Bilancio di approvvigionamento e autosufficienza: quadro generale
L’approvvigionamento totale dell’UE1 di prodotti della pesca e dell’acquacoltura per uso alimentare include la produzione interna che le importazioni. Nel 2021, ha raggiunto 12,92 milioni di tonnellate di peso vivo equivalente (PVE), appena lo 0,2% o 27.608 tonnellate di PVE in più rispetto al 2020. Pur rimanendo pressoché costante, comunque, è stato molto inferiore alla media decennale di circa 13,5 milioni di tonnellate di PVE. Il lieve aumento dal 2020 al 2021 ha fatto seguito al calo osservato dal 2019 al 2020, quando sono diminuite sia le importazioni che la produzione acquicola e, ancora più significativamente, quella della pesca. Nel 2021, una crescita della produzione da allevamento di oltre 40.000 tonnellate di PVE rispetto al 2020 ha in parte compensato il calo delle catture di 43.000 tonnellate di PVE. In più, le importazioni sono aumentate di quasi 30.000 tonnellate di PVE, contribuendo così ulteriormente all’aumento complessivo dell’approvvigionamento.
Si noti inoltre che le esportazioni hanno registrato un calo del 7%, pari a oltre 164.000 tonnellate di PVE, fermandosi a 2,32 milioni di tonnellate di PVE nel 2021. Ne risulta per il 2021 un consumo apparente pari a 10,60 milioni di tonnellate di PVE, in aumento rispetto ai 10,41 milioni di tonnellate di PVE del 2020 dopo un trend negativo durato tre anni. Tuttavia, si tratta di un ammontare di consumo apparente inferiore di 450.000 tonnellate rispetto alla media decennale di circa 11,05 milioni di tonnellate di PVE.
Si stima che il cittadino medio dell’UE abbia consumato nel 2021 23,71 kg di PVE di prodotti della pesca e dell’acquacoltura, vale a dire il 2% in più rispetto al 2020. La maggior parte del consumo di prodotti della ittici nell’UE è costituita da prodotti selvatici (più specificamente, da prodotti selvatici importati). In effetti, i prodotti selvatici hanno costituito 16,91 kg di PVE del consumo apparente totale pro capite, mentre i prodotti di allevamento hanno coperto i restanti 6,80 kg.
I dati sulle catture inclusi nel bilancio di approvvigionamento e qui analizzati si riferiscono solo alle catture destinate al consumo umano. Infatti, le catture della flotta dell’UE possono essere destinate anche ad usi non alimentari. Secondo le stime EUMOFA, dal 2020 al 2021 le catture per uso alimentare sono diminuite, così come quelle per uso non alimentare. Le prime sono diminuite di 43.000 tonnellate in PVE, mentre le seconde sono crollate di 235.000 tonnellate in PVE, in prevalenza a causa del calo delle catture danesi di cicerello, una delle principali specie prodotte nell’UE per uso non alimentare.
La diminuzione delle catture per uso alimentare, invece, si deve soprattutto alla diminuzione delle catture di aringa da parte della Danimarca e di sgombro da parte di Danimarca e Spagna. Allo stesso tempo, tali diminuzioni sono state controbilanciate dall’aumento delle catture di tonnetto striato, nasello e alghe per uso alimentare. L’autosufficienza, ossia la capacità degli Stati Membri dell’UE di soddisfare la domanda tramite la propria produzione, può essere stimata calcolandola come il rapporto tra la produzione interna e il consumo interno.
L’UE riesce a mantenere un livello elevato di consumo apparente di prodotti della pesca e dell’acquacoltura importandoli per la maggior parte da altre regioni del mondo. Il livello più alto di autosufficienza — 46% — è stato raggiunto nel 2014, principalmente grazie a un buon livello di produzione, soprattutto nel segmento della pesca. In anni più recenti, l’autosufficienza dell’UE ha intrapreso un trend negativo, iniziato dal 2018, calando prima del 2% dal 2017 al 2018 e poi del 4% dal 2018 al 2019. Nel primo caso, questo è avvenuto per il trend negativo della produzione totale dell’UE e per l’aumento delle importazioni. Il calo osservato nel 2019 era invece principalmente legato al crollo della produzione selvatica, a fronte di importazioni calate solo lievemente e di una produzione allevata rimasta quasi stabile. Nel 2020, nonostante il calo delle importazioni, l’autosufficienza è diminuita di un ulteriore 6% rispetto all’anno precedente, in gran parte per effetto di una significativa diminuzione delle catture. Si stima che nel 2021 l’autosufficienza dell’UE abbia raggiunto il livello più basso degli ultimi dieci anni, attestandosi al 38,2%, ovvero il 5% al di sotto della media decennale.
Analisi delle specie principali
La soddisfazione della domanda di prodotti della pesca e dell’acquacoltura nell’UE dipende in gran parte da importazioni, in particolare per tonno, salmone, merluzzo nordico, pollack d’Alaska e gamberi. Nel 2021, l’UE aveva un’autosufficienza complessiva di appena l’11% per queste cinque specie, che allo stesso tempo rappresentavano il 43% del consumo apparente totale di prodotti della pesca e dell’acquacoltura dell’UE. I paragrafi di seguito esaminano l’evoluzione dell’autosufficienza per i 15 prodotti di maggiore consumo apparente nell’UE.
Tonno
Il consumo apparente del gruppo di prodotti “Tonnidi” comprende per il 97% tonno e per il 3% pesce spada. Nel complesso, il tasso di autosufficienza per questa categoria nel 2021 è stato del 31%, ovvero lo stesso livello del solo tonno. Per quanto riguarda quest’ultimo, dal 2013 al 2014 i Contingenti Tariffari Autonomi (CTA)2 sono aumentati a seguito della stipula di accordi di libero scambio con grandi Paesi produttori, che hanno contribuito all'aumento delle importazioni. In conseguenza dell’aumento delle importazioni di tonno pinna gialla e di tonnetto striato, il livello di autosufficienza è sceso dal 39% nel 2014 al 31% nel 2015, per poi rimanere pressoché stabile fino al 2017. Nel 2018 è risalito al 38%, soprattutto grazie all’aumento delle catture di tonnetto striato da parte delle flotte di Spagna e Francia e alla riduzione delle importazioni. Nel 2019, tuttavia, queste catture hanno intrapreso un trend negativo, proseguito nel 2020, che ha determinato una nuova riduzione dell’autosufficienza. Dal 2020 al 2021, l’autosufficienza ha di nuovo mostrato una lieve ripresa, passando dal 29% al 31% grazie a un calo delle importazioni, che hanno raggiunto il livello più basso dal 2016, e all’aumento delle catture.
Salmonidi (salmone, trota)
Si stima che nel 2021 appena l’1% del salmone consumato nell’UE sia stato prodotto internamente, dato che il maggior fornitore di salmone all’UE nonché a livello mondiale è la Norvegia. Per quanto riguarda la trota3, nel decennio 2012–2021 l’UE ha mantenuto un buon livello di autosufficienza, vicino al 90%.
Pesci demersiali (merluzzo nordico, pollack d’Alaska,
nasello, merluzzo carbonaro)
Nel 2021, per quattro specie di pesci demersali, vale a dire merluzzo nordico, pollack d’Alaska, nasello e merluzzo carbonaro, è stato registrato un consumo apparente pro capite complessivo di 4,81 kg di PVE, che ha rappresentato quasi il 30% del consumo apparente totale di prodotti selvatici della pesca nell’UE, quota che scende al 20% se si considera anche il consumo di prodotti dell’acquacoltura. Poiché tutto il pollack d’Alaska consumato nell’UE viene importato, gli Stati Membri dipendono completamente da Paesi Terzi per soddisfare la loro domanda. Per le altre tre specie di questo gruppo, nel 2021 l’autosufficienza dell’UE è stata pari al 18%. Il merluzzo nordico, la specie al secondo posto in UE dopo il salmone in termini di consumo apparente, è sceso al livello di autosufficienza più basso degli ultimi 10 anni, vale a dire al 5%, ossia metà della sua media decennale del 10%, principalmente a causa della tendenza al ribasso delle catture spagnole, danesi, francesi e polacche. Tra questi Paesi produttori principali, comunque, la Polonia ha registrato un aumento dal 2020 al 2021.
Anche l’autosufficienza per il merluzzo carbonaro ha continuato a diminuire nel 2021, raggiungendo il 12% e quindi il livello più basso del decennio in esame, pari a quasi metà della media decennale del 20%. Il calo è imputabile principalmente all’aumento del consumo apparente di prodotti d’importazione, a fronte di catture dell’UE in diminuzione. Il calo delle catture più significativo dal 2020 al 2021 è stato registrato in Germania, mentre le catture della flotta francese, principale produttore di questa specie, sono lievemente diminuite.
D’altro canto, l’autosufficienza per il nasello è cresciuta dal 38% nel 2020 al 43% nel 2021, raggiungendo il picco degli ultimi 10 anni. Questo soprattutto grazie alla notevole crescita delle catture in Spagna, il principale Paese produttore, insieme alla diminuzione delle importazioni. Anche queste ultime sono infatti diminuite dal 2019 al 2020, ma non abbastanza da compensare il calo subito dalle catture spagnole.
Piccoli pelagici (aringa, sgombro, sardina)
Con 1,09 milioni di tonnellate di PVE di catture, i piccoli pelagici hanno rappresentato il 27% del volume totale di tutti i prodotti della pesca e dell’acquacoltura prodotti nell’UE nel 2021, quota che sale al 37% se si considera solo la produzione selvatica totale dell’UE. Si tratta di volumi molto più elevati rispetto alle importazioni dell’UE di piccole specie pelagiche, che nello stesso anno ammontavano a poco più di 725.000 tonnellate di PVE. Ne deriva che l’UE è pienamente in grado di soddisfare la domanda interna complessiva di tali prodotti. In effetti, se si considerano le tre specie più consumate del gruppo, vale a dire aringa, sardina e sgombro, in alcuni anni l’UE ha registrato un’autosufficienza complessiva pari o superiore al 100%. Nel 2021, l’autosufficienza per l’aringa è crollata al 72%, un calo notevole rispetto al 93% del 2019 e al 79% del 2020. Tale calo è dovuto alla riduzione delle quote, che ha comportato una diminuzione delle catture.
Per quanto riguarda lo sgombro, dal 2012 al 2019 l’UE è stata pienamente in grado di soddisfare la domanda complessiva dell’UE, mostrando ogni anno tassi di autosufficienza superiori al 100%. Poi l’autosufficienza è scesa al 99% nel 2020 e al 96% nel 2021. In effetti, dal 2018 le catture di sgombro mostrano un trend negativo, che si traduce anche in una leggera diminuzione in termini di autosufficienza.
Per quanto riguarda le sardine, l’autosufficienza dell’UE ha proseguito la ripresa iniziata nel 2020. Le catture di questa specie avevano registrato un calo dal 2018 al 2019 che, accompagnato da un aumento delle importazioni, ha portato l’autosufficienza dal 79% al 66%. Quindi, nel 2020, tutti i principali produttori — Croazia, Francia, Spagna, Paesi Bassi e Portogallo — hanno aumentato le catture compensando le minori catture delle flotte italiana e greca e un nuovo aumento delle importazioni. Nel 2021 le importazioni sono diminuite mentre le catture sono leggermente cresciute, generando così un aumento dell’autosufficienza che è passata dal 72% nel 2020 al 74% nel 2021.
Bivalvi (cozza, vongola)
La cozza è una delle poche specie tra le più consumate nell’UE ad avere un elevato livello di autosufficienza. Dal 2012 al 2018 si è mantenuta a una media dell’82%, salita al 94% nel 2019 per poi crollare all’80% sia nel 2020 che nel 2021: un trend che ha rispecchiato il calo della produzione acquicola spagnola.
L’autosufficienza per la vongola è cresciuta fino al 2016, quando ha raggiunto il picco decennale raggiungendo il 68%. Nei tre anni successivi si è stabilizzata a un livello medio del 63% a causa del minor volume della produzione acquicola italiana, che è la più importante nell’UE. Dal 2019 al 2020, nonostante in Italia si siano pescate più vongole selvatiche, l’autosufficienza è scesa al 59%, il livello più basso degli ultimi sei anni. Nel 2021 è quindi nuovamente aumentata fino a raggiungere il 62%, spinta dai significativi aumenti della produzione selvatica dei Paesi Bassi e della Danimarca.
Altri prodotti (gamberi, calamaro, surimi)
Altri prodotti molto consumati nell’UE sono i gamberi (appartenenti al gruppo dei crostacei), il calamaro (del gruppo dei cefalopodi) e il surimi (del gruppo “prodotti acquatici diversi”). Tra questi, l’UE dipende fortemente dalle importazioni di gamberi e di calamaro. Nel corso del decennio in esame, l’autosufficienza per i gamberi si è attestata a una media del 12%, senza variazioni di rilievo. Le specie di gamberi più consumate, tutte prevalentemente d’importazione, sono gamberone, mazzancolla e gambero rosso argentino, sotto forma di prodotti congelati o preparati/conservati.
Per quanto riguarda il calamaro, l’autosufficienza del 12% nel 2021 rappresenta un calo rispetto al 14% registrato nel 2020, imputato a un significativo aumento delle importazioni. Il surimi, d’altro canto, è una miscela di specie creata dall’uomo e pertanto non esistono statistiche relative alla sua produzione, il che significa che il suo tasso di autosufficienza non può essere calcolato.
Consumo
Quadro generale per i prodotti della pesca e dell’acquacoltura
Nel 2021, dopo tre anni di cali rispetto al picco di 11,57 milioni di tonnellate raggiunto nel 2017, il consumo apparente dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura nell’UE1 è risalito a circa 10,60 milioni di tonnellate di PVE, segnando un aumento del 2% rispetto al 2020. In generale, l’aumento del consumo apparente dell’UE dal 2020 al 2021 è stato correlato a una crescita di oltre 40.000 tonnellate di PVE della produzione da allevamento, che ha parzialmente compensato la diminuzione delle catture. L’UE ha inoltre visto una crescita delle importazioni di quasi 30.000 tonnellate di PVE, insieme a un significativo calo delle esportazioni di oltre 164.000 tonnellate di PVE. Gli aumenti più significativi tra i prodotti importati sono stati osservati per melù, calamaro, gamberi e salmone, mentre nella produzione d’allevamento hanno spiccato soprattutto cozza e spigola. Quanto alle catture, i maggiori cali si sono registrati per aringa, sgombro e suro, mentre le minori esportazioni hanno riguardato principalmente aringa e salmone.
Nel corso del decennio in analisi, le quote dei prodotti selvatici e allevati rispetto al totale sono rimaste simili fino al 2019, ossia intorno al 75% per i prodotti selvatici e al 25% per i prodotti allevati. Poi, nel periodo 2020–2021, in linea con la minore produzione UE da attività di pesca, la quota del consumo apparente di prodotti selvatici rispetto al totale è scesa ad appena sopra il 70%. Inoltre, si stima che dal 2020 al 2021 il consumo apparente pro capite di prodotti acquicoli sia aumentato da 6,47 kg di PVE a 6,80 kg di PVE, il livello più alto dal 2016.
Anche il consumo apparente pro capite di prodotti selvatici è stimato in aumento, per quanto lieve, da 16,80 kg di PVE a 16,91 kg di PVE.
Secondo le stime EUMOFA e delle fonti nazionali4, il Portogallo è di gran lunga il Paese dell’UE in cui si consumano più prodotti della pesca e dell’acquacoltura. Lo confermano anche i dati del 2021, nonostante il consumo apparente pro capite mostri una tendenza al ribasso dopo aver raggiunto un picco nel 2018 con quasi 61,00 kg di PVE.
Detto questo, in contrasto con l’aumento stimato a livello UE dal 2020 al 2021, per i principali Paesi consumatori dell’UE sono stati stimati cali. Allo stesso tempo, le stime sono in crescita per diversi Paesi che tradizionalmente mostrano livelli più bassi di consumo apparente pro capite. Ad esempio, sono stati registrati aumenti per ogni anno dell’ultimo decennio in Ungheria, Romania e Slovacchia.
Il salmone è stato di gran lunga la specie col consumo apparente più elevato nel corso del decennio in analisi. Tuttavia, è importante chiarire che, in questo capitolo, con la parola “tonno” ci si riferisce all’insieme di varie specie commerciali principali5, ragion per cui il tonno risulta avere un consumo apparente maggiore rispetto a quello del salmone. Lo stesso discorso vale anche per l’insieme di specie cui fa riferimento il prodotto denominato genericamente “gamberi”.
Tonno
Il consumo apparente di tonno nell’UE ha raggiunto nel 2019 il suo picco con 3,17 kg di PVE, a seguito di un significativo aumento delle importazioni. In effetti negli ultimi dieci anni l’autosufficienza media nell’UE è stata del 33% e pertanto il consumo di tonno nell’UE proviene in gran parte da importazioni e in misura minore da produzioni interne, principalmente catture di tonnetto striato da parte delle flotte di Spagna e Francia. Va comunque considerato che una quota significativa delle catture spagnole e francesi viene sbarcata all’estero, qui ulteriormente trasformata, soprattutto in tonno in scatola, e quindi riesportata. Nel 2020 e nel 2021 il consumo apparente di tonno ha mostrato una tendenza al ribasso, cui hanno contribuito diversi fattori. Il calo dal 2019 al 2020 è stato collegato a un crollo delle catture di tonno del 20%, non compensato dall’aumento del 2% delle importazioni; un anno dopo, le catture sono risalite solo dell’8% mentre le importazioni sono crollate del 9%.
Salmonidi (salmone, trota)
Il consumo apparente di salmone negli ultimi anni è aumentato, sostenuto principalmente dalle importazioni e, in misura minore, dalla produzione acquicola in Irlanda. Si stima che nel 2021 ogni singola persona nell’UE abbia consumato in media 2,60 kg di PVE di salmone, dato che rappresenta un picco decennale. Nonostante numerose difficoltà, ciò indica che i produttori, i commercianti e i trasformatori europei di salmone sono riusciti a mantenere una catena di approvvigionamento solida durante lo scoppio della pandemia nel 2020 e nell’anno successivo. Il consumo apparente di trote nell’UE è rimasto vicino ai 500 grammi di PVE pro capite in ogni anno del decennio analizzato. Si tratta di un valore in linea con l’andamento quasi piatto dei volumi allevati nei principali Stati Membri produttori.
Pesci demersiali (merluzzo nordico, pollack d’Alaska, nasello, merluzzo carbonaro)
Oltre un quinto del consumo apparente di prodotti della pesca e della acquacoltura nell’UE è costituito da quattro specie demersali: merluzzo nordico, pollack d’Alaska, nasello e merluzzo carbonaro. Il consumo di merluzzo nell’UE è sostenuto in gran parte da importazioni da Norvegia, Islanda e Russia. A partire dal picco di 2,40 kg di PVE pro capite registrato nel 2016, nel periodo 2017–2021 ha mostrato un andamento al ribasso dovuto a cali sia delle importazioni sia delle catture. Il consumo apparente di merluzzo nel 2021, vale a dire 1,75 kg di PVE, ha mostrato un lieve aumento rispetto al valore di 1,72 kg di PVE stimato per il 2020, principalmente per il calo delle esportazioni, che ha significato più prodotto disponibile per i consumatori dell’UE.
Quanto al pollack d’Alaska, poiché non ne esiste una produzione propria da parte degli Stati Membri, il suo consumo apparente nell’UE viene stimato semplicemente calcolandone le importazioni meno le esportazioni. Durante il decennio analizzato, è stato in media di 1,70 kg di PVE pro capite.
Il consumo apparente di nasello nel 2021 è stato stimato di poco superiore a 1,00 kg di PVE pro capite. Il picco era stato raggiunto nel 2019, sia per le catture sia per le importazioni, ma entrambe sono crollate nel 2020 determinando una riduzione del consumo apparente. Nel 2021 le catture sono risalite, ma senza riuscire a compensare le minori importazioni da Paesi extra-UE e le maggiori esportazioni, che hanno determinato un nuovo calo del consumo apparente. Il consumo apparente di merluzzo carbonaro, in gran parte importato da Norvegia e Islanda, non ha mostrato variazioni significative nel decennio analizzato, attestandosi in media a 330 grammi di PVE pro capite.
Piccoli pelagici (aringa, sgombro, sardina)
L’UE produce quantità significative di piccoli pelagici, tra cui spiccano in particolare l’aringa, con i Paesi Bassi e la Danimarca come nazioni di pesca principali, lo sgombro, catturato principalmente da navi irlandesi, e la sardina, catturata soprattutto dalle flotte di Croazia e Spagna. Inoltre, la loro disponibilità sul mercato UE è in gran parte sostenuta da forniture provenienti da Paesi extra-UE, in particolare Norvegia e Regno Unito, da cui provengono aringa e sgombro, e dal Marocco, fornitore di sardina. Da notare che nel bilancio dell’offerta di queste specie svolgono un ruolo importante anche le esportazioni dell’UE. Nel 2021, il consumo apparente di aringa è stato di appena 1,00 kg di PVE pro capite, il più basso degli ultimi dieci anni. Questo principalmente per la riduzione delle catture, scese a 322.743 tonnellate, il minimo decennale, ma anche delle importazioni. Per quanto riguarda lo sgombro e la sardina, nel decennio in analisi il loro consumo apparente annuo pro capite è sempre stato compreso tra 500 e 750 grammi di PVE pro capite. Nel 2021, il loro consumo apparente è stato stimato rispettivamente a 530 grammi e 540 grammi di PVE pro capite.
Bivalvi (cozza, vongola)
La cozza è di gran lunga il principale prodotto allevato nell’UE in termini di volume, soprattutto in Spagna, seguita a distanza dalla trota. In termini di consumo apparente, tuttavia, ha un ruolo più significativo il salmone, importato in rilevanti quantità dalla Norvegia.
Nel 2021 il consumo apparente di cozza ha mostrato segni di ripresa dopo il crollo osservato nel periodo 2019–2020 a causa di un calo della produzione. Tale consumo è stato stimato a 1,25 kg di PVE pro capite, e quindi inferiore alla media di 1,35 kg di PVE pro capite del periodo 2014–2018.
Il consumo apparente di vongola nell’UE si è mantenuto di poco al di sopra dei 300 grammi di PVE pro capite nel 2018, nel 2019 e nel 2020, in linea con un andamento pressoché stabile delle importazioni e della produzione. Si noti che invece era stato più alto nel 2017, a quasi 400 grammi di PVE pro capite, quando la produzione acquicola in Italia aveva toccato uno dei suoi livelli più alti del decennio. Nel 2021 è stato osservato un aumento del 15% del consumo apparente, salito a 370 grammi di PVE pro capite, attribuito soprattutto alla crescita della produzione selvatica nei Paesi Bassi e in Danimarca.
Altri prodotti (gamberi, calamaro, surimi)
Il consumo apparente di gamberi comprende parti uguali di prodotti selvatici e di allevamento e si basa in gran parte su importazioni provenienti da Ecuador, India, Vietnam, Tailandia, Indonesia, Argentina e Groenlandia. Dopo aver raggiunto un picco di 1,60 kg di PVE pro capite nel 2018, il consumo apparente di gamberi nell’UE nel corso del 2019 e del 2020 è rimasto sotto i 1,50 kg di PVE pro capite, in gran parte a causa della minore produzione olandese e tedesca di gamberi Crangon spp. Tuttavia, per le specie di gamberi più importate nell’UE — ovvero gamberoni, mazzancolle e gambero rosso argentino, congelati o preparati/conservati — il consumo apparente non ha mostrato variazioni di rilievo nello stesso periodo. Poi, nel 2021, il consumo apparente di gamberi ha raggiunto un nuovo picco di 1,63 kg di PVE pro capite grazie a maggiori importazioni da Ecuador e Argentina.
Per il calamaro, il consumo apparente nell’UE dipende in gran parte da importazioni. Dopo un crollo nel 2020, dovuto alla riduzione delle importazioni dalle Isole Falkland, principale fornitore dell’UE di questa specie, nel 2021 il consumo apparente pro capite è risalito a 720 grammi di PVE grazie all’aumento delle importazioni dalle Isole Falkland.
Per quanto riguarda il surimi, non sono disponibili statistiche sulla sua produzione poiché è costituito da specie diverse. Pertanto, il consumo apparente è calcolato come il risultato delle importazioni meno le esportazioni. Nel 2018, nel 2019 e nel 2020, il consumo apparente pro capite di surimi nell’UE è stato in media di 650 grammi di PVE e costituito in gran parte da surimi importato dagli Stati Uniti.
Spesa delle famiglie e prezzi
Nel 2022, la spesa delle famiglie dell’UE per i prodotti della pesca e dell’acquacoltura ha raggiunto 62,9 miliardi di euro, segnando un incremento dell’11% rispetto al 2021. In prospettiva decennale, rispetto al 20136 questa crescita ha rappresentato un significativo aumento di oltre il 34% in termini reali, confermando la tendenza al rialzo iniziata dal 2018.
Da notare che ben 22 Stati Membri dell’UE hanno registrato aumenti superiori al 10% nella spesa delle famiglie per i prodotti della pesca e dell’acquacoltura, con 8 Stati Membri che hanno visto aumenti superiori al 15%. Queste cifre indicano che la crescita annuale dell’11% è il risultato di un aumento generale in tutta l’UE. Il 2021 e il 2022 sono stati, in effetti, gli unici due anni in cui si è registrato un aumento simultaneo della spesa in tutti i Paesi dell’UE.
Aumenti della spesa totale delle famiglie erano stati rilevati sia nel 2020 sia nel 2021, principalmente in conseguenza delle restrizioni legate al Covid-19 che avevano portato le famiglie ad acquistare più pesce da consumare in casa.
Nel 2022, quindi, si è registrato un nuovo aumento della spesa totale delle famiglie che è stato collegato alla crescente inflazione dovuta alla situazione economica e geopolitica. Secondo i dati Europanel/Kantar/GfK, infatti, dal 2021 al 2022 nei maggiori Paesi consumatori dell’UE il consumo domestico totale di pesce è diminuito di quasi il 17%. La ripresa economica post-pandemia ha comportato un aumento della domanda, fattore che solitamente conduce a rialzi dei prezzi. A questo si sommano le importanti ripercussioni dell’aggressione militare russa contro l’Ucraina, in particolare sui costi dell’energia e dei trasporti, nonché sui flussi commerciali. Nel 2022 si è inoltre inasprita la concorrenza per le materie prime, a causa dell’aumento delle quote di mercato extra-UE, soprattutto in Asia.
All’aumento dei prezzi hanno contribuito fattori come il divieto statunitense di importare pesce dalla Russia, le pesanti tariffe imposte dal Regno Unito sul pesce importato dalla Russia, la forte domanda del mercato statunitense e la cessazione delle restrizioni all’importazione di Covid-19. Inoltre, hanno ridotto la disponibilità sul mercato UE di alcune specie il cui consumo dipende principalmente dalle importazioni, come salmone, merluzzo e, in misura minore, gamberi.
L’Italia, che storicamente è il Paese con la spesa totale più elevata per i prodotti della pesca e dell’acquacoltura, ha registrato l’incremento più significativo nella spesa delle famiglie in termini assoluti, con un aumento di oltre 1,4 miliardi di euro nel 2022, pari a un aumento relativo dell’11%. Segue a breve distanza la Spagna, con una crescita del 10% o di 1,3 miliardi di euro, mentre la Francia si colloca al terzo posto in termini di spesa totale per il pesce, con un aumento dell’8% o di 733 milioni di euro.
Nel 2022 il Portogallo, storicamente il Paese UE dal consumo pro capite più elevato di prodotti della pesca e dell’acquacoltura, ha registrato 413 euro di spesa pro capite, quasi il triplo della media UE di 140 euro, e 143 euro in più rispetto alla Spagna, classificata al secondo posto. Portogallo e Spagna hanno registrato anche i maggiori aumenti di spesa pro capite dell’UE, crescendo rispettivamente di 47 euro e di 27 euro.
Prodotti della pesca e della acquacoltura vs carne e totale prodotti alimentari
In tutti i Paesi dell’UE, la spesa per la carne è storicamente superiore a quella per i prodotti della pesca e dell’acquacoltura. Lo stesso vale per quanto riguarda i volumi consumati7. In media, per acquistare prodotti della pesca e dell’acquacoltura, le famiglie dell’UE spendono circa un quarto dell’importo speso per la carne. Nel 2022, infatti, hanno speso 244 miliardi di euro per la carne e 63 miliardi di euro per prodotti della pesca e dell’acquacoltura. Tra tutti gli Stati Membri, quello in cui il rapporto tra le due categorie di prodotti è più equilibrato è il Portogallo. Nel 2022, il 44% della spesa complessiva delle famiglie portoghesi per pesce e carne è stato speso per il pesce e il restante 56% per la carne. Gli squilibri più accentuati si sono registrati in Ungheria, dove la spesa per prodotti della pesca e dell’acquacoltura ha rappresentato il 5%, e in Romania e Cechia, dove ha rappresentato rispettivamente il 7% ed il 9% del totale.
I quattro Paesi dal consumo di pesce più elevato — cioè Italia, Spagna, Francia e Germania — presentano modelli di spesa diversi. In Italia la spesa delle famiglie per il pesce è pari ad appena un quarto di quella per la carne. In Spagna la spesa per il pesce è di poco inferiore a un terzo della spesa per la carne. In Francia le famiglie spendono meno di un quinto per il pesce rispetto alla carne e in Germania circa un sesto.
Nel 2022, l’aumento dell’inflazione ha avuto un forte impatto sui prezzi dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura, che dal 2021 al 2022 sono cresciuti di oltre il 10%. È interessante notare che nel 2022 i prezzi dei prodotti ittici sono aumentati meno dei prezzi della carne e dei prodotti alimentari in generale, con i prezzi dei prodotti alimentari aumentati di oltre il 12% e quelli della carne dell’11,6%. Inoltre, dati recenti indicano che i primi cinque mesi del 2023 hanno visto un significativo aumento dei prezzi del pesce del 9%, mentre la carne è aumentata dell’8,7% e i prodotti alimentari in generale dell’11,9%.
Dal 2014 al 2023 (dati a maggio), i prezzi al consumo dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura sono aumentati in media del 3,6% all’anno. Tale tasso di crescita è stato lievemente superiore a quello del 3,1% registrato per i prezzi della carne e a quello del 3,5% per tutti i prodotti alimentari in generale.
Fino al 2022, il divario fra i tre tassi di crescita era stato più ampio, raggiungendo il 3% per il pesce, il 2,5% per la carne e il 2,6% per i prodotti alimentari in generale. I prezzi medi del pesce hanno iniziato a salire in modo significativo nel 2016 e nel 2022 erano superiori del 42% in termini reali rispetto al 2013. Tale crescita dei prezzi è stata in linea con l’aumento dei prezzi dei prodotti importati, dato che l’UE fa molto affidamento sulle importazioni per soddisfare la domanda dei consumatori di prodotti della pesca e dell’acquacoltura. Nello stesso periodo sono aumentati anche i prezzi della carne e quelli dei prodotti alimentari in generale, anche se a tassi inferiori.
Nell’ambito delle statistiche sulla spesa delle famiglie per i prodotti della pesca e dell’acquacoltura, Eurostat fornisce “Quote della spesa totale per il consumo finale delle famiglie in termini monetari” (ec.europa.eu/eurostat/cache/metadata/en/prc_hicp_esms.htm). Di tutti i beni e servizi acquistati dalle famiglie dell’UE, i prodotti della pesca e dell’acquacoltura rappresentano meno dell’1%, una percentuale molto più bassa rispetto a quella del 3,9% della carne.
Tra il 2021 e il 2022 la quota di spesa complessiva per i prodotti alimentari è diminuita del 3,4%. Tale diminuzione è riconoscibile nel calo del 2% della quota di spesa per i prodotti ittici, nel calo del 3,4% della quota di spesa per la carne e in quello del 3,5% della quota di spesa per altri prodotti alimentari. A livello nazionale, la quota di spesa per i prodotti della pesca e dell’acquacoltura rispetto alla spesa totale per beni e servizi è diminuita nella maggior parte degli Stati Membri dell’UE, una tendenza confermata anche dai dati relativi ai primi mesi del 2023. I cali più significativi — del 23% in Irlanda e del 17% in Lituania — sono dovuti a decrementi per tutte le categorie di conservazione. Tuttavia, le performance peggiori sono state registrate in Lituania per il pesce e i frutti di mare essiccati, affumicati o salati e per i prodotti congelati, mentre in Irlanda hanno riguardato soprattutto prodotti freschi.
Consumo di prodotti ittici freschi da parte delle famiglie
Il presente capitolo analizza il consumo di prodotti freschi della pesca e dell’acquacoltura da parte delle famiglie di 11 Stati Membri dell’UE, ovvero Spagna, Italia, Francia, Portogallo, Germania, Polonia, Paesi Bassi, Danimarca, Irlanda, Svezia e Ungheria, elencati a partire dal Paese che ha registrato il maggiore consumo nel 2022. Si può presumere che tali 11 Paesi siano tra i più importanti dell’UE in termini di consumo di pesce. Nel 2022, infatti, rappresentavano l’86% della spesa totale sostenuta dalle famiglie dell’UE per prodotti della pesca e dell’acquacoltura.
Dal 2021 al 2022 i volumi di pesce fresco consumati dalle famiglie in tutti questi 11 Paesi sono diminuiti di quasi il 17%, con un calo di oltre il 10% del loro valore di acquisto. Uno dei cali più significativi è stato registrato in Germania, dove nel 2022 il consumo di salmone è diminuito di oltre il 25% rispetto all’anno precedente.
Il consumo di salmone fresco è diminuito in tutti i Paesi esaminati, per un calo complessivo di oltre 50.000 tonnellate. I fattori che hanno esercitato un impatto negativo sui consumi di salmone nelle famiglie dell’UE nel 2022 sono diversi. In primo luogo, l’aumento dei prezzi, trainato dall’inflazione complessiva: il valore unitario medio tra gli 11 Paesi inclusi in questa analisi è aumentato del 16% rispetto al 2021, raggiungendo i 17,53 e/kg. Altri fattori sono stati una lieve diminuzione della produzione di salmone europeo, una maggiore quota della produzione europea di salmone venduta a mercati extra-UE rispetto agli anni precedenti, e un ”ritorno” del settore Ho.re.ca. dopo le difficoltà legate alla pandemia di Covid-19. Oltre che per il salmone, vale la pena di notare che sono state registrate contrazioni dei consumi per quasi tutte le specie più acquistate. In effetti questo calo generale dei consumi delle famiglie fa seguito al meno significativo calo del 2% registrato dal 2020 al 2021, dopo un aumento del 4% dal 2019 al 2020. Tale evoluzione è verosimilmente legata all’attuale clima economico e geopolitico, che ha inciso sempre di più sui consumi delle famiglie e sul loro potere d’acquisto.
Gli Stati Membri dell’UE stanno registrando elevati tassi di inflazione, che gravano pesantemente sui consumatori nella vendita al dettaglio. L’alta inflazione ha portato a effetti di sostituzione, con i consumatori che hanno optato per prodotti a base di proteine animali più economici e ridotto la frequenza degli acquisti di carne e pesce.
A titolo di confronto, i prezzi al consumo per carne, pesce e frutti di mare hanno registrato analoghi aumenti del 21%56 da giugno 2021 a febbraio 2023, confermando l’impatto dell’inflazione.
Alla spinta inflattiva hanno contribuito diversi fattori, tra cui la ripresa economica dopo che la crisi legata al Covid-19 aveva determinato un aumento della domanda e l’aggressione militare russa contro l’Ucraina insieme alle sue conseguenze, che hanno pesato soprattutto sui costi energetici e sui flussi commerciali. Inoltre, nel 2022 si è inasprita la concorrenza per le materie prime, a causa di maggiori quote acquisite da mercati extra-UE, soprattutto in Asia; a ciò si aggiungono i divieti di importazione di pesce dalla Russia negli Stati Uniti e nel Regno Unito, la forte domanda del mercato statunitense e la fine delle restrizioni alle importazioni legate al Covid-19. Tale situazione ha causato un aumento dei prezzi e, per alcune specie, una riduzione delle disponibilità sul mercato europeo.
Considerando la pandemia di Covid-19 nel suo complesso, emerge che nel 2022 il suo impatto sui consumi delle famiglie è stato secondario rispetto agli anni precedenti. Durante le prime ondate, nel 2020, quando le misure di quarantena erano molto rigide, la maggior parte dei consumi doveva avvenire in casa, mentre nel 2021 le restrizioni sulla ristorazione si sono alleggerite. Si noti tuttavia che nel 2022, quando la situazione è finalmente tornata alla “normalità”, il consumo domestico di pesce è risultato persino inferiore rispetto al periodo pre-pandemico. Ecco perché questo calo non è ascrivibile esclusivamente all’aumento dei consumi extra-domestici e alla fine delle restrizioni legate al Covid-19.
Focus sui primi tre Paesi consumatori: Spagna,
Italia e Francia
I consumi di Spagna, Italia e Francia hanno rappresentato nel 2022 quasi l’80% del volume e del valore complessivo di prodotti ittici freschi consumati dalle famiglie degli 11 Paesi analizzati.
Spagna
Del totale di prodotti ittici freschi consumati dalle famiglie in questi 11 Paesi, la sola Spagna ha rappresentato il 41% dei volumi e il 34% del valore. Nel 2022, le famiglie spagnole hanno consumato 486.679 tonnellate di pesce per un valore di 4,51 miliardi di euro, con un calo del 18% in volume e del 13% in valore rispetto al 2021. Nel 2022 sono diminuiti i consumi domestici di tutti i prodotti ittici freschi monitorati, tranne lo sgombro e il tonno: benché i loro valori siano diminuiti rispettivamente del 5% e del 9%, i volumi consumati hanno registrato un lieve aumento.
Nel quinquennio preso in analisi si possono osservare diverse tendenze. La principale riguarda il consumo di salmone, che ha mostrato una crescita costante. Il consumo di salmone ha raggiunto il picco nel 2021, quando è diventato la specie più consumata nelle famiglie spagnole, registrando un totale di 68.449 tonnellate e superando per la prima volta il nasello. Questo aumento di volume è stato accompagnato da una relativa riduzione del valore unitario, che tra il 2018 e il 2021 è diminuito ogni anno fino a raggiungere il suo minimo di 9,77 e/kg nel 2021. Nel 2022, tuttavia, c’è stato un drastico calo del 29% dei consumi di salmone, pari ad una diminuzione di 48.536 tonnellate, mentre il valore unitario ha raggiunto il picco di 12,19 e/kg, con uno sbalorditivo aumento del 25% rispetto al 2021.
Quanto al nasello, pur avendo riconquistato la posizione di specie più consumata nel 2022, il suo costante calo nei consumi è proseguito negli anni, raggiungendo nel 2022 il minimo dell’ultimo quinquennio con 52.607 tonnellate. Se il calo medio negli anni precedenti era di circa l’11%, quello dal 2021 al 2022 è stato del 16%. Questa tendenza al ribasso è stata accompagnata da un aumento del valore unitario, che nel 2022 ha raggiunto il massimo degli ultimi 5 anni: 9,71 e/kg, con un aumento del 5% rispetto al 2021. Benché il valore unitario sia costantemente aumentato ogni anno dal 2018, il valore totale dei consumi di nasello mostra una tendenza al ribasso a causa della riduzione dei volumi consumati.
Le sardine sono la terza specie fresca più consumata nelle famiglie spagnole, rappresentando il 10% dei consumi totali, poco meno del salmone. Il valore unitario nel 2022 è sceso del 6%, a 5,96 e/kg, insieme a un calo del 15% in volume e del 21% in termini di valore totale, che hanno rappresentato i valori più bassi per il quinquennio considerato.
Un quarto dei consumi totali di pesce fresco da parte delle famiglie spagnole nel 2022 è stato rappresentato da merluzzo nordico, spigola, orata, sogliola e rana pescatrice. I consumi di queste cinque specie hanno avuto andamenti simili, con consumi in calo a fronte di una crescita dei loro valori unitari.
Il consumo di merluzzo nordico è diminuito del 13%, totalizzando 34.138 tonnellate, mentre il suo valore unitario ha registrato un lieve aumento del 2% e raggiunto gli 8,53 e/kg, determinando così un calo del 12% in termini di valore totale. La spigola ha raggiunto il suo minimo storico, con consumi calati del 25% e fermatisi a 22.447 tonnellate, la peggiore ”performance” del quinquennio. Lo stesso vale per la sogliola e la rana pescatrice, con la sogliola che ha chiuso l’anno a 22.805 tonnellate, il 19% in meno rispetto al 2021, e la rana pescatrice a 9.253 tonnellate, ovvero il 14% in meno rispetto al 2021.
Come accennato, i consumi sono aumentati solo per tonno e sgombro, che messi insieme rappresentano il 5% dei volumi totali consumati. Per il tonno il valore unitario è aumentato dell’8% rispetto al 2021, attestandosi a 11,45 e/kg. Lo sgombro, invece, nel 2022 ha avuto un valore unitario di 5,91 e/kg, il 6% in meno rispetto al 2021.
Italia
Nel 2022 i consumi delle famiglie italiane sono crollati a 279.536 tonnellate. Pur inserendosi in un quadro di consumi fluttuanti nel quinquennio oggetto dell’analisi, il livello del 2022 ha rappresentato per l’Italia un minimo storico. È tuttavia opportuno rilevare che il calo dei consumi da parte delle famiglie italiane, nello specifico del 14% in volume e dell’8% in termini di valore rispetto al 2021, è stato inferiore rispetto alla media annuale dei Paesi esaminati, che nel 2022 hanno registrato cali del 17% in volume e del 10% in valore. Il tutto accompagnato da un costante aumento dei valori unitari, che potrebbe essere uno dei motivi principali per cui il valore totale dei consumi non è calato tanto quanto il volume.
Tutti i prodotti esaminati hanno raggiunto nel quinquennio in esame i valori unitari più elevati, con l’unica eccezione delle vongole. L’orata si è confermata il prodotto più apprezzato, con valori unitari aumentati del 9% ma quantità tornate ai livelli di consumo pre-pandemici.
Un’eccezione degna di nota è la cozza Mytilus spp., che ha mostrato solo una modesta crescita dei consumi dell’1%, l’unico aumento tra i prodotti esaminati, ma anche un significativo aumento del 22% del valore unitario, che ha raggiunto i 3,54 e/kg.
In Italia, come in Spagna e nella maggior parte degli altri Paesi analizzati, il consumo domestico di salmone, dopo essere aumentato negli ultimi tre anni e avere raggiunto il suo picco nel 2021, nel 2022 è sceso al suo volume minimo, totalizzando 16.150 tonnellate. Nel frattempo, il suo valore unitario ha avuto un’impennata del 24%, raggiungendo i 19,97 e/kg.
Anche il consumo delle altre specie monitorate ha seguito questo andamento negativo. Il consumo di spigola, che nel 2021 aveva in parte trainato la crescita dei consumi nelle famiglie italiane, nel 2022 è crollato del 23% e ha raggiunto il volume minimo e il valore unitario massimo degli ultimi cinque anni, ovvero 14.932 tonnellate e 11,45 e/kg.
Per il consumo di acciughe da parte delle famiglie, prosegue il calo osservato dal 2018 in poi.
Francia
In Francia, nel 2022, il consumo delle famiglie ha toccato il minimo degli ultimi 5 anni per i prodotti ittici freschi, con un calo in volume del 15% rispetto al 2021, che è stato l’anno di picco per i consumi durante il periodo in esame. Quasi il 40% di questo calo è rappresentato da salmone e merluzzo nordico8. In termini di valore, diminuito del 9% rispetto all’anno precedente, l’aumento dei prezzi potrebbe avere in parte mitigato l’impatto della riduzione dei consumi.
Salmone e merluzzo nordico hanno mostrato l’aumento di valore unitario più significativo, raggiungendo entrambi il picco degli ultimi 5 anni. I valori unitari sono aumentati rispettivamente del 14% e del 13% rispetto al 2021, raggiungendo 20,35 e/kg e 20,15 e/kg.
L’impennata dei prezzi non ha comunque compensato la riduzione dei volumi. Pertanto, il valore del consumo di salmone ha raggiunto quasi 590 milioni di euro, il 12% in meno rispetto al 2021. Segue il merluzzo nordico, con un calo del 17% rispetto al 2021, che ha totalizzato un valore di 270 milioni di euro.
Il consumo delle altre specie principali in Francia non ha registrato variazioni significative nel periodo in esame. Vale la pena sottolineare che nasello, rana pescatrice, sgombro, sardina, orata e trota, che rappresentano il 14% del totale dei consumi delle famiglie, hanno mantenuto livelli stabili sia in termini di valore unitario che di consumo.
Fonte: EUMOFA
Direzione Generale degli Affari marittimi e della pesca, Bruxelles
www.eumofa.eu
Note
Conformemente alle linee guida di Eurostat sulla produzione e diffusione di dati statistici da parte dei servizi della Commissione dopo il recesso del Regno Unito dall’UE, poiché il periodo di riferimento più recente è il 2021, il Regno Unito è escluso dalle aggregazioni UE dei singoli anni. Inoltre, i dati dell’UE includono la Croazia dal 2013, data di ingresso nell’UE di questo Paese.
I Contingenti Tariffari Autonomi mirano a stimolare l’attività economica delle industrie dell’Unione, migliorando la capacità competitiva, creando occupazione, modernizzando le strutture, ecc. Di norma vengono concessi a materie prime e semilavorati o componenti che sono disponibili nell’UE ma in quantità insufficienti. Ulteriori dettagli sono disponibili al link taxation-customs.ec.europa.eu/customs-4/calculation-customs-duties/customs-tariff/quota-tariff-quotas-and-ceilings_en
Si tratta in questo caso di trote d’acqua dolce e da allevamento nell’oceano.
Vale la pena sottolineare che le metodologie impiegate per stimare il consumo apparente a livello di UE e di Stati Membri sono diverse: le prime si basano su dati e stime come descritto nella Nota metodologica, le seconde richiedono anche l’aggiustamento delle tendenze anomale a causa del maggiore impatto delle variazioni delle scorte. Nei casi in cui le stime EUMOFA sul consumo apparente pro capite hanno continuato a mostrare un’elevata volatilità annuale anche con tali aggiustamenti, sono stati contattati i punti di contatto nazionali per confermare le stime oppure fornire i propri dati.
Tonnetto striato, tonno pinna gialla, tonno alalunga, tonno obeso, tonno rosso e altri tipi di tonno.
Nel presente rapporto, le variazioni di valore e di prezzo per periodi superiori a cinque anni sono analizzate deflazionando i valori con il deflatore del PIL (base = 2015); per periodi più brevi, vengono analizzate le variazioni di valore e di prezzo nominali.
Il dato è confermato dall’OCSE (link: stats.oecd.org/viewhtml.aspx?datasetcode=HIGH_AGLINK_2019&lang=en#).
Salmone e merluzzo nordico hanno rappresentato il 39% della differenza, mentre la categoria “altri prodotti non specificati”, che aggrega tutte le altre specie fresche registrate dai panel di famiglie ma non disponibili a livello disaggregato, ne rappresentava il 59%. Il restante 2% fa riferimento ai cali dei consumi delle famiglie aggregati tra le altre specie oggetto dell’analisi.
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