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Prodotti tipici

Non chiamatelo Patanegra!

di Rella M.

 

Cresce nella dehesa e si nutre di ghiande ed erbe. Ecco perché il maiale Iberico più autentico dà un prosciutto di qualità superiore, dal gusto inconfondibile, il Jamón Ibérico. Nella Spagna meridionale boschi di querce, lecci, sughere e macchia mediterranea formano appunto la dehesa, un ecosistema adatto all’allevamento della razza suina autoctona dell’area compresa tra l’Estremadura, l’Andalusia e Salamanca. In genere l’Iberico vive libero, muovendosi tra le piante e procacciandosi il cibo nei pascoli accoglienti delimitati soltanto da muretti a secco. Uno stile di vita e un’alimentazione che favoriscono il prodotto finale. L’animale entra nella dehesa intorno ai 12 mesi quando pesa dai 92 ai 115 kg, cioè 8-10 arrobas, secondo un sistema di misurazione locale basato su un’unità di misura (arroba) che equivale a 11,5 kg, e prima della macellazione deve aumentare il suo peso di almeno 52 kg, cioè 4 arrobas. L’allevamento Llano Ventura, a Segura de León, vicino al villaggio di Cabeza La Vaca, in Estramadura, possiede 480 ettari e alleva circa 250 maiali Iberici allo stato brado, riconoscibili per il colore grigio del mantello. Antonio Zapata, il direttore della tenuta, ci dice che «l’Iberico è un prodotto di qualità straordinaria, derivante da vari fattori, in particolare la razza e l’alimentazione tipica della dehesa». El cerdo è libero di muoversi e ciascun esemplare ha in media un ettaro a disposizione. «Questa libertà di movimento — sottolinea Zapata — insieme all’alimentazione a base di ghiande, ricche di acido oleico, porta allo sviluppo di grasso nobile».
Ce lo conferma anche Anabel Mulero, la veterinaria del Consorzio dell’Iberico dell’Extremadura D.O. «Nell’Iberico la razza conta, come contano l’età, il peso e l’alimentazione. Un tempo era erroneamente chiamato dai contadini patanegra per il colore scuro delle unghie» sottolinea. «Ma non è una definizione corretta ed esauriente e non ha alcun significato scientifico. In realtà nel gruppo degli Iberici sono compresi sotto tipi che hanno le unghie di un altro colore, altri con problemi di pigmentazione».
L’anno scorso, per tutelare la qualità dell’Iberico, è stata approvata una nuova normativa sulla certificazione di qualità della carne, del prosciutto, cioè la zampa posteriore, e della paleta, la zampa anteriore, e anche della lonza. La normativa stabilisce inoltre regole che rendono più facile ai consumatori riconoscere il prodotto. Le denominazioni di vendita sono tre e si differenziano in base al sistema d’allevamento e di alimentazione:
bellota, indica i maiali nutriti soltanto a ghiande ed erbe;
cebo de campo, quelli allevati con mangime di campagna;
cebo, quelli alimentati con mangimi tradizionali.
È previsto che ogni tipologia di prosciutto sia contraddistinta da un cartellino colorato, rilasciato dall’associazione interprofessionale, un’etichettatura che indica la percentuale di razza Iberica. La “targhetta nera” indica l’Iberico al 100%, di razza pura, alimentato a bellotas, cioè ghiande ed erba, e allevato libero nella dehesa. Con la “targhetta rossa” l’unico fattore a variare è la razza: l’animale è incrociato ed è Iberico al 50-75%. La “targhetta verde” indica il maiale di campo, alimentato non con ghiande ma con mangime, però crescendo libero in campagna. La “targhetta bianca” il suino che vive in piccoli allevamenti.
Il coscio intero del nero con l’osso costa intorno ai 36,00–40,00 euro/kg; disossato lo troviamo anche a 9,00–15,00 euro/etto. Soldi spesi bene, ne vale la pena.


Massimiliano Rella




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