L’orso nella Preistoria, la caverna di Chuavet
In tempi molto recenti, nel 1994, è stata scoperta nel dipartimento dell’Ardèche, in Francia, una caverna di straordinaria importanza, ricca di immagini ferine realizzate con tecniche diverse che includono il sapiente uso dei colori, la resa dei volumi e la capacità di rendere i soggetti in prospettiva. Si tratta della grotta di Chauvet. Le incisioni sono eccezionali, non solo per la perizia tecnica riscontrata, ma anche perché raffigurano animali selvaggi, come pantere, leoni, rinoceronti, orsi e cavalli, senza menzionare i consueti erbivori e le note scene di caccia. Il numero delle rappresentazioni, non ancora tutte inventariate, è impressionante e raggiunge le 400 unità: la datazione al carbonio 14 colloca le opere intorno al 30.000 a.C circa. La caverna non presenta un unico vano ma è composta da una serie di sale che si snoda lungo un percorso prestabilito, in cui sono ravvisabili impronte umane e segni di artigli ferini. Nel luogo sono state trovate tracce della presenza di orsi, come le impronte di una madre con il cucciolo, ma anche circa 150 crani della fiera e dodici raffigurazioni dell’animale.
Si tratta dell’orso delle caverne, estinto intorno al 15.000 a.C, una belva possente alta 3,5 metri in posizione eretta (contro i 2,10 metri dell’attuale orso bruno) e del peso di 500/600 chili. Oltre alle incisioni, la caverna presenta una camera straordinaria, completamente spoglia, al cui centro si erge un blocco di roccia dalla superficie piana, sul quale è stato rinvenuto un grande cranio d’orso. La pietra, simile ad un altare, è circondata da alcune teste ursine, disposte in cerchio.
Certamente non è possibile stabilire con certezza in quale epoca il maestoso teschio sia stato posto sul masso (quindi se dall’Uomo di Neanderthal o di Cro-Magnon), ma ormai esistono pochi dubbi sul fatto che sia stato un gesto intenzionale, indicatore dell’esistenza di un culto ursino nella più profonda Preistoria. Secondo alcuni studiosi, infatti, le antiche grotte dovevano essere dei luoghi sacri, veri e propri templi, al cui interno la successione di sale e corridoi rappresentava una sorta di viaggio verso l’altro mondo. Il cammino era indicato da un sacerdote, o sciamano, in grado di raggiungere stati di trance durante i quali si identificava con alcuni animali guida, in grado di rivelare i segreti ultimi delle cose e di condurre gli uomini alla verità. Questa teoria sembra avvalorata dai graffiti paleolitici presenti nelle grotte francesi dei Tre Fratelli nell’Ariège, in cui un cervo e un uomo dalla barba fluente sembrano fondersi insieme, formando una creatura fantastica dalle zampe ursine, forse uno sciamano.
Artemide, la selvaggia Dea Orsa
Se la caverna di Chauvet apre notevoli spiragli interpretativi sui culti degli uomini preistorici, certamente in epoca storica il mito nasconde tracce della sacralità dell’orso. A questo proposito è rivelatrice Artemide: dea della caccia, figlia di Zeus e sorella gemella di Apollo, era ritenuta signora dei boschi e delle montagne. A volte veniva indicata anche come “straniera”, forse per la sua origine non propriamente greca, ma anche perché era associata ai territori selvaggi e a quelli di confine, come le aree di frontiera, le coste, le zone d’acqua. Tra gli attributi principali di Artemide compare spesso il cervo: l’animale preferito dalla divinità sembra essere stato, però, l’orso, dal momento che molti miti legano Artemide all’animale. Primo fra tutti la metamorfosi di Callisto, splendida principessa e compagna di caccia di Artemide: la giovane, infatti, fu trasformata in orsa dalla dea selvaggia in un impeto d’ira, probabilmente per aver infranto il voto di castità, dopo essere stata posseduta da Giove. Arcade, il piccolo che Callisto portava in grembo, fu però risparmiato e, nel volgere di qualche anno, divenne re dell’Arcadia (etimologicamente, in greco, “la terra degli orsi”). Un giorno il giovane, recatosi a caccia, venne trasformato da Zeus in un cucciolo d’orso per impedirgli di uccidere la madre e, successivamente, i due furono trasportati nella volta celeste dove formarono le Costellazioni dell’Orsa Maggiore e Minore, le uniche a non tramontare mai sotto la linea dell’orizzonte.
Statua della dea Artio con l’orsa, epoca gallo-romana, trovata nei pressi di Berna e conservato nel Museo Storico della città. Berna, la cui etimologia rimanda all’orso (ber, bern, bear, sono termini germanici riferiti all’orso), era un centro molto importante per l’antico popolo dei Celti.
In questo mito Callisto appare come compagna della dea, ma dal momento che Artemide era conosciuta anche come Kalliste, cioè “la bellissima”, è possibile supporre che le due figure femminili in realtà fossero la stessa persona: questo potrebbe confermare la natura divina dell’orsa, personificata dalla stessa dea. La fusione dell’orso con la divi-nità dei boschi e della caccia può trovare una conferma ulteriore nell’etimologia del nome “Artemide” che presenta, infatti, la particella “art”, che nell’antica lingua indoeuropea costituisce la radice della parola “orso” (arctos, appunto, in greco).
Un altro mito molto interessante riguarda il sacrificio di Ifigenia, figlia del re Agamennone. Narra la leggenda che Artemide, adirata contro il re per essere stata offesa, colpì la flotta greca con una spaventosa bonaccia, impedendole di salpare alla volta di Troia. Alla fine, il responso di un oracolo comunicò che la dea si sarebbe placata solamente con il sacrificio della bella figlia di Agamennone, Ifigenia.
In un primo tempo il grande re, furioso, si rifiutò, ma poi fu costretto ad acconsentire. Artemide, però, proprio all’ultimo momento, si impietosì e rapì la ragazza sostituendola con una cerva o un’orsa. Questa versione del mito è molto avvincente, anche perché ci introduce ad un rituale greco decisamente sorprendente: la giovane Ifigenia, infatti, salvata dalla stessa dea, fu condotta a Braurone (oggi Vravrona), sul mare, dove divenne grande sacerdotessa del tempio di Artemide e dove morì. In questo luogo di culto, almeno dal VI secolo a.C, si recavano le giovani ateniesi, chiamate “orsette” (artktoi), per partecipare ad una cerimonia misteriosa e iniziatica, in parte segreta.
Per quello che è possibile sapere le fanciulle arrivavano in processione da Atene al grande santuario vestite con abiti color zafferano; qui danzavano, spesso nude, imitando le movenze delle orse, come riportano alcuni storici dell’antichità. I riti si concludevano probabilmente con l’uccisione di un’orsa: il sacrificio di un animale, magari accompagnato da un pasto rituale, aveva un’importanza fondamentale nell’antichità (e nelle culture sciamaniche), perché permetteva alle proprietà dell’animale di trasferirsi alle persone. In questo caso, la qualità preponderante dell’orsa, cioè il suo istinto materno, si sarebbe così trasmesso alle giovani ateniesi in procinto di diventare spose e madri. Si trattava evidentemente di un rito di passaggio dalla condizione puerile a quella adulta: a testimonianza di questa versione, nella fonte sacra del tempio, ancora visibile, sono stati rinvenuti oggetti personali delle giovani adolescenti e legati alla loro condizione infantile, offerti ad Artemide.
Quindi la dea selvaggia, vergine ed indipendente, era associata alla maternità proprio attraverso la sua identificazione con l’orsa. Per questo si diceva che Artemide si allontanasse dai boschi solamente per soccorrere le donne afflitte dalle doglie: a questo proposito, a Braurone, sono state trovate delle piccole figure umane, forse degli ex voto, consegnati alla dea dopo il felice esito dei parti e, nello stesso luogo, i mariti e i familiari erano soliti offrire gli abiti indossati delle spose decedute durante il travaglio. Se Artemide è fortemente collegata all’orso, fin dalla stessa etimologia, la dea non compare solamente nella mitologia greca, ma è presente con nomi molto simili anche nel mondo celtico e germanico: nelle zone dell’Europa centrale e insulare sono presenti, infatti, Arduina e Andarta, venerate rispettivamente nelle Ardenne e sulle Alpi, e soprattutto la dea Artio, adorata nella Germania del sud e in Svizzera, il cui attributo principale era un’orsa, appunto.
I guerrieri orso
Anche presso i popoli del Nord Europa l’orso aveva una grande importanza: associato alla forza e al coraggio, veniva affrontato in un corpo a corpo che doveva mettere in luce tutta l’abilità del cacciatore. I riti di iniziazione dei giovani prevedevano uno scontro diretto con il possente animale: dal momento che l’unico modo di ucciderlo era quello di conficcargli un grosso coltello nel petto, i guerrieri erano costretti a resistere al terribile abbraccio dell’orso per non essere soffocati. Prima di una battaglia, poi, gli uomini cercavano di assumere la forza dell’animale attraverso un pasto rituale in cui si cibavano della carne e del sangue della belva, a volte immergendovisi totalmente, in una sorta di bagno rituale. Nell’antichità, e fino al Medioevo, i Berserkir (letteralmente “tuniche d’orso”), guerrieri scandinavi conosciuti anche come i “Guerrieri di Odino”, combattevano vestiti con pelli d’orso, terrorizzando gli avversari con il loro terribile aspetto di orsi-mannari: prima dello scontro, probabilmente, partecipavano ad una cerimonia sciamanica in cui danzavano e gridavano come le belve. Al termine del rituale, condizionati anche dall’uso di droghe, si sentivano realmente trasformati in orsi, diventando selvaggi e terribili.
Artù, il re orso
Se presso i Germani l’orso era legato ad un’idea di forza e di guerra, presso i Celti l’animale rappresentava la regalità. Il leggendario re Artù, protagonista di una serie di romanzi cortesi redatti nel XII secolo, mostra sorprendenti analogie con l’orso, a cominciare, ancora una volta dall’etimologia del nome (art – Artù). Prima ancora di essere un famoso eroe, Artù si collega ad un mito ancestrale, tramandatoci da un tempo remoto. Alcuni episodi della saga arturiana, infatti, sotto la patina letteraria, riconducono il prode sovrano alla sua origine ursina. Artù estrae la spada dalla roccia, mostrandosi come l’eletto destinato a salvare il regno dagli invasori sassoni, in febbraio, proprio quando l’orso si rivelava agli uomini uscendo dal letargo.
Il sovrano, poi, viene mortalmente ferito in novembre e soccorso agonizzante da Morgana e da alcune fate che lo conducono su una barca ad Avalon, tra le fitte nebbie autunnali: l’eroe quindi non muore realmente, ma è condotto in un altro regno da cui probabilmente farà ritorno, una condizione che richiama il lungo letargo invernale dell’orso, che iniziava, appunto, in novembre. La natura ursina di Artù emerge ancora più chiaramente poco prima della terribile battaglia di Salesbiéres, quando il re abbraccia Lucano, il suo coppiere, soffocandolo tra le poderose braccia; nemmeno il nome del servitore sembra casuale, poiché l’etimologia si riferisce chiaramente alla luce (lucano da lux), e l’episodio potrebbe essere allegoricamente letto come l’azione dell’inverno che spegne l’abbagliante luce estiva.
Il culto dell’orso oggi
Presso moltissime popolazioni del nord del pianeta, nell’Eurasia, dalla Siberia al Giappone, dove la religione è di tipo sciamanico, l’orso riveste un’importanza particolare, dal momento che l’animale è considerato in grado di accedere al mondo superiore nuotando nel grande fiume infero e di arrampicarsi sugli alberi per raggiungere le più alte sfere celesti. Si tratta di un mediatore tra gli uomini e gli dei, adorato per le sue qualità terrificanti, ma anche per le sue doti di generosità e di coraggio, per la sua capacità di rinascere ogni primavera dopo il letargo e quindi di garantire il ritorno della stagione calda dopo il buio periodo invernale. Ancora in tempi molto recenti, presso gli Ainu giapponesi (forse gli unici superstiti dell’antico ceppo euroasiatico preistorico), l’orso veniva allevato con cura e, successivamente, sacrificato, al termine di un rituale in cui gli uomini chiedevano perdono all’animale e in cui lo rassicuravano sulla sua sorte ultraterrena: quindi la belva veniva mangiata per assorbirne le qualità di forza e di coraggio.
La possibilità per gli uomini di trasformarsi in orso, presente nella cultura siberiana, trova un’eco in tempi molto recenti, anche nei cartoni animati per bambini: è significativo, a questo proposito, il film di animazione “Koda, fratello orso”, in cui il giovane inuit Kenai acquisisce la maturità solo dopo essersi trasformato in un orso. La scelta del giovane di trascorrere la vita nelle sembianze ursine per rimanere accanto al piccolo Koda, non gli impedirà di lasciare le sue impronte sulle pareti della caverna locale, insieme a quelle dei grandi uomini della sua tribù, un rito che sembra curiosamente collegarsi alle tracce umane e animali trovate nella caverna di Chauvet.
Cristina Casini
Per saperne di più
Pastoreau M., “L’orso, storia di un re decaduto”, Torino, 2008.
AA.VV., “Antropologia e storia delle religioni. Saggi in onore di A.M. Di Nola”, Roma, 2000.
Walter P., “Artù, l’orso e il re”, Roma, 2005.
F. Cardini, Il simbolismo dell’orso, in http://www.centrostudilaruna.it/simbolismodellorso.html
Links utili
Sito ufficiale della grotta di Chauvet: http://www.culture.gouv.fr/culture/arcnat/chauvet/en/index.html
Villa Valmarana: www.villavalmarana.com
Nota
Foto tratte da
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