In origine fu il burro. Burro “impastato” in zangola con la panna fresca, trasformato in panetti grazie a piccoli calchi di legno; alla vecchia maniera, come una volta, lentamente, panetto dopo panetto, senza la frenesia dei macchinari moderni.
Poi arrivarono i formaggi e la buona reputazione conquistata si consolidò, confermando il successo di Beppino Occelli, un marchio oggi con un bel ventaglio di prodotti: ad esempio, il Cusiè da latte di pecora e vacca o capra e vacca, stagionato almeno 4 mesi; o il mitico Valcasotto, 3-5 mesi di stagionatura, forma quadrata e latte vaccino. E ancora: da latte di pecora e vacca l’Occelli® al Barolo, formaggio a pasta dura affinato in vinacce arricchite da vino Barolo Docg e stagionato per alcuni mesi su assi di legno; o quello affinato in foglie di castagno, dopo aver maturato per circa un anno e mezzo.
Dietro tanta varietà, c’è soprattutto una bella storia imprenditoriale, quella di chi all’azienda ha dato nome e cognome, Beppino Occelli, un signore d’altri tempi, sobrio, pacato, gentile, mai sopra le righe nonostante il successo. Incontrarlo per farsela raccontare ha il gusto di un piccolo privilegio.
I suoi formaggi, invece, hanno quel sapore così ricco di sfumature che nasce soltanto da un mestiere esercitato con cura, passione certosina, attenzione alla qualità e scrupolo elevato al minimo dettaglio. Occelli li produce a Farigliano ma li affina a Valcasotto — entrambi in provincia di Cuneo —, in un piccolissimo borgo quasi disabitato, tra i monti del basso Piemonte verso la Liguria. Un paesino isolato, lontano dai centri urbani, immerso nella natura, senza inquinamento: poche e vecchie abitazioni, una buona trattoria e una “Casa del Grano”, voluta dallo stesso Occelli, che adesso vorrebbe far rinascere anche un forno sociale per la cottura del pane, utile alla comunità.
Qui a Valcasotto i tanti formaggi di Occelli maturano in un reticolo di grotte scavate nella pancia del borgo, a riposo su lunghe assi di legno. Anzi, legni diversi e locali, a seconda delle forme e delle necessità. Il legno più pregiato è quello da piante da frutto, pruni, albicocchi, ecc…, alberi con venature più grandi, “autostrade” che fanno maturare meglio il carattere del latte crudo, lasciando il marcatore del frutto stesso.
Forme curate, massaggiate, spazzolate, girate e spostate a mano da esperti affinatori. Poi si risale e, al piano stradale, si trova lo spaccio pieno di bontà.
Valcasotto è dunque un piccolo regno del formaggio, ma è anche il nome di una specialità nata da una ricetta antica, recuperata e reinterpretata; detto il “formaggio del Re” per la “Grangia Reale” di Valcasotto, ex casa di caccia dei Savoia, che all’epoca concedevano ai contadini l’usufrutto di alpeggi e pascoli estivi. E questi, in segno di gratitudine, contraccambiavano omaggiando la famiglia reale con l’ottimo Valcasotto.
A storia segue storia. Quella lavorativa di Beppino Occelli comincia negli anni ‘70, quando, dopo gli studi di elettronica, settore presto abbandonato, va a lavorare da due cugine che avevano una gastronomia a Torino, in via Garibaldi, occupandosi delle consegne agli ambulanti. «Avevo 22 anni — racconta — all’epoca ci fu un’improvvisa carenza di burro ed ebbi l’idea d’imparare a farlo. Feci un apprendistato a pagamento, perché così funzionava, in un’azienda casearia di proprietà svizzera, a Fossano. Pagavo 30.000 lire al mese per imparare, l’equivalente del mio stipendio.
Per due anni mi sono diviso fra la bottega delle cugine e il caseificio. Il primo anno lo trascorsi a raschiare la zangola, la botte di legno in cui si metteva il burro. L’anno dopo imparai a miscelare la panna, a misurare l’acidità, a far maturare il burro…».
Finito l’apprendistato cominciò dunque l’avventura imprenditoriale: Occelli comprava burro, lo re-impastava a caldo, faceva i panetti e lo andava a vendere.
All’epoca il papà era macellaio, la mamma insegnante e non giravano tanti soldi in casa, ma una zia farmacista aiutò il giovane Beppino a comprarsi un furgone Fiat per le consegne.
Le cose, però, ancora non ingranavano, perché il prodotto era considerato caro… «Compresi allora la differenza fra caro e costoso» sottolinea Beppino. «Capii che il costoso implicava un livello di qualità tale da giustificarne il prezzo. Il mio obiettivo, dunque, divenne di far percepire il burro costoso, ma non caro».
La prima trovata fu di puntare sulla panna fresca e così Occelli selezionò i caseifici dove, pagando un “premio”, si faceva scremare più latte per avere la panna da aggiungere al burro. Un giorno, poi, arrivò un rappresentante a proporgli una macchina che sminuzzava e impacchettava il prodotto, ma il prezzo era alto e Beppino decise di tornare ad utilizzare i calchi in legno, caduti in abbandono dopo la seconda guerra mondiale. A Torino, individuò un signore che conservava dei calchi nella sua bottega e che glieli cedette con la raccomandazione di farli bollire in acqua e sale per non far attaccare il burro e poi di bollirli di nuovo a fine giornata, per ripulirli.
Dopo la panna fresca, dopo la lavorazione in zangola e dopo i calchi di legno qualcosa ancora non tornava, perché il burro continuava a esser considerato caro…
«Ebbi così l’idea — sorride il signor Beppino — di indicare il prezzo su ogni panetto di burro e di far guadagnare di più anche il rivenditore, che in tal modo era motivato a spiegare ai clienti le caratteristiche del prodotto. Ogni panetto da 2,50 etti costava 1.050 lire e ogni cassetta ne conteneva 20. Fu un gran successo!».
Dopo il consolidamento e la notorietà acquisita con il burro, all’inizio degli anni Duemila Occelli decise di diversificare la produzione sui formaggi, i tomini freschi e la ricotta. Si faceva fare il formaggio dai contadini, raccoglieva le loro ricette e valutava i prodotti: tume di alta e bassa Langa, tume da latte di capra o di pecora, con differenze anche tra tume dei ricchi e tume dei poveri, le prime da latte di pecora con cagliate a 35-36 °C; le seconde ottenute da cagliate mescolate, del mattino e della sera, a temperatura di 13,5-14 °C, formaggi tipo la robiola da latte di capra.
Studiò anche gli stampini notando che i diversi drenaggi (dati dalle dimensioni e dalla forma dei fori di fuoriuscita del siero) davano formaggi diversi a partire dallo stesso ammasso di cagliata, utilizzato come base e rivestito da una tela, in attesa del passaggio finale in forma. Nacque in questo modo il Cusiè (dal dialettale “quello che c’è”), una cagliata di base che assorbe i profumi di ciò che le viene messo attorno e, grazie all’acidità, un formaggio senza caglio che caglia naturalmente.
Il tipo Cusiè è la base per gli Occelli® a latte vaccino o misto vaccino e ovino o misto vaccino e caprino prodotti in varie versioni: come già detto, al Barolo o affinato nelle foglie di castagno, o nel fieno primaverile maggengo, al malto d’orzo e whisky, al pepe nero e bacche rosa e al gin.
Testi e foto di Massimiliano Rella
Beppino Occelli Agrinatura Srl
Valcasotto – Stagionatura e spaccio
Via Santa Libera 14a
12087 Pamparato (CN)
Web: www.occelli.it
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