Non sono così lontani i tempi in cui nelle pianure e nell’area montuosa del Nord Italia il lardo e il grasso di maiale erano gli unici condimenti disponibili a basso costo. L’olio di oliva era un miraggio, un prodotto tipico del Centro-Sud della nostra penisola che arrivava raramente in queste zone. E quando arrivava, tralasciando il costo, le sue condizioni ossidative lo rendevano un prodotto poco affine ad essere gustato: rancido e sgradevole. Ecco che il lardo e lo strutto (prodotto attraverso la fusione del tessuto adiposo esterno come il lardo e quello interno all’animale) erano i soli grassi utilizzati nella cucina rurale e povera. Ancora oggi, nonostante le indicazioni dietetiche recenti mettano al bando l’utilizzo di grassi animali (grassi saturi) come condimento, non è un segreto vengano comunque utilizzati, ad esempio, nella preparazione delle tradizionali piadine e, nella versione pestato, anche per accompagnare tigelle e crescentine.
Varhackara e Pestàt di Fagagna
Nelle zone montuose del Friuli Venezia Giulia e del Carso si è tentato di preservare dalla loro sparizione completa due condimenti a base di lardo, tutelati anche dal presidio Slow Food: si tratta della Varhackara e del Pestàt di Fagagna. Il primo ha origine nella Carnia ed è nato per valorizzare il lardo, rendendolo un condimento goloso. Si produce a Timau, in provincia di Udine, e al confine con l’Austria, e ne è rimasto un solo produttore. Il lardo viene pestato insieme ad altri salumi, come speck e pancetta affumicata, con l’aggiunta di qualche erba aromatica e di noce moscata. Il tutto viene conservato in barattoli per essere utilizzato quale condimento di verdure, minestroni, zuppe, ma anche per insaporire sughi o accompagnare gli gnocchi di patate.
Il pestàt viene invece prodotto sempre in Friuli, a due passi da San Daniele, nel comune di Fagagna. è un insaccato a base di lardo fresco macinato con verdure (carote, sedano e cipolla), erbe come la salvia, rosmarino, porro, aglio e prezzemolo, poi le spezie. L’impasto viene insaccato in budello naturale e asciugato e stagionato per almeno 30 giorni: questa fase permette a aromi e sapori di amalgamarsi alla perfezione. Infine viene messo in vasetto, pronto per essere utilizzato come condimento, ad esempio per insaporire il minestrone, carni in umido o al forno, ma anche le verdure e le patate.
Condimenti di una volta, di cui non abusare, ma da tutelare, a testimonianza della nostra storia rurale e gastronomica.
Le denominazioni d’origine: lardo d’Arnad DOP e lardo di Colonnata IGP
Per quanto riguarda l’arte salumiera, oggi il lardo viene valorizzato nella sua essenza, anche grazie ad alcune denominazioni di origine. Lo strato di grasso che si trova appena sotto la cute del maiale, viene aromatizzato e lasciato a maturare. Così, grazie alla lipolisi, si producono sostanze aromatiche che lo rendono un prodotto apprezzato su tutte le tavole. Quando tagliato fine, all’assaggio è subito percepibile la sua infinita dolcezza, che lascia spazio alla lieve sapidità data dalla salatura del taglio. Poi la parte aromatica, sicuramente caratterizzata dalle essenze utilizzate per la concia, ma anche dai sentori come il tostato dato dalle sostanze aromatiche che si sviluppano grazie dalla degradazione dei grassi.
La parte utilizzata per la lavorazione e la produzione del salume è quella più pregiata: si tratta del grasso presente sul dorso, fino alla spalla. L’età e il peso dell’animale da cui proviene non è un dettaglio di poco conto, i migliori lardi si ricavano infatti da suini del peso di almeno 170-190 kg e da un’età superiore ai 9 mesi: carne e grasso sono maturi e possono stagionare al meglio.
Il meno conosciuto è quello tutelato dalla Denominazione di Origine Protetta: è il lardo d’Arnad, unico lardo DOP in Europa, prodotto artigianalmente e in quantità limitata in alcune zone della Valle d’Aosta. I suini devono provenire da allevamenti situati in Valle d’Aosta, Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna o Piemonte e la lavorazione deve interamente avvenire nel comune di Arnad. Entro poche ore dalla macellazione (massimo 48) il lardo deve essere tagliato e messo nei tradizionali recipienti in legno, chiamati doils, con sale aromi e la salamoia; qui deve rimanere per almeno 3 mesi a riposare.
Il secondo lardo italiano tutelato dall’IGP è il ben più conosciuto lardo di Colonnata, prodotto in provincia di Massa Carrara. Nonostante il Disciplinare che ne tutela la produzione sia molto rigoroso, questo lardo si fregia della sola Indicazione Geografica Protetta. Viene prodotto con suini provenienti da allevamenti situati nel territorio delle seguenti regioni: Toscana, Emilia Romagna, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte, Umbria, Marche, Lazio e Molise. Gode di una lavorazione stagionale, che va dal mese di settembre sino al mese di maggio e viene messo a stagionare in quelle che vengono chiamate conche, delle vasche in marmo locale.
Altri lardi
Esistono numerose altre tipologie di lardo di alta qualità, come quello di Pata Negra, che proviene dalla lavorazione delle carni di suini spagnoli dell’omonima razza, prevalentemente allevati allo stato brado.
I lardi che provengono da suini allevati liberi di ruzzolare nei boschi riescono ad esprimere caratteristiche gustative e nutrizionali uniche, come ad esempio quello che proviene dal siciliano e autoctono suino Nero dei Nebrodi o da quello di razza Casertana.
All’assaggio
Il lardo quindi, da condimento calorico delle cucine tra le più povere, negli anni si è accaparrato un posto tra i migliori prodotti di salumeria. Perfetto per degustazioni tra e diverse tipologie, ma anche per verticali alla scoperta della sua evoluzione. Al momento dell’assaggio si deve presentare integro, con un’eventuale infiltrazione di carne, ma rigorosamente di colore bianco o lievemente rosato. Da evitare se di colore giallo: vuol dire che il grasso si è irrancidito, diventando così dannoso per la nostra salute e di poco pregio gustativo.
Lara Abrati
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