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Perla d'Ampezzo, noblesse oblige!

di Lagorio R.

Ogni volta che incontro Enrico Delfini mi appassiono ai suoi progetti. Dopo anni che scrivo non è facile lasciarmi ancora emozionare in questo mondo del cibo dove tutti osannano le proprie capacità, la propria lungimiranza e sanno fare il meglio. Enrico Delfini non dice nulla di tutto questo; vive l’imprenditorialità con atti misurati ma anticonformisti, che un po’ sanno di follia in un momento in cui tutti sembrano tirare i remi in barca. L’ho incontrato qualche settimana fa a Felino, nel parmense; fuori, l’inizio bizzarro di un aprile gravido di pioggia.
Ha cominciato a parlare dicendo di quanto importante sia, per il nostro Paese, valorizzare le aree meno ospitali, dando opportunità di crescita là dove il privato se n’è andato e il pubblico non è mai arrivato. Uno si aspetta che siano solo belle parole, invece… Invece la sua missione ha già preso corpo.

Ampezzo. Forse nell’immaginario collettivo il nome accende l’idea di elitarie vacanze, di invernali gare dedicate allo sci e altrettante solari passeggiate che peccano di vanità. In verità Ampezzo non è Cortina. Ampezzo è un comune della Carnia, zona già famosa per riposanti escursioni nei boschi e accattivanti piacevolezze casearie di fondovalle e salumiere di Sauris, che con quel turismo e quell’immagine esclusiva ha ben poco a che vedere. Ma è proprio ad Ampezzo che Enrico Delfini ha deciso di investire e in Ampezzo stanno già riposando cosce che evocano la ricercatezza del prodotto: Perla d’Ampezzo.

Per rendere il prosciutto pregiato come un gioiello ecco infinite prove di salatura che nel prossimo luglio si concluderanno con il primo taglio, una prova iniziatica da cui ci si attende un prosciutto dolce e morbido alla fetta, dall’aspetto rosa con una corona di grasso bianco e sodo. «Perla d’Ampezzo deve uscire dalla logica del prosciuttificio e imporsi come l’icona di prodotto che suggerisce l’immagine incontaminata dei luoghi dove nasce», razionalmente spiega Delfini. 

Ma non si tratta solo di una questione legata all’immagine. Le cosce che stanno maturando in Ampezzo provengono dagli stessi animali allevati all’interno delle aree dei prosciutti Dop, anzi sono parzialmente figlie di un progetto della regione autonoma Friuli Venezia Giulia e dell’Università di Udine che hanno sperimentato, tramite l’Associazione Allevatori locale, l’iniezione sottocutanea nelle zampette posteriori del maialino di un microchip. Ciascun microchip è fornito di un numero di riconoscimento e possiede utili informazioni, come la data di nascita, la linea genetica, la destinazione post macello e il prosciuttificio che ha preso in carico la carcassa. Al salumiere spetterà il racconto delle fasi di crescita e lavorazione quando affetterà il risultato finale di fronte alla massaia. Per il momento il progetto è in fase di sperimentazione con 1.000 suini, ma sono intuitivi i benefici a cui ne potrà condurre la completa realizzazione. Innanzitutto sarà molto più facile capire se l’origine delle cosce è italiana o meno, ma si potrà aggiungere qualcosa in più sui metodi di allevamento e le condizioni della stagionatura. Un grande beneficio per il consumatore e per tutti i produttori onesti.

La Perla d’Ampezzo si contraddistinguerà anche per il metodo d’allevamento. Non sarà certo quello che si legge nelle pagine dei cronisti locali che tramandano usanze d’inizio Novecento (quando si somministravano ghiande, orzo, mais, baccelli di fagioli lessati, patate e magari avanzi di polenta come dimostrazione di estrema considerazione dell’inquilino a quattro zampe); tuttavia gli assomiglia molto in termini di apporti proteici. «I consumatori che si aspettano un prodotto di grande qualità — continua Delfini — potranno avere un’opportunità in più di quelle che trovano già oggi sul mercato. In un prossimo futuro saremo anche in grado di garantire la completa trac-ciabilità della coscia e questa è una nuova frontiera in cui ci consideriamo apripista. Rilanciare il territorio anche grazie a iniziative imprenditoriali innovative è l’obiettivo finale. Intanto impieghiamo cinque persone e creare posti di lavoro in aree come questa non è un fatto da sottovalutare».

Ma la Perla d’Ampezzo non è l’unica novità di questa scommessa di Enrico Delfini. Nel solco della tradizione della Carnia, dal salumificio di Ampezzo usciranno anche prosciutti affumicati («leggermente», tiene a specificare Delfini) utilizzando essenze locali (faggio e bacche di ginepro) e speck in quantità pressoché identiche. E tutti questi prodotti saranno destinati alla distribuzione tradizionale, di modo che i 100.000 pezzi a rotazione possano essere spiegati e ragionati dal salumiere al cliente finale, benché i preaffettati godano di un momento di grande favore da parte dei consumatori. «Non saranno quindi affettati il cui prezzo è da asta», ci fa capire Delfini. Infatti: saranno perle. Noblesse oblige.


Riccardo Lagorio


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