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Legislazione

Evoluzione del controllo ufficiale degli alimenti in Italia

di Rossi G.

Il controllo ispettivo tradizionale

Due decenni fa il controllo ufficiale (C.U.) sulle imprese del settore alimentare era condotto dagli organi ispettivi al fine di verificare esclusivamente la presenza o l’assenza dei requisiti previsti dalle norme igienico-sanitarie. Il controllo, o meglio la vigilanza, com’era chiamata allora, era di due tipi: semplice e complesso. Il primo era di tipo esclusivamente visivo, si effettuava all’atto del sopralluogo nell’osservazione delle strutture, delle attrezzature e delle condizioni igieniche dell’attività alimentare, ed era improntato alla verifica della rispondenza alla legge, in particolare a quanto previsto dalla Legge n. 283/1962 e dal suo regolamento di attuazione, il DPR n. 327/1980 che proponevano un tipo di controllo “vigilanza” basato essenzialmente sulle ispezioni e sul campionamento. Il ché non richiedeva particolari cognizioni tecniche, limitandosi alla verifica di requisiti e parametri ben precisi. Nel secondo caso si risolveva nel prelievo di campioni che venivano poi inviati ai Laboratori provinciali di igiene e profilassi (le attuali agenzie ARPA) o agli Istituti Zooprofilattici Sperimentali, per essere analizzati, al fine di verificare il rispetto dei parametri di legge. Nel caso di carenze, oggi non conformità, emerse all’atto del sopralluogo o relative al campione analizzato, il responsabile dell’azienda alimentare veniva sanzionato in via amministrativa o penale.

Questo tipo di controllo risultava poco affidabile per le seguenti ragioni:

  • era necessario un numero elevato di ispezioni e di campioni e, quindi, di risorse umane e strumentali; le norme legislative rispecchiavano questo criterio quantitativo (numero d’ispezioni, campioni, ecc...), a tutto svantaggio dell’aspetto invece qualitativo, soprattutto sotto il profilo gestionale;
  • i campionamenti erano condotti quasi esclusivamente sul prodotto finale e non sull’intera filiera produttiva, con la conseguenza che i provvedimenti, in caso di difformità ai parametri, erano spesso presi solo quando l’alimento era già in fase di distribuzione e di consumo. Inoltre, non era effettuata una valutazione complessiva del processo produttivo e della gestione del rischio per il consumatore.

Dalla vigilanza al controllo ufficiale

Dobbiamo aspettare fino al 1993 perché non si parli più di vigilanza, ma il termine venga sostituito, con il DLgs n. 123 “attuazione della Direttiva 89/397/CEE relativa al controllo ufficiale dei prodotti alimentari”, con “controllo ufficiale”. Il Decreto Legislativo, inoltre, introduce per la prima volta in Italia altre metodologie di controllo che si affiancano a quelle tradizionali — ispezione e campioni — come l’esame del materiale scritto e dei documenti in possesso dell’OSA e dei sistemi di verifica eventualmente installati dall’impresa e dei relativi risultati. Dopo qualche anno c’è stata l’emanazione del DLgs n. 155/1997 (attuazione della Direttiva 93/43/CEE sull’igiene dei prodotti alimentari). Inoltre, attraverso il recepimento delle varie direttive CE verticali nel settore dei prodotti di origine animale (DLgs n. 537/92, DLgs n. 531/92, DLgs n. 286/94, ecc...), anche in Italia viene imposto l’obbligo alle aziende alimentari di disporre di un sistema documentale di “autocontrollo”. Il responsabile dell’industria alimentare deve individuare ogni fase che potrebbe rivelarsi critica per la sicurezza degli alimenti e garantire che siano individuate, applicate, mantenute ed aggiornate le adeguate procedure di sicurezza avvalendosi dei principi su cui è basato il sistema di analisi dei rischi e di controllo dei punti critici HACCP (Hazard Analysis Critical Control Point).

La svolta è epocale: il nuovo sistema impone un approccio diverso al controllore ufficiale. La finalità del sistema “autocontrollo” non è più quella di intervenire sulle non conformità rilevate, ma quella di cercare di “prevenire” le cause d’insorgenza, prima che si verifichino gli eventi negativi e, in ogni caso, di applicare sempre le opportune azioni correttive in modo da minimizzare i rischi sanitari. La “profondità” dell’intervento ispettivo cambia, si tratta ora di verificare la credibilità del sistema di garanzie che ha adottato l’impresa. Si realizza così un delicato equilibrio tra controllo ufficiale ed autocontrollo che consente di agire su due versanti ben distinti: quello della prevenzione del rischio (valutazione del sistema ed eventuale prescrizione o sanzione amministrativa) e quello della repressione. Il nuovo approccio nei controlli causò al controllore ufficiale un lungo periodo di confusione ai fini dell’applicazione della norma, dovuto sia alla mancata abrogazione di numerose norme nel settore alimentare che si erano susseguite e stratificate nell’arco di un secolo, sia al passaggio al sistema prescrittivo (si pensi al termine non inferiore a 120 giorni per rimozione delle carenze, indipendentemente dalla gravità del caso!).

Il controllo ufficiale di tipo sistemico

Una ulteriore rivoluzione è avvenuta in questi ultimi anni, allorché il settore dei controlli sugli alimenti è stato oggetto di una ridefinizione complessiva da parte del legislatore europeo con l’emanazione del cosiddetto “pacchetto igiene” costituito dalle seguenti principali norme:

Regolamento CE n. 852/2004/CE sull’igiene dei prodotti alimentari;

Regolamento CE n. 853/2004/CE che stabilisce norme specifiche in materia di igiene per gli alimenti di origine animale;

Regolamento CE n. 854/2004/CE che stabilisce norme specifiche per l’organizzazione di C.U. sui prodotti di origine animale destinati al consumo umano;

Regolamento CE n. 882/2004/CE relativo ai controlli ufficiali.

Le principali novità introdotte nel campo del controllo ufficiale sono:

designazione di autorità competenti avvenuta poi con il DLgs n. 193 del 6 novembre 2007 nel Ministero della Salute, Regioni e ASL;

controlli ufficiali eseguiti periodicamente, in base ad una valutazione dei rischi e con frequenza appropriata;

possibilità di delegare compiti specifici riguardanti i controlli ufficiali a uno o più organismi di controllo;

nuove metodologie e tecniche di controllo.

Il Regolamento 882/2004 prevede quindi che il C.U. debba essere attuato tramite procedure documentate che comportino informazioni e istruzioni al personale che esegue i controlli; le procedure operative devono valutare l’efficacia del proprio sistema di controllo e, se necessario, correggerlo. L’attività del controllo ufficiale assume quindi un nuovo ruolo: quello di un’attività di parte “ terza”, che si colloca tra il consumatore e gli operatori della filiera alimentare; in definitiva il C.U. pubblico deve operare con logiche di un sistema di qualità. Gli strumenti per il C.U. previsti dal Regolamento 882/2004 sono: verifica, ispezione, audit, sorveglianza, monitoraggio e campionamento. Tra questi, l’audit sicuramente è lo strumento più innovativo, ma anche meno conosciuto da parte dei servizi che storicamente svolgono l’attività di controllo. Viene definito:

“audit”: “un esame sistematico e indipendente per accertare se determinate attività e i risultati correlati siano conformi alle disposizioni previste, se tali disposizioni siano attuate in modo efficace e siano adeguate per raggiungere determinati obiettivi”;

“ispezione”: “l’esame di qualsiasi aspetto relativo ai mangimi, agli alimenti, alla salute e al benessere degli animali per verificare che tali aspetti siano conformi alle prescrizioni di legge relative ai mangimi, agli alimenti, alla salute e al benessere degli animali”.

L’audit riguarda quindi l’insieme dei processi e la loro interazione, ai fini di valutare l’affidabilità (sicurezza alimentare) dell’intero sistema di produzione, anche rispetto alla capacità di mantenere tale affidabilità, nel tempo. L’ispezione tende, invece, a valutare il risultato di un singolo processo e/o il prodotto derivato; è una valutazione che si riferisce al preciso momento in cui viene fatta.

Conclusioni

Per il controllore ufficiale si apre dunque un nuovo scenario che vede nella prevenzione l’elemento cardine attraverso il quale devono ruotare le attività di verifica e controllo per perseguire l’elemento salute. Nel panorama nazionale sono poche le Regioni — in particolare quelle del Centro-Nord — che stanno impegnando risorse economiche e umane al fine di utilizzare la leva della formazione per cambiare i Servizi Ispettivi SIAN/SV delle Aziende USL (Autorità Competente) in un’ottica di un C.U. di qualità. Le criticità sono numerose e hanno tutte un comune denominatore, ossia le vecchie logiche amministrative burocratiche che sono ancora esistenti all’interno delle amministrazioni pubbliche. Ma la vera svolta potrà realizzarsi solo puntando sulle risorse umane. Solo un sistema meritocratico potrà far emergere le professionalità migliori ed incentivare tutti a fare meglio. I servizi ispettivi dei Dipartimenti di prevenzione sono organizzazioni complesse e dinamiche e lo stile della direzione richiede un management improntato alla flessibilità, che renda possibile il suo continuo adattamento alle pressioni interne e ambientali, attento alle potenzialità e alle capacità di tutte le figure sanitarie presenti, le quali devono interagire e svilupparsi nei vari percorsi di carriera. “Fare qualità” nei servizi ispettivi delle aziende sanitarie vuol dire avere una visione strategica, trasversale e il più possibile ampia. Per non correre il rischio che la “qualità” sia solo un orpello, si devono quindi definire delle procedure, ma non delle procedure rigide di tipo “burocratiche”, bensì delle procedure che tengano conto delle varie parti dell’organizzazione e soprattutto del cittadino (cliente), dove l’analisi e il loro lo studio siano elementi che permettano di promuovere la qualità.

Dott. Giovanni Rossi

RAQ Servizio S.I.A.N.

Azienda USL di Parma



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