Meno celebre dell’hamburger ma altrettanto goloso, l’hot dog ha bisogno di essere visto in modo diverso. Iniziamo però dalle origini. Ovvero da quando, nel 1901, durante una partita di baseball dei New York Giants, Harry M. Stevens si muoveva in mezzo alla folla cercando di vendere delle “salsicce alla tedesca da gustare ben calde” (il panino serviva a renderle commestibili in quella situazione). A dargli l’appellativo del cane è un vignettista, Thomas Aloysius “Tad” Dorgan, che ne associa la forma a quella di un bassotto.
Ecco, l’hot dog non si è quasi mai spostato da lì… mentre l’hamburger è passato all’haute cuisine e alle trattorie e ai ristoranti, sembra che l’hot dog non sia mai uscito dagli stadi o dalle immediate vicinanze.
Lo ha scritto Anthony Bourdain già nel 2010: «Nei confronti dell’hot dog è sempre esistito un tacito consenso. Abbiamo sempre saputo — o ritenuto di sapere — che dentro quel tubetto molliccio avrebbe potuto esserci qualsiasi cosa, dalla carne bovina kosher al 100% ad animali morti dello zoo o alcuni membri scomparsi della famiglia Gambino. Con un hot dog, a New York in particolare con il famoso “dirty water dog”, un hot dog venduto da ambulanti e generalmente conservato in bagni di acqua calda che qualcuno sostiene non venga sostituita per settimane, il tacito accordo è: sono affari vostri. E in ogni caso l’hot dog è un prodotto precotto quindi che male può fare?».
E Joe Bastianich nel 2015: «Negli Stati Uniti, e a New York in particolare, ti si presentano un sacco di occasioni per mangiare un hot dog, dalle grigliatine nel cortile degli amici al cinema, in spiaggia, addirittura alle stazioni di servizio, anche se devi essere parecchio ubriaco per mangiartelo lì, visto che la carne sarà sicuramente rimasta per giorni e giorni nel roller grill, assorbendo tutti i gas di scarico. [–] Ma, in definitiva, è proprio questo che ti fa l’hot dog, il cibo americano per eccellenza: ti adesca.
Personalmente devo ammettere di essere un grande fan del roller grill — le griglie a rullo che mantengono gli hot dog caldi mentre girano dentro una teca di vetro — che trovi sui banconi dei bar nei cinema multisala, alle stazioni di servizio o in tutti quei posti dove la proposta gastronomica non è sicuramente l’attrazione principale.
La presenza di un roller grill dovrebbe essere interpretata come il segnale più evidente che ti serviranno il peggiore hot dog che tu possa immaginare: carne di infima qualità abbinata ad un panino scadente lasciato lì sul banco per giorni e spalmato con una senape di color giallo brillante. Tra l’altro, penso che questo schifoso tipo di senape dovrebbe essere messo fuori legge a New York. La senape deve essere piccante e marrone. Per un hot dog come si deve, serve quella che trovi in una buona gastronomia ebraica (un deli), non quella roba dello stesso giallo canarino di Big Bird, il Bibo dei Muppets. Nonostante tutto, c’è qualcosa in quel meccanismo a rullo che mi affascina. [–] Per parafrasare Winston Churchill direi: “Per conoscere l’America devi andare allo stadio degli Yankees e ordinare un hot dog con senape e crauti”».
Nelle versioni più comuni si tratta appunto di un würstel precotto (in genere bollito o cotto al vapore, ma può anche essere grigliato), racchiuso in un panino insieme a salse (maionese e/o ketchup e/o senape), crauti, cipolle, sottaceto, cheddar, insalata, pomodoro.
Per dargli nuova vita, la prima cosa che mi viene in mente è la versione vegetariana o vegana, i cosiddetti veggie dog, a base di soia o tofu. Per ora mi astengo dal proporre la carne prodotta in laboratorio o quella degli insetti: approfondirò la questione e vi farò sapere.
La seconda è renderlo un po’ più localizzato, usando materie prime e abbinamenti locali (lo so, è la stessa idea di Joe Bastianich — sempre lui — per McDonald’s, ma funziona e i panini sono buoni, quindi, perché no?). Pensate solo alle diverse versioni americane: con crauti e senape a New York, con salsa di fagioli e accompagnati da patatine al formaggio e salsa gravy in tutto il Midwest, con pomodoro e cipolla e peperoncini jalapeño in Messico, con fagioli e pancetta a Sonora…
Pensate che lo preparano pure “Italian style”, così descritto dal sito Agrodolce: “Se avete nostalgia del tricolore vi basterà (forse) un assaggio di questo panino inventato a Newark, in New Jersey. Si chiama così perché il pane usato è ottenuto con l’impasto della pizza, una specie di panizzo, diciamo. Il ripieno, invece, è un po’ più stelle e strisce con salsiccia e patatine fritte, cipolla, peperoni e tanto ketchup. C’è qualcosa di più stereotipato di questo?”.
Preferisco altre versioni. Con bacon e scamorza. Nella pasta brioche dolcesalata (idea di Luca Montersino). Con astice e maionese all’erba cipollina (di Graham Elliott, uno dei giudici di Masterchef USA). Con calamari e salsa di lampone e zenzero (di Moreno Cedroni). Con tacchino e prugne (di Davide Castoldi). Con tonno grigliato e marinato e lattuga o con vongole fritte e cavolo cappuccio (di Gwyneth Paltrow). Con patate lesse e mozzarella (Benedetta Parodi avvolge tutto nella pasta sfoglia). Con frutti di mare e spezie giapponesi.
Leggendole, mi parte subito la ola… proprio come allo stadio!
Giorgia Fieni
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