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Assemblea Federcoopesca

L’assemblea nazionale di Federcoopesca-Confcooperative, riunita a Roma presso il Palazzo della Cooperazione, ha riconfermato, per acclamazione, alla guida della federazione, Massimo Coccia, al suo terzo mandato. Oltre al presidente, sono stati eletti i venticinque membri del Consiglio nazionale, i quali affiancheranno nel lavoro i sedici consiglieri nominati di diritto. «Ringrazio per il riconoscimento a tanti anni di impegno nel mondo della pesca e nella federazione, che quest’anno ha compiuto sessanta anni di vita». Questo il saluto del presidente Coccia all’assemblea, composta dai centoventi delegati, provenienti da tutta Italia e designati nel corso delle quindici assemblee regionali dell’associazione. La centralità del socio lavoratore, la necessità di trovare una sintesi tra i diversi interessi dei sistemi di pesca, le preoccupazioni legate ai nuovi regolamenti comunitari, in particolare a quello sui controlli, sono i temi che hanno caratterizzato l’intervento di Coccia dopo la nomina. Nel corso dei lavori assembleari è stata ratificata la modifica dello statuto che consentirà di aprire le porte dell’associazione non solo alle cooperative, ma anche ai singoli soci e alle imprese che operano a vario titolo nella filiera ittica, in linea, sottolinea Coccia, «con i nuovi spazi e i nuovi orizzonti che si vanno delineando per la pesca». Un tema questo che è stato il filo conduttore di tutta l’assemblea. «I tempi sono cambiati e c’è bisogno di maggiore coesione, generosità e compattezza» ha dichiarato Coccia riprendendo l’invito che il presidente della Confcooperative, Luigi Marino, ha rivolto intervenendo all’assemblea. Ai lavori erano presenti, tra gli altri, il vicepresidente della Commissione pesca dell’UE Guido Milana, il vicepresidente della Commissione Affari sociali Carlo Ciccioli, il direttore generale del Ministero Affari Esteri Giuseppe Morabito, i rappresentanti delle organizzazioni di categoria e del sindacato. Riportiamo di seguito una sintesi dell’intervento del presidente Coccia in materia di politica pesca europea e nazionale.

La gestione europea della pesca

«L’Europa è entrata prepotentemente nella gestione della pesca nel Mediterraneo con nuove regole, nuovi sistemi di aiuti, ma anche con politiche sempre più restrittive e penalizzanti. Politiche che hanno inciso in maniera tangibile sull’intero settore, in termini di flotta, di produzione, di occupazione. Una diminuzione costante, a partire dagli anni ’90, di tutti i parametri citati, fino ad arrivare ad oggi, ove l’ultima PCP (Politica Comune della Pesca), iniziata nel 2002, prosegue nell’obiettivo di contrazione della flotta e, quindi, della produzione e dell’occupazione. Abbiamo perciò dovuto fare i conti con questa realtà e la nostra federazione si è impegnata al massimo, per quanto era nelle sue possibilità, per essere il più vicino possibile alle cooperative e fornire nuovi strumenti  e possibilità per far fronte a questi dati strutturali negativi. Sono nate quindi azioni di valorizzazione delle produzioni, nascita di marchi, di organizzazioni dei produttori, progetti con le Regioni, integrazioni e iniziative consortili e progetti transnazionali, che richiedono tempo ma che portano frutto sicuro. Una nuova politica per la pesca, non solo per uscire da una crisi, ma per far crescere un settore strutturalmente debole. Occorre cambiare radicalmente l’approccio per una nuova politica della pesca. Il nuovo “Libro verde” proposto dalla Commissione europea, sul quale già si discute da oltre un anno, parte dalla premessa che i risultati sperati non sono stati raggiunti. Significa che la Politica Comune della Pesca finora promossa ed attuata ha fallito gli obiettivi, obiettivi che in astratto sono certamente condivisibili. Una vera politica deve saper coniugare gli obiettivi con gli strumenti normativi, che si mettono in campo con le misure socioeconomiche, di accompagnamento e di supporto al raggiungimento dello scopo. Sembra invece che a Bruxelles si siano accaniti nel produrre regolamenti farraginosi e complicati, di difficile applicazione, ripetitivi negli adempimenti burocratici, fortemente penalizzanti nelle misure di gestione. Una vera politica deve saper cogliere anche le vere responsabilità del presunto depauperamento delle risorse: con questo non voglio negare che esista il fenomeno deleterio — assolutamente negativo e condannato dai veri pescatori — della pesca illegale. Parlare, però, di pesca illegale senza definirne meglio i confini è troppo generico, allontana dall’obbiettivo, non aiuta a combatterne le implicazioni dannose sull’ambiente. Una politica vera deve guardare a ciò che purtroppo l’uomo, e non il pescatore, compie ai danni dell’ambiente. Scarso, poi, è stato ed è l’intervento volto ad alleviare l’impatto negativo sugli operatori e i lavoratori, dovuto all’applicazione di alcune norme. Sembra che tutto sia stato demandato all’applicazione degli aiuti in regime “de minimis”, peraltro sempre più modesti in tempo di crisi, in favore delle sole imprese. Ed è su questa partita che comunque si giocherà gran parte del futuro delle nostre marinerie. Da una parte, quindi, Bruxelles ci chiede un impegno proattivo per accompagnare la pesca verso la modernità, stimolando l’autogestione e propugnando una sempre maggiore partecipazione delle categorie. Dall’altra, però, ritroviamo intatte le difficoltà di un settore sempre più esposto alla concorrenza dei mercati internazionali, spesso non cristallina se non addirittura sleale; esposto al crescente livello dei costi di produzione e all’inesorabile deperimento dei capitali investiti la cui rinnovabilità non è più sostenuta finanziariamente dall’Europa né trova nel mercato del credito soluzioni facilmente praticabili».

Unità di crisi per la pesca

«Abbiamo chiesto al Ministro On. Galan l’istituzione di un’unità di crisi che serva essenzialmente a capire come sta cambiando la pesca in questi giorni e di cosa abbia bisogno per tornare a competere e, soprattutto, per tornare a produrre pezzi, sia pur piccoli, di PIL. La risposta del Ministro è stata pronta. E, così come abbiamo avuto modo di condividere all’atto del suo recente insediamento, le linee, sia pur generali, con le quali ha dichiarato di voler governare il nostro settore, abbiamo altresì apprezzato la sua intenzione di avere un approccio globale alle esigenze delle imprese e del personale imbarcato, coinvolgendo in questa iniziativa anche gli altri ministeri interessati. Senza dimenticare, aggiungiamo noi, le Regioni stesse, il cui ruolo è sempre più prezioso nell’affrontare situazioni complesse che partono da lontano (spesso Bruxelles) ma che poi planano, con il loro carico di problemi, sui territori. All’Europa spetta a tutti quanti noi, estrattivi in primis (come amano chiamarci gli amici della Commissione), alimentare il dibattito e garantire che la voce dei nostri pescatori giunga al cuore dell’Unione, non solo impiegando le potenzialità delle nostre strutture di rappresentanza continentale (mi riferisco non solo al Cogeca ma anche ad Europêche che ci ha visto entrare, assieme ad altre organizzazioni storiche della cooperazione, come nuovi soci lo scorso anno), ma anche dando piena effettività al RAC Mediterraneo (Regional Advisory Committee) che, peraltro, orgogliosamente ma altrettanto responsabilmente abbiamo voluto ospitare in questo palazzo, il Palazzo della Cooperazione, e vorrei poter dire, anche della Pesca, almeno oggi. E non dimentichiamo poi che alle Regioni stesse è affidata un’importantissima fetta di risorse finanziarie europee (circa il 67% dell’intera dotazione FEP 2007-2013 pari a e 568.619.424,36, a fronte di e 280.066.283,64 che rappresenta il 33% affidato alla gestione nazionale)».

Pesca e politica nazionale

«A livello nazionale con una politica che, oltre ad affrontare la crisi, promuova l’uscita dalla marginalità in cui è relegata la pesca rispetto al contesto economico-imprenditoriale italiano. E quando dico “pesca” dico “sistema” pesca, comprendo cioè tutto l’indotto legato alle produzioni nazionali. Non possiamo che augurarci che l’attenzione del Governo e del Parlamento non venga rapita da altre priorità poiché, sebbene la pesca sia un’attività economica non da prima pagina, svolge un ruolo fondamentale, non solo sul piano dell’approvvigionamento alimentare ma anche su quello della tenuta di alcuni territori e sulla gelosa custodia di alcune nostre grandi tradizioni. Anche noi temiamo gli effetti della manovra economica del Governo poiché colpisce un settore in profonda trasformazione; una trasformazione che è però non solo tecnica, operativa, di pratiche aziendali, di prodotto e di processo, ma, soprattutto, culturale proprio per compiere un salto di modernità».

Motori, demolizioni e riduzione capacità di pesca

«Oltre a fantasiosi tentativi di difficile realizzazione pratica e troppo costosi da parte di alcune Università e Politecnici nazionali ed europei, nulla di concreto sembra essere poi stato fatto per realizzare motori aventi minor impatto ambientale e bassi consumi. Il carburante continua ad essere una voce di costo per le imprese assolutamente spropositata (oltre il 40 %). Con il sistema “alla parte”, poi, chi ne soffre — oltre l’impresa — è anche il lavoratore. La flotta è legata ovviamente allo sforzo di pesca. E questo va gestito. Ma non è certo con le sole demolizioni, che in molti casi sono inevitabili o necessarie, che si risolve il problema. Demolizioni che poi, tra l’altro, non si riescono neanche a fare, se consideriamo che il primo bando emesso con il FEP risale ormai all’estate del 2008 e ad oggi, 26 maggio 2010, non sono state ancora rese note le graduatorie delle oltre 1.500 domande pervenute (pari ad oltre il 10% dell’intera flotta da pesca italiana). Oltre 1.500 per complessivi 17.921 GT disponibili, intendo “ritirabili” o, meglio ancora, “demolibili”. Molte, lo sappiamo già, saranno le domande che resteranno inevase, che non saranno, anzi, che non potranno essere accolte. Si stima, si teme, che solo poco più del 10% delle istanze sarà soddisfatto. Poi, come se non bastassero le difficoltà provocate da un bilancio inadeguato rispetto alle aspettative delle imprese, è stato scelto il criterio di suddividere questi pochi GT “demolibili” per le famose GSA (Geographical Sub Area). Ogni volta che parliamo di queste cose viene in mente il paradosso di un mestiere, di un settore dal quale non puoi uscire ma nel quale sempre più difficilmente riesci a restare (se non addirittura quando vieni del tutto espulso, come nel caso del tonno rosso, o di coloro che hanno pescato latterini per una vita o seppie nel medio alto Adriatico e che non potranno più farlo, anche se non abbiamo ancora capito perché…). Allora, perché non pensare, per le demolizioni, ad una sorta di sportello di crisi sempre aperto a Bruxelles dove spedire le domande di arresto definitivo una volta che un armatore decide di arrendersi? Se dobbiamo ridurre la capacità di pesca, fatecelo almeno fare; perché non immaginare un capitolo di spesa gestito direttamente dalla Commissione che consenta, senza procedure di bando ma alla luce di parametri uguali per tutti i Paesi, ma differenziati in base al tipo di barca, di ridurre la flotta più efficacemente di quanto non sia stato fatto finora? E poi, una volta per tutte, qualcuno è in grado di dirci quale obbiettivo di riduzione dello sforzo di pesca dobbiamo conseguire, senza abusare del principio di precauzione ma cercando di immaginare una Politica Comune della Pesca che non si ricordi, nel momento che viene soppiantata da una nuova, per i propri fallimenti?

Noi crediamo che tutto ciò non solo sia possibile ma, anzi, doveroso verso le imprese ed i lavoratori; e se questo fosse possibile, non esiteremmo a proporre una ricetta per la nuova Politica Comune della Pesca disegnata su paradigmi semplici quanto banali:

  • non si può immaginare una politica della pesca senza risorse finanziarie, almeno fin quando esisterà una politica agricola comune dotata di soldi;
  • non si possono immaginare cose che non interessano, se non marginalmente, il mondo della pesca: dobbiamo concentrare le risorse sulle misure strutturali, non solo agevolando sempre più gli ammodernamenti ma anche, tenetevi forte, riammettendo le nuove costruzioni;
  • barche nuove significano più sicurezza, meno incidenti, migliore qualità della vita a bordo, minori consumi; insomma, per noi, solo cose positive. E non ci vergognamo né a dirlo né a chiederlo; non ci vergogniamo certo del giudizio di chi fin qui ha solo collezionato fallimenti, assai importanti, senza neanche ammettere le proprie responsabilità;
  • sviluppo della piccola pesca che utilizza principalmente attrezzi passivi: anche semplicemente eliminando il motore dal concetto di sforzo di pesca; non possiamo trasformare in removeliche tutte le nostre barche che usano attrezzi da posta;
  • infine, una politica che sappia veramente difendere le nostre produzioni che, se continuiamo così, presto spariranno dalle nostre tavole soppiantate dal pesce ghiaccio del Sol Levante (con buona pace di Manfredonia o di Schiavonea), dalla vongola tunisina (sebbene Scardovari, Goro e tutte le sacche e gli stagni resistano), dal pangasio vietnamita, o dal persico africano.

Quello che preoccupa è un metodo sottile, una sorta di mobbing indotto da regole, adempimenti, controlli, sanzioni per infrazioni che in gran parte assumono carattere penale (e quando non sono reati sono comunque veri e propri salassi pecuniari), ostilità di una parte dell’opinione pubblica nei confronti di un’attività considerata “devastante” per l’ambiente. Il primo gennaio 2010 sono entrati in vigore alcuni regolamenti volti, appunto, a garantire un migliore controllo delle attività di pesca e una lotta più efficace contro la pesca illegale. Si tratta dei Regolamenti 1005/08 e 1010/09 per quanto riguarda la lotta alla pesca illegale e del Regolamento 1224/09 per quanto riguarda i controlli. Secondo l’UE con questi regolamenti gli Stati Membri avranno nuovi ed efficaci strumenti per proteggere le risorse ittiche sia dalle attività illegali svolte da operatori battenti bandiera extra UE, sia da attività svolte dai pescatori comunitari senza rispettare le normative di tutela, della PCP ed anche quelle previste in seno alle organizzazioni regionali quali CGPM e ICCAT. Cominciando dal Regolamento sulla pesca IUU (Illegal, Unreported and Unregulated), esso prevede la certificazione e la rintracciabilità dell’origine di tutti i prodotti della pesca marittima commercializzati nell’UE; in tal modo si ostacolerà, dicono, l’introduzione nell’UE di prodotti provenienti da attività di pesca illegali.

A detta della Commissione questo regime di certificazione delle catture dovrebbe garantire in ogni fase della filiera, dalla rete al piatto, la rintracciabilità del pescato catturato, sbarcato, immesso sul mercato e commercializzato. È in questo regolamento che si trova un primo importante elenco di infrazioni considerate gravi, come ad esempio:

  • pescare senza essere in possesso di una licenza o autorizzazione; non rispettare gli obblighi di registrazione e dichiarazione dei dati relativi alle catture (logbook);
  • pescare in una zona vietata;
  • in un periodo vietato;
  • pescare talune specie senza disporre di quota (es. tonno rosso);
  • utilizzare attrezzi da pesca non autorizzati o non conformi (esempio usare reti con maglie < 40 mm nello strascico);
  • imbarcare, trasbordare o sbarcare pesci di taglia inferiore alla taglia minima in violazione della normativa in vigore, ecc…

Per combattere efficacemente le violazioni, il Regolamento prevede inoltre un sistema armonizzato di sanzioni proporzionate e dissuasive ed estende la responsabilità dei cittadini dell’UE, che possono essere perseguiti nel Paese di appartenenza per le violazioni commesse in qualsiasi parte del mondo. Il Regolamento 1224/09, meglio noto come il Regolamento Controllo, rafforza il sistema di rintracciabilità introdotto da quello IUU, avvalendosi delle moderne tecnologie per seguire i prodotti della pesca in ogni fase della catena di commercializzazione. Il regolamento nasce con l’obiettivo di raggiungere uno sfruttamento sostenibile delle risorse ittiche mediante una ferrea applicazione delle norme previste dalla Politica Comune. Per far ciò viene intensificata la cooperazione e il coordinamento fra gli Stati Membri, la Commissione e l’Agenzia comunitaria di Controllo della pesca. Questa vera e propria macchina da guerra interviene in ogni livello ed in ogni fase, dal momento della pesca a quello della commercializzazione. Se la Commissione rileva che uno Stato Membro non ottempera a quanto previsto dalla Politica Comune della Pesca e dal Regolamento controllo, oltre a sospensioni e chiusure immediate dell’attività di pesca, può sospendere e quindi sopprimere totalmente gli aiuti finanziari ad esempio del FEP (Fondo Europeo della Pesca).

Per l’accesso alle acque e alle risorse è assolutamente necessario:

  • possesso di licenza o autorizzazione di pesca;
  • sistema di controllo satellitare dei pescherecci (blue box o AIS – Sistema di identificazione automatica); in particolare è previsto l’obbligo delle blue box anche per motopescherecci tra 12 e 15 metri di lunghezza fuori tutto (LFT) salvo deroga: gli Stati Membri possono chiedere la deroga per le barche di lunghezza inferiore a 15 metri se operano nelle sole acque territoriali o rientrano in porto entro 24 ore dalla partenza. È previsto un ulteriore sistema di controllo satellitare attraverso l’AIS (Sistema di Identificazione Automatica) che entrerà in vigore con la seguente tempistica: il segmento tra 15 e 18 metri di lunghezza fuori tutto dal 31 maggio 2014; il segmento tra 18 e 24 metri di lunghezza fuori tutto dal 31 maggio 2013; infine le barche di lunghezza superiore a 24 metri (sempre fuori tutto) dal 31 maggio 2012;
  • logbook elettronico: i comandanti dei pescherecci comunitari di lunghezza fuori tutto superiore a 10 metri sono obbligati a tenere un giornale di pesca (e non da ora) e a presentare dichiarazioni di sbarco e di trasbordo. Per i pescherecci di lunghezza fuori tutto superiore a 12 metri, il giornale di pesca sarà in formato elettronico e le dichiarazioni di sbarco e di trasbordo saranno presentate elettronicamente. L’avvio è previsto con date diverse a seconda della lunghezza delle barche: superiore a 24 metri dal 1 gennaio 2010; tra 15 e 24 metri dal 1 luglio 2011; sotto i 15 metri dal 1 gennaio 2012. Gli Stati Membri possono anche in questo caso chiedere la deroga per le barche più piccole (inferiori a 15 metri) qualora operino solo nelle acque territoriali o rientrino in porto entro 24 ore dalla partenza.

Altre misure riguarderanno poi la certificazione della potenza del motore per la propulsione dei pescherecci la cui potenza motrice è superiore a 120 KW e la famosa licenza a punti. Come sapete, sarà istituito un sistema di punti per infrazioni “gravi” (taglie minime, specie protette, attrezzi non conformi, ecc…) che consenta di sospendere la licenza di pesca, esattamente come con la patente di guida. La licenza a punti si applicherà sei mesi dopo l’entrata in vigore delle modalità di applicazione del regolamento sui controlli; modalità alle quali sta lavorando la Commissione, anche in questo caso senza che vi sia stato finora un confronto con il mondo della pesca. Dicevamo prima che non volevamo spaventarvi; noi non lo abbiamo fatto e, dato che tutti parlavano di Lisbona, abbiamo deciso di controllare meglio il trattato. E, dopo averlo fatto, ci siamo resi conto che negli oltre 200 articoli che lo compongono (dicono si tratti di un trattato leggero) non si parla solo di codecisione ma anche di ricorsi alla Corte di giustizia. E così abbiamo deciso che era il caso di provarci. Di provare ad impugnare quel mastodonte giuridico pericoloso e tanto temuto; abbiamo deciso che non volevamo accettare supinamente la licenza a punti, il doppio sistema blue box e AIS, il logbook elettronico anche per le barche più piccole, l’obbligo di comunicare il rientro in porto 4 ore prima, talvolta magari quando devi ancora partire (!), le ispezioni a bordo come se le barche trasportassero clandestini o, peggio ancora, droga, la sospensione dei finanziamenti a danno di tutti per colpa di qualcuno. E adesso aspetteremo pazientemente che, come si usa dire, la giustizia faccia il suo corso, così come stiamo aspettando che faccia il suo corso anche sul tonno dopo che, nell’estate del 2008, la Commissione decise di chiudere inopinatamente, secondo noi, la stagione di pesca decretando nei fatti la guerra al comparto. Eppure spazi di lavoro e crescita esistono ancora, e in alcune aree il timido ritorno di giovani è incoraggiante».



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