro con l’aumentare della stagionatura), un grasso di copertura abbondante ed un profumo che evochi la muffa nobile: dolce e soave. La delicatezza organolettica sopraggiunge alla vista, all’olfatto e al palato».
I principali clienti che beneficiano del crudo S. Ilario sono le salumerie, le gastronomie, le macellerie e i ristoranti ma non la Grande Distribuzione. «La mossa più importante l’ha fatta mio padre quarant’anni fa, quando decise di dare l’esclusiva ai dettaglianti. Questa scelta ci è costata molto ma ci ha portati ad essere quello che siamo oggi» racconta Stefano.
«Oggi S. Ilario è presente principalmente in Italia ed esporta circa il 7/8% in Europa, Francia in primis. La nostra azienda è la nostra famiglia, i nostri collaboratori sono la nostra forza. Siamo molto affezionati a loro e loro a noi».


Elisa Guizzo
Meat Specialist



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