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Ristoranti carnivori

Antica Osteria di via Brandolini: a tutto spiedo

di Bison G.O.

I paesaggi incantevoli tra Valdobbiadene e Vittorio Veneto hanno ispirato la lirica di Andrea Zanzotto, tra i più grandi poeti italiani del Novecento. La sua Pieve di Soligo (Tv), così cara a Toti Dal Monte, soprano ed attrice che in queste zone è nata ed ha vissuto a lungo, aggrappata tra le colline dell’Alta Marca, è cittadina di profonde radici rurali e robuste memorie gastronomiche e vinicole. I luoghi del fenomeno Prosecco, di gente festaiola, incline alla bisboccia e al gozzoviglio che Giuseppe Maffioli, attore nonché gourmet esperto ed appassionato, ha incarnato e raccontato nelle sue narrazioni e incursioni golose, si rivelano spesso per storiche osterie custodi gelose della tradizione culinaria trevigiana e veneta. A Solighetto, frazione di Pieve, ne abbiamo più di una, ma l’Antica Osteria di Via Brandolini (telefono: 0438 82590) ne è esempio luminoso. Gestita dai Perenzin dal 2003, propone una cucina territoriale, stagionale, in un ambiente familiare dove la sacralità del caminetto e dello spiedo sono protagonisti. «Mio papa Giovanni — ricorda Umberto — ha lavorato per la Locanda da Lino fin da bambino. Negli anni si è appassionato al lavoro e alla cucina al punto di decidere, nel 2003, di rilevare la licenza di questa storica trattoria che è stata anche panificio e bar». È iniziata così la loro storia all’Antica Osteria di Via Brandolini, raccogliendo un’eredità ricca di fascino, esempio da sempre di locale accogliente, molto familiare, e di una cucina tradizionale veneta che ha nello spiedo la caratteristica principale e distintiva. Giovanni lo cucina con amore ogni giorno. «Sempre di più la nostra clientela ci chiede il piatto tipico e con esso un’esperienza enogastronomica che diventa storia, cultura e socialità. Sembrerà strano ma sono soprattutto i più giovani che arrivano qui affamati di tipicità, spingendosi fino a chiedere le trippe, le cervella fritte, i rognoni, oltre all’immancabile pasta e fagioli con i radici. A queste pietanze si sommano piatti che non mancano mai come la faraona con peverada, il gallo in tecia, il coniglio arrosto, oltre ai primi che seguono la stagionalità delle materie prime: funghi, asparagi, zucca e radicchio di Treviso. «Avevo sedici anni quando i miei genitori hanno aperto il locale e dopo scuola e nei fine settimana li ho sempre aiutati. Finito il liceo ho scelto di imparare il mestiere. Mio padre è un grande maestro e rubavo con gli occhi quando non arrivavano le parole. Ora la mattina mi occupo dei dolci, la mia passione, poi mi dedico alla sala. È un lavoro che chiede grande disponibilità e sacrificio, come ogni buona attività imprenditoriale, ma che dà tante soddisfazioni. Far trascorrere momenti piacevoli alla clientela mi riempie di gioia.
Dove mi vedo tra dieci anni? Nel settore sicuramente. Oggi la nostra piccola osteria dispone di circa settanta coperti interni e trenta esterni, nel giardino che apriamo con la bella stagione. Siamo fortunati a vivere in questa zona così bella e amata».
Per le carni suine i Perenzin si riforniscono dall’azienda Lovison di Spilimbergo (UD) e da Fabio Balzan di Cornuda (TV) per tutto quanto riguarda le carni avicole. «Sono i nostri fornitori da sempre. Ci piace avere con loro un rapporto di collaborazione chiaro e duraturo incentrato su qualità e fiducia reciproca».
Se dovessi arricchire il menu cosa aggiungeresti? «Mi piacerebbe qualche pesciolino in più, sempre della tradizione: seppie, bigoli in salsa, baccalà. Su questo vedo delle prospettive».
Colpisce l’arredo del locale, in particolare i quadri di Lino Dinetto, autore anche dei sottopiatti, ma anche i vetri artistici della Vivarini di Murano e i tessuti dalle tende al tovagliato. Il personale conta tre cuochi in cucina e due camerieri che si aggiungono ai Perenzin. «Siamo entusiasti dei ragazzi che lavorano con noi, disponibili e professionali. C’è sempre grande difficoltà nel trovare nuovo personale, anche con i ragazzi provenienti direttamente dalle scuole alberghiere».
La cucina tipica trevisana sarà la stessa anche fra dieci o vent’anni? «Sicuramente! L’importante è che i giovani non perdano l’appetito».
Gian Omar Bison

>> Link: anticaosteriabrandolini.it

Lo spiedo dell’Alta Marca trevigiana

Lo spiedo come sistema di cottura della carne ha una lunga storia, vissuta all’interno delle cucine ricche e sontuose dei castelli e dei palazzi signorili o, per contrasto, all’aperto, negli accampamenti delle popolazioni nomadi, oppure durante celebrazioni e feste popolari. Nella tradizione rurale contadina dell’Alta Marca, un secolo fa, la carne entrava raramente nella dieta. La si mangiava soltanto in determinate occasioni, ai matrimoni e nelle ricorrenze speciali; la dieta contadina era fatta soprattutto di legumi, erbe, ortaggi, uova, patate, strutto, pane e tanta polenta. Tra i sistemi di cottura utilizzati c’era anche lo spiedo, ma molto povero, allestito normalmente con qualche uccelletto e piccola preda catturati con la rete, con le trappole o con altri ingegnosi sistemi. Solo a partire dal secondo dopoguerra, sconfitta definitivamente la miseria, il mondo contadino poté imbastire spiedi più ricchi e golosi, con carne di maiale e di pollo in quantità. È accertato che lo spiedo di carni miste, come lo conosciamo oggi, sia una peculiarità di un territorio che possiamo genericamente riferire a tutta l’area collinare prealpina e a quella in particolare che va dal Vicentino al Vittoriese. Non a caso, a Pieve di Soligo (Tv), nel cuore dell’Alta Marca trevigiana, si decise nel 1956 di festeggiare l’uscita dall’incubo della fame allestendo nella piazza centrale del paese, davanti al municipio, uno spiedo gigante, sotto la regia del maestro “spiedologo” Poldo. Nel 2006 il comune di Pieve di Soligo, in collaborazione con la Camera di Commercio di Treviso, il Consorzio delle Pro Loco del Quartier del Piave e Slow Food crearono l’Accademia dello Spiedo d’Alta Marca, con lo scopo di riprendere e diffondere la cultura dello spiedo e di farne una delle attrazioni del territorio. Dopo alcune pubblicazioni, col contributo di accademici come il gastronomo Massimo Foltran, il prof. Danilo Gasparini, lo storico Enrico Dall’Anese e col supporto di alcuni “maestri dello spiedo”, si iniziarono ad organizzare i primi corsi per menarosti. Per le attività di ricerca e approfondimento sui diversi temi, l’Accademia si avvale di un comitato tecnico-scientifico (cit: accademiadellospiedo.it).

Didascalia: il grande camino per lo spiedo e l’arrosto al centro del locale.



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