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Vino

Un brindisi che migliora il Natale

di Lagorio R.

 

Una delle notizie che nel 2014 ci ha più appassionato è che ad aggiudicarsi il primo premio assoluto nel Concorso mondiale dei Sauvignon, tenutosi in Francia, a Bordeaux, sia stato un italiano (751 i campioni esaminati; 21 i Paesi partecipanti). Roberto Snidarcig proviene da una famiglia contadina, con animali da allevare e campi da coltivare. In campagna fin dall’adolescenza, aveva individuato fra le uve che suo padre acquistava da altri contadini per vinificare, una vigna di Sauvignon dal carattere particolare, che spiccava sulle altre ed il cui vino si evolveva e migliorava in modo significativo e sorprendente anno via anno. Da quella vigna è iniziato il suo amore per il Sauvignon (che rappresenta ora il 45% della sua produzione, complessivamente di 100.000 bottiglie annue): ne ha preso dei tralci e, fattone barbatelle, le ha piantate nel suo primo ettaro di vigneto, a Dolegna del Collio (GO), due passi due dal confine con la Slovenia. Il suo Sauvignon Doc Collio (ma chi possiede un rapporto privilegiato con il piacere e l’amore alla vita vada dritto sull’Empîre, sempre Sauvignon, ma raccolta tarda) è giallo paglierino all’occhio.
Colpisce il naso con i suoi agrumi, la sua mela ed i sentori minerali bagnati da una goccia di pipì di gatto; la bocca si riempie morbida e molle, densa e fresca, lunga e fine. Durante le festività natalizie lo terrete sempre vicino a voi: dagli anolini in brodo al bollito di cappone, dai pasticci di pasta all’agnello al forno. E vi beatificherete. Come nell’arancione agriturismo, se passerete per di là, dove la moglie Sandra prepara delizie (www.tiaredoc.com).
Tra i Sauvignon, merita citazione anche quello di Damian Princic (www.colleduga.com), di Zegla di Cormons (GO), i cui terreni ricadono in parte nel territorio del Comune di Medana, in Slovenia, cru Colle Duga appunto. Nasce da un raccolto non affrettato delle uve, pressatura soffice e fermentazione ed affinamento in acciaio.
Gli aromi di sambuco e glicine sono la premessa per un bouquet raffinato che si ravviva in foglie di salvia e buccia di pomodoro.
Ancora il Collio: 1.500 ettari coltivati a vite da 200 produttori, un mosaico di sfumature, cantine che prediligono soddisfare il mercato grazie a numerose etichette in portafoglio. Ma Edi Keber e suo figlio Kristian hanno vinto una loro personale scommessa: la produzione di una sola tipologia di vino, 50.000 bottiglie, dai frutti di Tocai friulano (70% dell’uvaggio.  I filari sono quelli centrali sui 12 ettari del colle Zegla), Ribolla gialla (per il 15%, la parte più elevata del vigneto) e Malvasia istriana. Anche il metodo di vinificazione è al di là delle mode: vetuste vasche in cemento che garantiscono freschezza e setosità al risultato. La grassezza della Malvasia ed i suoi sentori di mandorla amara si fondono a note di frutta candita per un lunghissimo finale balsamico (www.edikeber.it).
«La terra non è tua, ce l’hai in affitto dai tuoi figli». È il benvenuto di Damijan Podversic, omone dal cuore grande così e dall’assennatezza sottile: niente fertilizzanti, nessuna sostanza chimica nei suoi terreni, tra i quali si erge — geograficamente e ampelograficamente — il Monte Calvario in Gorizia, terra difficile e siccitosa. Qui la Malvasia istriana del 2011 ha espresso profumi di mirra e spezie e ci ha convinto per la sottile aromaticità in bocca. Bicchiere che si presta bene ad aprire i pasti sino alla loro conclusione (www.damijanpodversic.com).
Altrettanto coinvolgente l’accoglienza di Miran Korenika (www.korenikamoskon.si), al di là dal confine, a Isola d’Istria, in Slovenia, che nel 1984 ha ripreso l’attività del bisnonno. Alcuni vigneti risalgono al 1954 e si dislocano in 7 diverse località intorno a Korte. Dal 2002 protegge i suoi campi, e ne trae beneficio il vino, grazie all’agricoltura biologica, ora in conversione biodinamica, e le uve vengono raccolte manualmente. «In Europa si produce vino che piace a chi lo paga; io faccio il vino che piace a me, con lieviti indigeni per evitare che i miei vini assomiglino a quelli ovunque uguali» taglia corto. Ed è difficile non cedere alle lusinghe delle sue creazioni: una decina le etichette, che trascorrono numerosi mesi in botte prima di essere messe sul mercato.
Come il Paderno 2008, di uve Malvasia, che prende il nome dalla località del vigneto, a 1 km dal mare e a 140 metri di altitudine. In questo caso la raccolta degli acini avviene in stagione avanzata, quando quasi la buccia si inflaccidisce; il colore giallo dorato è il preliminare visivo al naso di tiglio, di pesca bianca e banana, al corpo ricco e vellutato che si genera anche grazie agli sbalorditivi 38 mesi durante i quali rimane tappato in bottiglia. Lo si beve bene con piatti di pesce e crostacei, meglio crudi e di forte impronta iodica.
È singolare dovere registrare lo stesso affetto verso la terra in angoli del mondo lontani: a Feldthurns (Velturno in italiano), per esempio, in Alto Adige. Josef Michael Unterfrauner (www.zoehlhof.it) si è dedicato all’agricoltura biodinamica quasi per caso, osservando sua moglie dal maso, che risale al 1484 e che anticamente fungeva da dogana. Una nuvola la attorniava durante i trattamenti chimici alle vigne e ai meleti. Così il percorso inizia nel 1994 e si perfeziona con la prima vinificazione in regime biodinamico nel 2000. Il cortile del maso pieno di sole, accanto a frutteti e vigneti, si trasforma anche in museo con opere d’arte moderna: visioni futuristiche per dare senso nuovo al passato.
Della cantina ci ha impressionato l’Aurum («Il nome latino lo abbiamo conferito perché i Romani amavano il vino», dice Unterfrauner), cuvée che combina Termeno aromatico, Müller Thurgau e Silvaner, ovviamente fermentati senza l’aiuto di lieviti selezionati. Il bicchiere è giallo con ciocche verdoline, l’aroma di rosa selvatica, noce moscata e fieno fresco e in bocca indugia corposo, minerale, speziato, eppure fresco.
Perfetto come accompagnamento ad un aperitivo gagliardo come quelli serviti quassù, di cetrioli, Speck Igp e formaggio, ma anche per gli energetici primi piatti sudtirolesi. Inaspettatamente vino da apertura di pasto il Moscato bianco passito Luis, di Colline di Sopra (www.collinedisopra.com). Un’azienda giovane, declinata al femminile in vigna, voluta da una architetto ed un medico che si sono lasciati convincere dalla bellezza naturale di un paesaggio immortalato da poesia e cinema: alture di terre sciolte e ricche di fossili, prima del 2006 mai sottoposte alla coltivazione della vite, nel lembo meridionale della provincia di Pisa. Raccolte ad ottobre le uve e lasciate appassire sino a gennaio, esprimono in Luis accenti di zafferano e miele al naso, una spessa trama di albicocca e menta accarezza la lingua e si perde lunga, sostenuta da ricordi di cardamomo. Ripeto: ideale come apertura, specie di pesce, ma anche in chiusura di pasto con dessert che non esagerano in dolcezza o formaggi di medio affinamento.
Nell’intermezzo può venire in soccorso un’altra creazione di Luisa Silvestrini e Paolo Zucco, Sopra, un Sangiovese Montescudaio Doc dai consueti aromi di frutti rossi, ma in bocca dagli insoliti corredi di rosa canina, susine e guizzi di pepe bianco. A fine pasto potrete apprezzare anche un Erbaluce da uve parzialmente appassite. Balsamico, dalla sostenuta acidità e bilanciata dolcezza quello di Tenuta Roletto (www.tenutaroletto.it) che ha vigne a Cuceglio, non distante da Ivrea.
Se il Sangiovese è il vitigno più diffuso nel nostro Paese, il Casavecchia si trova praticamente solo nella conca di Pontelatone, nel Casertano, ed è capace di raccontare il suo territorio come pochi altri al mondo. Il nome è legato alla leggenda secondo cui all’inizio del Novecento, accanto ad un rudere, fu rinvenuto un ceppo di questa varietà.
È realtà invece che la vendemmia 2004 fatta dalla Cooperativa Viticoltori del Casavecchia (www.viticoltoridelcasavecchia.it) ci ha tramandato un Erta dei ciliegi sorprendente, colore d’inchiostro dalla carica fruttata dove fragole ed amarene prevalgono sulla forra dove scorrono rigagnoli di liquirizia. Bocca vellutata con tannini morbidi con di carruba e pepe verde sediziose nei confronti dei vitigni internazionali.
Anarchico, invece (è proprio il caso di dirlo), Momo, da uve Primitivo, elaborato dalle comunarde di Urupia (urupia.wordpress.com), un progetto libertario che dal 1995 unisce nell’alto Salento uomini e donne di diverse lingue e culture. Principi costitutivi della comune sono la proprietà collettiva dei beni e l’unanimità delle decisioni. La cura dei terreni e la trasformazione dei prodotti non sono garantite da nessun marchio, ma solo dalla trasparenza delle pratiche adottate e dal diretto rapporto con le persone. Momo possiede colore rubino intenso e anche bordi granati, profumo di piccoli frutti rossi, stoffa salda e sapida, vigorosa a tratti. Ideale per piatti a base di selvaggina quando, nei giorni tra Natale e Capodanno, meglio si apprezza la convivialità tra amici.
Incontri ai quali peraltro incita il Gutturnio di Podere Canova, di Giovanni e Luca Gualdana, alto su Pianello Val Tidone (telefono: 349 5319175), in una delle zone vinicole tutta da rivalutare e riscoprire. Questo vino assume particolare voluttà quando la carne è preparata a diretto contatto con il fuoco, specie i piedini di maiale: le uve Bonarda e Barbera selezionate generano un vino rosso violetto dai profumi floreali e speziati, magari rustici, per affidarsi infine a una inaspettata, esuberante amabilità.
Incantevole, spirituale ed etereo dalla stessa Val Tidone, Angelico è il vino di uve Bonarda parzialmente appassite che Roberto Civardi (www.civardivini.com) coltiva a Ziano Piacentino. In etichetta il ritratto di un angelo dipinto da Ulisse Sartini, che crea l’utile connubio della maestria dell’arte visiva e quella materiale di questo vigneron d’altri tempi abituato a parlare alle sue vigne ed alle botti più che ai rotocalchi.
Raccolte nella seconda metà di settembre, le uve sono lasciate in piccole cassette in un unico strato agli ultimi raggi di sole estivo e spremute all’inizio di ottobre, secondo antica tradizione dei colli piacentini. L’affinamento avviene in soli contenitori di acciaio almeno per un anno; le bottiglie sono da 1,5 litri ciascuna.
Dentro un liquido rubino fitto con riflessi violacei, profumi intensi di frutti di bosco ben maturi, gusto pieno e morbido con rivoli di cioccolato e spezie celestiali. Mai nome fu meglio azzeccato.
Vellutato e succoso, per pranzi importanti a base di carne e formaggi ultra stagionati, Tané è invece la risposta siciliana alle festività (www.valledellacate.com). Valle dell’Acate sorge tra i colli della Valle del Dirillo, in quella parte dell’isola ricca di barocco e iniziative imprenditoriali. Struttura del terreno cretosa e quantità di sabbia che lo rendono sciolto e leggero, ideale per esprimere al meglio i tannini del Nero d’Avola e le caratteristiche dello Shiraz (o Syrah, Ndr), che accarezzano le labbra. Il risultato per la bottiglia 3905 del 2003, viola intenso e impenetrabile, è stato di regalare gradevoli aromi balsamici rigogliosi di amarene ed un’originale sfumatura di liquirizia e pepe bianco.
Di grande struttura e alcolicità che gli consente di essere privilegiato per secondi piatti ed oltre, quasi anche per certi dessert di pasta frolla.
Da Cabernet e Marzemino, nel cuore di un territorio ricco di suggestioni e nell’equilibrio perfetto del microclima che caratterizza i primi contrafforti dolomitici trevigiani, la famiglia Ceschin (www.bepindeeto.it) ottiene per i natalizi pranzi Montirosso, rubino con venature granate, fresco, morbido, leggermente fruttato e con lontana presenza carbonica che lo rende ancor più accattivante. Lungo il finale, di talentuosa asciutta personalità. Sostiene anche un medio invecchiamento, che lo rende ideale per gli antipasti di salumi e piatti di carni bianche con presenza di tartufo nero.
In alternativa per questi piatti, ma anche per brasati alla presenza di enormi polente e bolliti, sulla tavola di Natale ci sarà il Botticino Doc di Claudio Casali (telefono: 030 219089), dalla livrea cerasuola, terroso e a tratti di fieno al naso, appena speziato, che nel 2010 ha espresso palato garbato e stretto di amarena. Sperimentatore e appassionato, Claudio Casali ha intrapreso  anche la vinificazione di Marzemino del Lombardo-Veneto a piede franco, Atro, di nome e di fatto, poche piante sopravvissute alla fillossera e ritrovate per caso: aroma di cacao e tabacco, bocca ampia di pesca matura e lampone. Al momento una mera curiosità, che certo non può far parte del vostro banchetto natalizio.
Come probabilmente nessuno troverà sotto l’albero il vino di Babbo Natale, prodotto a latitudini insolite (oltre il 50° parallelo) sulla penisola Kulla in Scania, Svezia: il Silex della Kullabygdens Winery (telefono: 0046 43 510469), voluta dal dentista Bert Åke Andersson insieme al cognato Murat Sofrakis, che un tempo gestiva un negozio di animali. La loro sfida, iniziata nel 2000, su terreni d’argilla e pietra focaia, ha messo a segno un vino niente male con uve prevalentemente Solaris e poi Müller Thurgau e Chardonnay.
Quello del 2006, tra l’incre­dulità generale dei commensali che lo pensavano francese o tedesco o di chissà dove, si è espresso con colore paglierino, buona solidità e armonia al naso con piacevoli sentori di pesca bianca e rivoli agrumati in bocca. Curioso e desiderabile stringere tra le mani una nuova bottiglia di Selex: e bello immaginare che tra i desideri espressi per Natale, questo sarà esaudito.


Riccardo Lagorio



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