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Legislazione

L'Europa si prepara a legiferare sul benessere del cavallo

di Mauri G.

 

Il 2015 è un anno importante per i cavalli europei perché è l’anno in cui la UE avvia gli sforzi per produrre una nuova normativa sul benessere che riesca effettivamente a tutelare tutti gli animali appartenenti a questa specie presenti sul suolo comunitario o ad esso in qualche modo afferenti. Nel maggio del 2014 si è tenuto a Bruxelles l’incontro fra tutti gli operatori europei del settore equino: rappresentanti dell’ambiente sportivo e delle competizioni, delle associazioni di protezione degli animali, del mondo accademico e di quello industriale. Organizzato dalla Health and Consumers DG della Commissione europea, con il titolo di “Expert stakeholders meeting on the welfare of horses”, ha permesso di delineare un quadro molto complesso del “mondo cavallo”. Un animale che può essere atleta, sportivo, da compagnia e da reddito: ecco perché il cavallo e gli altri equidi sfuggono spesso alle classificazioni utilizzate per le altre specie e nel comune gergo legislativo.
Con lo stesso metodo di lavoro adottato per legiferare in merito alla castrazione dei suini, l’incontro di maggio ha permesso di raccogliere i contributi di tutti i settori coinvolti. Le informazioni emerse sono state utilizzate per la pubblicazione, avvenuta alla fine del 2014, della Relazione sullo stato attuale del benessere degli equini, e per l’organizzazione, ad inizio 2015, della Conferenza di presentazione sulla direzione da seguire per migliorare il benessere degli equidi: due eventi che costituiscono la base di partenza per futuri passi normativi.
Compierli, detti passi, è una necessità non prorogabile per la UE, ma comporta azioni non facili e interessa un mercato più ampio di quello comunitario. Infatti, soprattutto gli operatori del settore dei cavalli da macello, devono attingere a Paesi extra-UE e a Paesi dell’Est per i rifornimenti di animali.
Per correttezza etica e commerciale è indispensabile che anche in questi territori non comunitari vengano adottati gli standard di benessere comunitari.
Quello che serve e che oggi manca è una legislazione solida: deve essere applicata in maniera unificata all’interno dell’Europa e non solo. Deve essere abbastanza elastica da comprendere tutte le realtà legate al cavallo. Deve essere sempre applicabile.
E già qui cominciano i problemi. Per l’Unione Europea classificare gli equidi è una questione molto più complessa che nelle altre specie. La natura così sfaccettata della sua relazione con l’uomo diventa un ostacolo difficile da superare, sia a livello normativo, sia a livello scientifico.
La sua stessa definizione è incerta: si tratta di un animale di interesse agricolo? Oppure di interesse commerciale, come potrebbero essere i soggetti da competizione? O è un animale da affezione?
Il cavallo è tutto questo in realtà. Ma non si è ancora in grado di definire il peso di questi vari aspetti né da un punto di vista economico-commerciale, né da un punto di vista culturale.
Nel suo intervento Cathy Mc­Glynn, dell’European Federation of Thoroughbred Breeders’ Associations, ha sottolineato come in Europa vi sia una legislazione più severa per gli animali definiti “agricoli” piuttosto che per quelli da competizione.
Ma in Gran Bretagna il 90% dei cavalli è definito in modo da non essere classificabile come agricolo e perciò non è tutelato dalle norme europee sugli animali produttori di alimento.
Per poter avere accesso ai contributi della PAC è necessario dimostrare che il cavallo è un animale agricolo ed è allevato con modalità che potremmo definire “intensive”.
Un altro riferimento normativo è rappresentato dalla Direttiva europea 90/428 in cui sono riportate alcune definizioni, compresa quelle degli equini da reddito. Tuttavia, l’incertezza permane.
Ogni anno in Francia si stima che siano eliminate 30.000 carcasse di equini; nel Regno Unito addirittura 40.000. Queste carcasse vanno ad alimentare il mercato delle farine di origine animale. Dunque l’impatto economico della vendita della carne e dei suoi derivati non è poi così ridotto.
E il consumo di carne di cavallo è comune non solo in Italia, ma anche in Belgio, Francia e Grecia, come ha evidenziato Andrea Zerbini, rappresentante di un’associazione di produttori e commercianti di carne.
Per discriminare i cavalli “da reddito” in generale da quelli che a grandi linee si possono definire “da affezione”, la McGlynn suggerisce di osservare se questi sono coinvolti o meno in attività economiche. In questo caso, però, i cavalli atleti utilizzati per le competizioni rientrano nello stesso gruppo di appartenenza dei cavalli “agricoli” produttori di carne.
Spesso si riconosce che scarsi livelli di benessere del cavallo sono presenti nelle piccole imprese o presso quelle scuderie a gestione familiare in cui si contano pochissimi animali, o anche uno solo. Queste situazioni sono caratterizzate da bassa disponibilità economica e da ridotte conoscenze di base. Ma, in realtà, il giro di affari legato al mondo dei cavalli nel suo complesso è economicamente rilevante. E questo aspetto nella sua globalità non deve essere dimenticato, ha detto la McGlynn.
Nel suo intervento, il respon­sabile del Dipartimento benessere della Fise (Federazione Italiana Sport Equestri) Gianluigi Giovagnoli ha posto l’attenzione soprattutto su due norme europee: la Decisione 68/2000, poi seguita dal Regolamento 504/2008, sulla destinazione del cavallo a animale produttore di carne, e sul Regolamento 1/2005 sul trasporto degli animali. Il secondo Regolamento viene definito da Giovagnoli «una pietra miliare per il benessere, motivo d’orgoglio a livello mondiale per l’Unione Europea. Tuttavia, sarebbe opportuno che la UE stilasse delle norme precise sull’idoneità degli animali all’inizio e durante il trasporto simili alle Linee Guida per le vacche a terra. Inoltre, le sanzioni relative all’errato trasporto devono essere standardizzate in tutti i Paesi europei. Infine, i documenti di identificazione dei soggetti vanno unificati su tutto il territorio comunitario perché al momento sono tanti e tali da non riuscire nemmeno a distinguere quelli falsi da quelli esteri».
Riguardo la norma che impone al primo proprietario di segnalare la destinazione del cavallo, Giovagnoli ha riportato i dati della sua associazione: nel 2013 la Fise ha avuto — in linea con gli anni precedenti — 30.000 cavalli iscritti, di età compresa fra i 5 e i 18 anni di età. Ogni anno, in genere, si ha un turn over di 3.000 soggetti, ovvero vengono registrati 3.000 nuovi cavalli e altrettanti vengono cancellati dalle liste. Qual è il destino di questi 3.000 cavalli “pensionati”?
Difficile credere che tutti possano essere destinati alle attività ricreative o alla pet therapy. Alcuni soggetti spariscono ed è anche plausibile pensare siano vittime di abbattimenti clandestini e che alcuni di questi entrino nella rete della macellazione clandestina.
La questione della vita nella fase post-atletica dei cavalli è spinosa perché si tratta di animali che vivono a lungo e che necessitano di grandi spese. In questa situazione di crisi economica prolungata, le possibilità di mantenere un cavallo a riposo si sono ridotte molto. Ma il Regolamento 504/2008 è molto rigido a riguardo e cancella per sempre la possibilità di destinare al consumo umano gli animali il cui primo proprietario ha segnalato una destinazione diversa. «Spesso la scelta è compiuta per non sottoporre il proprio animali ai controlli vigenti per i capi destinati a produrre carne».
La vita di un cavallo è tanto lunga e i passaggi di proprietà sono numerosi e spesso l’ultimo proprietario non è nemmeno consapevole del divieto di macellazione. «È indispensabile che il proprietario che segnala la destinazione dell’animale compia una scelta ben consapevole. E che anche i successivi proprietari siano a conoscenza della classificazione del loro animale».


Giulia Mauri



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