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Legislazione

L'attuazione in Italia della Direttiva 2006/88/CE: chiarimenti e criticità 

di Peli A.

Introduzione - Dopo l’entrata in vigore della nuova disciplina in materia di polizia sanitaria, prevenzione e misure di lotta contro le malattie degli animali acquatici (Direttiva 2006/88/CE), prontamente recepita in Italia (Decreto Legislativo n. 148 del 4 agosto 2008), il Legislatore comunitario ha provveduto ad emanare diverse norme attuative, al fine di facilitare ed indirizzare il lavoro delle Autorità competenti degli Stati Membri nella fase applicativa. Tuttavia, ad oltre un anno di distanza, il processo di applicazione di questa normativa continua a mostrare alcuni aspetti critici. Tali aspetti sono legati in parte all’interpretazione (e, in qualche caso, anche alla traduzione!) del testo normativo originale, in parte ai tempi relativamente ristretti per l’adempimento degli obblighi da esso previsti. Le Autorità Sanitarie italiane (Ministero, Regioni, ASL) hanno dovuto confrontarsi da subito con queste criticità, cercando di adottare modalità di applicazione che fossero coerenti con la normativa e al tempo stesso praticabili uniformemente nella realtà dell’acquacoltura nazionale. Questo contributo si propone di analizzare gli aspetti giuridico-applicativi della norma in questione, focalizzando l’attenzione sulle misure attuative e di recepimento nell’ordinamento nazionale, sui principali elementi di criticità emersi in questa fase e sulle soluzioni adottate dall’Autorità competente. Inoltre viene fatto cenno alla nuova impostazione dei controlli sanitari sui prodotti d’allevamento in fase di raccolta o di prima vendita, in particolare focalizzando l’attenzione sull’abrogazione della visita in deroga.

Norme di recepimento e attuative - La Direttiva 2006/88/CE ha abrogato, con effetto dal 1º agosto 2008, la legislazione comunitaria preesistente in materia di acquacoltura, cioè le Direttive 91/67/CEE, 93/53/CEE e 95/70/CE, rispettivamente recepite nel nostro ordinamento con il DPR n. 555/92 e successive modifiche, con il DPR n. 263/97 e successive modifiche e con il DPR n. 395/98 e successive modifiche. Con l’emanazione del DLgs 148/2008, contestualmente al recepimento della Direttiva 2006/88, il legislatore ha anche provveduto a “fare piazza pulita” degli atti interni che costituivano in Italia il vecchio quadro normativo in questo settore. Tuttavia è da notare che la precedente disciplina comunitaria era completata da un elevato numero di norme attuative (Regolamenti e Decisioni) emanate della Commissione europea e, come tali, direttamente applicabili dagli Stati Membri. Ad oggi, di tutti questi atti di esecuzione, solamente la Decisione 2004/453, recante modalità di applicazione della Direttiva 91/67/CEE, è rimasta in vigore, mentre numerosi nuovi atti hanno sostituito i precedenti, ricomponendo ex novo l’intero impianto normativo del settore:

  • Decisione 2009/177 della Commissione che attua la Direttiva 2006/88/CE per quanto riguarda i programmi di sorveglianza e di eradicazione e lo status di indenne da malattia di Stati Membri, zone e compartimenti;
  • Decisione 2008/946/CE, recante modalità di applicazione della Direttiva 2006/88/CE per quanto riguarda le prescrizioni in materia di quarantena degli animali d’acquacoltura;
  • Decisione 2008/896 della Commissione, relativa a orientamenti per i programmi di sorveglianza zoosanitaria basati sulla valutazione dei rischi di cui alla Direttiva 2006/88/CE;
  • Decisione 2008/392 della Commissione recante modalità di applicazione della Direttiva 2006/ 88/CE per quanto riguarda una pagina informativa su internet per la messa a disposizione per via elettronica delle informazioni relative alle imprese di acquacoltura e agli stabilimenti di trasformazione riconosciuti;
  • Regolamento 1251/2008 della Commissione, recante modalità di esecuzione della Direttiva 2006/88/CE per quanto riguarda le condizioni e le certificazioni necessarie per l’immissione sul mercato e l’importazione nella Comunità di animali d’acquacoltura e i relativi prodotti e che stabilisce un elenco di specie vettrici;
  • Regolamento 1252/2008/CE, che deroga al Regolamento 1251/2008 e sospende le importazioni dalla Malaysia nella Comunità delle partite di alcuni animali d’acquacoltura.

È evidente che tutti questi nuovi provvedimenti esecutivi determinano un profondo riassetto dell’intera materia che sta trovando, con qualche incertezza, una progressiva applicazione alla variegata realtà produttiva nazionale.

Aspetti applicativi salienti

Misure di controllo delle malattie infettive - La modalità della denuncia, nonché le misure di lotta in caso di sospetto e conferma della presenza di malattie rimangono invariate rispetto allo schema classico di intervento. Va tuttavia tenuto a mente l’importante elemento innovativo, introdotto con la nuova normativa, della possibilità, qualora venga confermata la presenza di una malattia non esotica in uno Stato Membro, zona o compartimento non indenne, di scegliere il tipo di provvedimenti da applicare in relazione alla finalità che le Autorità sanitarie si propongono di realizzare: ottenimento della qualifica di indennità, eradicazione o contenimento della malattia. Per quanto riguarda le malattie oggetto di misure di polizia sanitaria, è doveroso ricordare che la SVC (viremia primaverile della carpa), inizialmente inclusa nell’elenco di malattie riportate nell’allegato IV della Direttiva 2006/88, è stata successivamente cancellata (Direttiva 2008/53) a seguito delle forti pressioni esercitate dai produttori europei. L’iniziale inclusione della SVC tra le malattie non esotiche aveva infatti suscitato le preoccupazioni di diversi Paesi Membri produttori di carpe, dal momento che i costi di eradicazione di questa malattia, endemica nell’UE ormai da 25 anni senza aver provocato, in tale intervallo di tempo, perdite rilevanti per l’industria, sarebbero stati sproporzionati se comparati con quelli derivanti dalle perdite economiche provocate dalla malattia stessa.

Riconoscimento dello status di indennità da malattia - Il DLgs 148/2008 si pone come obiettivo immediato il censimento delle aziende, con l’assegnazione a ciascuna di un numero di autorizzazione e di una categoria sanitaria, al fine di arrivare ad attribuire, a medio termine, lo status di indenne da una data malattia alla più ampia parte possibile di territorio nazionale. È da notare come, ad oggi, nel nostro Paese un buon numero di aziende e di zone sia già stato riconosciuto indenne da importanti malattie dalla Commissione europea: vi sono infatti più di 150 aziende di troticoltura riconosciute indenni da SEV e NEI, ubicate principalmente in Piemonte, Lombardia, Trentino-Alto Adige, Veneto e Friuli-Venezia Giulia, e circa una trentina con un programma di riconoscimento in atto. Chiaramente, le condizioni poste dalla norma per il riconoscimento di questa qualifica sanitaria sono diverse a seconda che si tratti di un’azienda ovvero di una zona o di un compartimento. Un’azienda che inizia ex novo l’attività introducendo animali da aziende o zone indenni può chiedere la qualifica di “indenne da malattia” se il suo stato sanitario non è influenzato da quello dell’ambiente circostante, se l’acqua deriva da un pozzo o da una sorgente presente in azienda o vi perviene da una fonte esterna tramite canalizzazione, oppure, in alternativa, viene trattata per l’inattivazione dei patogeni eventualmente presenti. Un’azienda che riprende l’attività dopo averla cessata, oltre al rispetto delle condizioni viste sopra per le nuove aziende, deve rendere noto il suo stato sanitario negli ultimi 4 anni di attività, non devono essere stati adottati provvedimenti sanitari nei suoi confronti e deve essere sottoposta a disinfezione. Il riconoscimento dello status di “indenne da malattia” può essere rilasciato a una zona o compartimento anche su base storica, qualora non vi sia stato riscontrato alcun episodio di malattia negli ultimi 10 anni pur sussistendo le condizioni favorevoli alla manifestazione della stessa, siano state rispettate determinate condizioni base di biosicurezza, l’infezione non sia presente tra i selvatici e siano state attivate efficaci misure di prevenzione. In alternativa viene concesso tale riconoscimento dal Ministero, su richiesta della Regione o Provincia Autonoma, qualora non siano presenti specie sensibili o l’agente eziologico non sia in grado di resistere alle condizioni ambientali o se sia stato eseguito con successo per almeno 2 anni un piano di sorveglianza.

Certificazioni sanitarie - L’emanazione del Regolamento 1251/ 2008 della Commissione ha meglio chiarito le condizioni che rendono necessaria la certificazione sanitaria nelle movimentazioni degli animali acquatici (siano essi di acquacoltura od ornamentali), nonché i modelli di certificati armonizzati da adottare nelle varie fattispecie, finalmente raccolti in un unico atto. Le certificazioni sanitarie, negli scambi come nelle importazioni, sono necessarie nei casi in cui gli animali di acquacoltura vengano immessi sul mercato a fini di allevamento, ripopolamento o trasformazione prima del consumo umano in Stati Membri o zone indenni da malattia oppure oggetto di un programma di sorveglianza o di eradicazione; anche nel caso di movimentazione di animali che lasciano Stati Membri o zone oggetto di misure di lotta contro le malattie è richiesta idonea certificazione sanitaria. Gli animali d’acquacoltura od ornamentali possono inoltre essere importati solo se provenienti da Paesi, zone o compartimenti compresi in un apposito elenco (riportato in Allegato II del Regolamento 1251/2008). Sono invece esenti dall’obbligo di certificazione sanitaria le immissioni sul mercato di partite di pesci destinate a zone o compartimenti di stato sanitario indeterminato o infetti, quelle di pesci abbattuti ed eviscerati prima della spedizione, nonché i molluschi e i crostacei non vitali destinati al consumo umano, imballati ed etichettati in conformità al Regolamento 853/2004 e non destinati allo stoccaggio nel luogo di trasformazione. È da precisare che anche l’immissione sul mercato di pesci ornamentali provenienti da impianti ornamentali di uno Stato Membro e destinati ad impianti chiusi, senza un contatto diretto con le acque naturali, non richiede il rilascio di certificazione sanitaria, in virtù del minore rischio che questo tipo di movimentazioni comporta. Al contrario, le movimentazioni di pesci ornamentali provenienti da Paesi terzi, anche se destinati ad impianti chiusi, sottostanno a condizioni più restrittive, a causa del rischio di introdurre nella Comunità malattie esotiche; è infatti necessaria la certificazione sanitaria (peraltro resa già obbligatoria dalla Decisione 2006/656/CE) e le partite di specie sensibili alle malattie dell’Allegato IV della Direttiva 2006/88 devono provenire da Paesi terzi compresi in un elenco, mentre quelle di specie non sensibili è comunque necessario che provengano da un Paese Membro dell’OIE. Un notevole passo avanti, ai fini della chiarezza e della praticità di consultazione ed utilizzo, è stato compiuto con l’inclusione in un unico atto dei differenti modelli di certificato sanitario da adottare di volta in volta a seconda del tipo di movimentazione e della tipologia di animali movimentati. Il modello di certificato sanitario da utilizzare era, precedentemente, quello presente nell’Allegato III e IV della Decisione 2004/453/CE per quanto concerne gli scambi, mentre per le importazioni di pesci d’acquacoltura il modello cui uniformarsi era quello contenuto nella Decisione 2003/858/CE come modificata da ultimo dalla Decisione 2007/158/CE e per le importazioni di molluschi d’allevamento dalla Decisione 2003/804/CE del 14-11-2003 modificata da ultimo dalla Decisione 2007/158/CE del 07-03-2007. Per le importazioni di pesci ornamentali, le condizioni di polizia sanitaria e il modello di certificato erano contenuti nella Decisione 2006/656/CE. A seguito dell’emanazione del Regolamento 1251/2008 della Commissione, la Decisione 2003/858, la Decisione 2003/804 e la Decisione 2006/656 sono state abrogate e sono stati fissati nuovi modelli di certificati necessari per l’immissione sul mercato (Allegato II) e l’importazione nella Comunità (Allegato IV) degli animali d’acquacoltura, dei loro prodotti e dei pesci ornamentali. Analogamente, per gli spostamenti di pesci e molluschi non sensibili alla SEV e NEI e a Bonamia e Marteilia in zone e aziende riconosciute, le prescrizioni di cui alla Decisione 2003/390/CE del 23-05-2003 (Modello armonizzato di certificato Regolamento 599/2004) sono state sostituite dal 1º gennaio 2009 con quelle contenute nel Regolamento 1251/2008 che ha abrogato anche la norma sopraccitata.

Elementi di criticità - L’applicazione nel nostro Paese della Direttiva 2006/88/CE ha presentato inizialmente diversi aspetti di criticità, alcuni superati con l’emanazione degli atti attuativi della Commissione, altri ancora da risolvere completamente. Tali aspetti sono legati in parte ad alcune difficoltà interpretative della Direttiva nel corso del suo processo di recepimento nel diritto interno, in parte alla necessità di attuare in tempi brevi i numerosi obblighi previsti. Tra questi ultimi sono in questa sede analizzati la procedura di “registrazione/autorizzazione” delle imprese di acquacoltura con un particolare approfondimento sui requisiti previsti per i laghetti di pesca sportiva, la classificazione sulla base del rischio delle aziende di acquacoltura e, infine, le prescrizioni in materia di quarantena degli animali di acquacoltura.

Registrazione, riconoscimento, autorizzazione delle aziende - Per poter svolgere l’attività di allevamento, le aziende di acquacoltura devono essere registrate dai Servizi Veterinari delle ASL competenti. I Servizi Veterinari censiscono e registrano le imprese del proprio territorio nella banca dati nazionale delle anagrafi zootecniche; il Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali rende disponibile al pubblico l’elenco delle imprese e degli stabilimenti di lavorazione autorizzati. Per quanto attiene alla registrazione delle aziende, mentre in un primo tempo il termine inglese “authorisation” riportato nel testo originale della Direttiva 2006/88 era stato tradotto nella versione italiana con quello di “riconoscimento” (procedura peraltro non prevista dai regolamenti del “Pacchetto Igiene” per le aziende operanti nell’ambito della produzione primaria le quali necessitano, com’è noto, solo di una “registrazione”), in fase di recepimento, nel testo del DLgs il legislatore ha mutato la prima traduzione adottando il termine di “autorizzazione”. È evidente come tale differenza non sia una semplice questione di forma. Le differenze tra le tre procedure appena citate sono illustrate di seguito. La procedura di registrazione (“registration”) è obbligatoria per l’operatore del settore alimentare per ogni stabilimento sotto il suo controllo e non necessita dell’obbligo di un’ispezione preventiva da parte dell’ASL; essa si effettua presentando al Comune la Denuncia di Inizio Attività (DIA) accompagnata da una relazione tecnica e da una planimetria dei locali. L’ASL, ricevuta la documentazione dal Comune, effettua le registrazioni e ne cura l’aggiornamento all’interno di un’anagrafe pubblica. Va presentata una DIA “semplice” per tutte le attività che non erano soggette ad autorizzazione sanitaria ai sensi della precedente normativa nazionale (L 283/1962), come nel caso delle imprese d’acquacoltura: in tal caso l’OSA (Operatore del Settore Alimentare) può iniziare subito l’attività. Per altri tipi di attività è invece prevista una DIA “differita”. È da notare che la registrazione non è soggetta a rinnovo. La procedura di riconoscimento (“approval”) è più complessa. L’operatore deve presentare una domanda corredata di documentazione igienico-sanitaria al SUAP (Sportello Unico delle Attività Produttive) del Comune dove ha sede lo stabilimento. Dopo avere verificato la regolarità della documentazione, il SUAP trasmette la domanda al Servizio Veterinario della ASL, il quale esegue una visita in loco. Qualora sussistano i requisiti strutturali necessari, viene concesso un “riconoscimento condizionato”. A distanza di non più di 3 mesi dal primo sopralluogo, il Servizio Veterinario effettua una seconda visita per verificare lo sviluppo dei requisiti gestionali; qualora sussistano tutti i requisiti necessari, il riconoscimento diviene definitivo; se, invece, non sussistono tutti i requisiti necessari per la concessione del riconoscimento definitivo ma l’azienda dimostra di avere compiuto evidenti progressi, il riconoscimento condizionato può venire prorogato per altri 3 mesi: se allo scadere dei 3 mesi di proroga non sussistono ancora tutti i requisiti tecnico-strutturali e documentali necessari, il riconoscimento viene negato. In occasione dei successivi controlli ufficiali l’Autorità Competente verifica che i requisiti richiesti continuino ad essere rispettati; in caso di irregolarità, a seconda della gravità dell’infrazione, l’Autorità potrà sospendere o revocare il riconoscimento allo stabilimento. Per quanto riguarda la procedura di autorizzazione, giova rammentare che i Regolamenti comunitari sono norme a valenza primaria, direttamente applicabili e preminenti in caso di contrasto con il diritto interno previgente, anche se questo non viene formalmente abrogato, come espressamente richiamato anche in una nota del Ministero della Salute del 24 maggio 2006. In altri termini, in caso di contrasto fra le disposizioni di un Regolamento comunitario e quelle poste in una legge (o atto equivalente) nazionale, quest’ultima non va applicata ancorché non abrogata, ritenendosi la materia disciplinata dall’atto comunitario. Di fatto, l’applicazione della procedura di “registrazione” (art. 6 Regolamento 852/2004/CE) comporta l’inapplicabilità della procedura autorizzativa prevista dall’art. 2 della Legge 283/62 e dal DPR 327/80. Nel caso della registrazione, a seguito della presentazione della DIA, non è prevista l’emissione di un provvedimento autorizzativo da parte dell’Autorità competente, bensì soltanto la ricevuta di presentazione e l’attivazione delle procedure interne al fine della registrazione delle informazioni ricevute. Al contrario, la traduzione, adottata in fase di recepimento della Direttiva 2006/88/CE, dell’espressione “authorisation” con il termine “autorizzazione”, ha rischiato di generare confusione nel tipo di procedura da adottare. Essendo le imprese di acquacoltura pienamente inquadrabili nella produzione primaria-allevamento, in analogia con le strutture che allevano gli altri tipi di animali da reddito, dovrebbero essere soggette a registrazione, o, tuttalpiù, a riconoscimento, in virtù dell’importanza strutturale e gestionale che esse assumono ai fini delle garanzie di salubrità delle produzioni. La procedura di autorizzazione, invece, come già esposto sopra, ancorché prevista dall’art. 2 della Legge 283/62 e dal DPR 327/80, non risulta più applicabile a tale fattispecie di stabilimenti. In fase applicativa l’Autorità sanitaria, in coerenza con i principi espressi nel Pacchetto Igiene e ormai consolidati nella pratica, ha ritenuto opportuno interpretare il termine “autorizzazione” contenuto nel DLgs 148/08 come una “registrazione” a tutti gli effetti. La procedura di riconoscimento invece viene applicata solamente alle aziende di acquacoltura con annesso uno stabilimento di lavorazione del pesce, o strutture dove si possano abbattere animali nel quadro di un piano di eradicazione. In conclusione, tutte le aziende di acquacoltura, per poter svolgere l’attività di allevamento, dovranno dunque essere registrate dal Servizio Veterinario della ASL; la registrazione, in coerenza con quanto disposto nella Direttiva 2006/88/CE, andrà a buon fine qualora venga tenuto ed aggiornato un registro aziendale (nel quale siano annotati tutti gli spostamenti degli animali in entrata e in uscita, i dati di mortalità delle varie unità epidemiologiche, i risultati del programma di vigilanza sanitaria), vengano messe in atto buone pratiche di allevamento, venga concesso libero accesso a visite e ispezioni sanitarie, venga attivato e mantenuto un programma di sorveglianza sanitaria.

I laghetti di pesca sportiva - L’introduzione di requisiti specifici per l’immissione di animali d’acquacoltura a scopo di ripopolamento nei laghetti di pesca sportiva, operata con la Direttiva 2006/88, rappresenta un indubbio elemento di novità rispetto alla precedente normativa, la quale non contemplava tale fattispecie. I requisiti sanitari per l’immissione di pesci nei laghetti vengono equiparati a quelli richiesti per l’immissione in acque pubbliche a scopo di allevamento e ripopolamento, confermando in tal modo la rilevanza epidemiologica di tali corpi d’acqua. Ogni partita di pesce immessa nei laghetti dovrà essere scortata da idonea certificazione veterinaria che ne attesti lo status sanitario, che deve essere almeno equivalente a quello attribuito ai bacini idrici circostanti. La natura peculiare di queste strutture ha generato alcune perplessità riguardanti i requisiti autorizzativi da concedere, scaturite in primis dalla definizione data nella normativa ai suddetti laghetti. Nella definizione di “azienda” inclusa nella Direttiva 2006/88/CE non viene fatto alcun riferimento ai laghetti di pesca sportiva, mentre nel DLgs 148/2008 in tale voce sono compresi esplicitamente “i laghetti di pesca sportiva direttamente connessi ai bacini idrici naturali”. Questa definizione sembra in contrasto con quella fornita successivamente dal medesimo testo normativo, che definisce i laghetti di pesca sportiva come “stagni o altri impianti, in cui la popolazione è mantenuta a puri scopi di pesca ricreativa mediante immissione di animali di acquacoltura, sempre che per le caratteristiche dell’impianto sia escluso il rischio di propagazione delle malattie ad altre popolazioni di animali selvatici in conseguenza delle loro attività”. Da questa ultima definizione emerge chiaramente che i laghetti, per essere definiti tali, devono necessariamente essere strutture chiuse, senza alcun contatto con i bacini idrici circostanti; in caso contrario essi vanno considerati a tutti gli effetti come un’azienda di acquacoltura e pertanto sottoposti ai medesimi requisiti autorizzativi. Nella fase di recepimento, al fine di non generare equivoci, dalla definizione dei laghetti riportata nella versione definitiva del DLgs 148/08 è stata rimossa la dizione impianti “chiusi”, peraltro non prevista dalla definizione della Direttiva 2006/88/CE. Nella realtà italiana sono ben pochi infatti i laghetti che siano privi di emissari collegati al bacino idrografico territoriale e anche quando ne sono privi, come nel caso di certi laghetti realizzati all’interno di cave dismesse, essi sono in genere situati nelle vicinanze di corsi d’acqua, per cui soggetti a inondazioni ed esondazioni. Ad escludere il rischio di propagazione delle malattie ad altre popolazioni di animali acquatici del quale si parla nella definizione, i laghetti di pesca sportiva devono quindi essere muniti, a livello di immissari ed emissari, di grate con maglie dalle dimensioni tali da impedire l’accesso di selvatici e di dispositivi di trattamento delle acque che escludano il rischio di propagazione di malattie.

Determinazione del livello di rischio delle aziende - Fra le novità più rilevanti introdotte dalla Direttiva 2006/88/CE va certamente individuato il fatto che le ispezioni degli organi di controllo ufficiali nelle aziende devono essere svolte con una frequenza in funzione del livello di rischio ad esse attribuibile nel contrarre e nel diffondere una malattia. Per mettere in atto un simile — e ambizioso — approccio, che uniforma il settore dell’acquacoltura a quello della trasformazione dei prodotti alimentari, si rendeva evidentemente necessario adottare un metodo nel contempo semplice ed efficace per identificare il livello di rischio di ogni azienda. La Decisione 2008/896/CE ha senza dubbio contribuito alla realizzazione di questo obiettivo che, da subito, si era posto come uno scoglio notevole per l’attuazione della Direttiva 2006/88. Infatti il rischio aziendale di contrarre o diffondere una malattia dipende da numerosi e diversi parametri e può risultare particolarmente laborioso individuarne un valore per ogni azienda. Vi è, ad esempio, la possibilità di diffusione della malattia attraverso l’acqua e le movimentazioni di animali di acquacoltura; il livello di rischio può variare in funzione del tipo di produzione, delle specie detenute, delle misure di biosicurezza messe in atto (comprese le competenze e la formazione del personale), della densità delle aziende e degli stabilimenti di trasformazione nella zona attorno all’azienda interessata, della prossimità di altre aziende che presentano uno stato sanitario inferiore, dello stato sanitario attuale e pregresso dell’azienda e delle altre aziende situate nella zona, della presenza di agenti patogeni in animali acquatici selvatici nella zona intorno all’azienda, delle attività umane in prossimità dell’azienda, dei predatori o gli uccelli che riescono ad avere accesso all’azienda, per citare alcuni fattori. È evidente che l’adozione di un sistema complesso per la valutazione dei livelli di rischio delle aziende che tenga conto di tutti questi fattori potrebbe fornire una classificazione esatta delle aziende a seconda del loro livello di rischio, ma richiederebbe molto tempo e potrebbe non essere efficiente in termini di costi. Inoltre, la ponderazione di vari fattori per valutare il rischio globale rappresenta un’operazione complessa e di non facile realizzazione. Date le difficoltà derivanti dall’uso di un sistema complesso, la Commissione ha suggerito un metodo più semplice per la classificazione delle aziende in base al loro livello di rischio, dando rilevanza a due soli parametri: la possibilità di diffusione diretta di una malattia attraverso l’acqua e attraverso le movimentazioni di animali di acquacoltura. Questi due fattori di rischio sono importanti indipendentemente dal tipo di produzione, dalle specie di animali di acquacoltura detenute nell’azienda e dalle malattie interessate. Il modello proposto per determinare il livello di rischio (elevato/medio/basso) comprende tre fasi. Nella prima viene stimata la probabilità di contrazione della malattia nell’azienda, nella seconda si effettua una stima della probabilità di diffusione della malattia da questa, mentre la terza prevede la combinazione delle stime dei livelli di rischio risultanti dalle fasi precedenti. Tale modello potrà consentire agli Stati Membri di classificare le aziende secondo il rispettivo grado di rischio e, di conseguenza, adeguare i tempi e le risorse utilizzate in sede di controlli ufficiali.Il rischio di contrazione o di diffusione di una malattia in un’azienda attraverso l’acqua e a causa della prossimità geografica di altre aziende, varia notevolmente: il rischio è diverso, ad esempio, nel caso di un sistema di ricircolo alimentato con acqua di pozzo e disinfezione dell’acqua di scarico (rischio molto basso), e nel caso di un’azienda con gabbie in mare e un gran numero di aziende nelle vicinanze (rischio molto alto). Esempi di basso rischio di contrazione della malattia attraverso l’acqua e a causa della prossimità geografica di altri allevamenti possono essere le aziende che si approvvigionano di acqua da pozzi o sorgenti, quelle che utilizzano acqua disinfettata o trattata, quelle che si approvvigionano di acqua da altre fonti non collegate ad aziende o stabilimenti di trasformazione che detengono o trasformano specie suscettibili di contrarre le stesse malattie delle specie detenute nell’azienda, o, ancora, le aziende che non detengono animali acquatici selvatici di specie sensibili. Anche i bacini idrici interni, compresi stagni e laghi isolati da altre fonti d’acqua possono essere considerati a basso rischio: per determinare se il bacino idrico debba essere considerato isolato, bisogna considerare le variazioni stagionali come la possibilità di contatto con acque di altra origine in caso di inondazioni. Esempi di basso rischio di diffusione della malattia attraverso l’acqua e a causa della prossimità geografica di altri allevamenti possono essere le aziende e zone destinate a molluschicoltura che non scaricano le proprie acque reflue in corsi d’acqua naturali (es. aziende situate nell’entroterra che scaricano le proprie acque reflue nel suolo o nei campi), le aziende che disinfettano o trattano le acque reflue, quelle che scaricano le proprie acque nella rete fognaria pubblica, purché questa disponga di un sistema di trattamento delle acque (se le acque di fognatura sono scaricate in vie d’acqua naturali senza aver subito alcun trattamento, il rischio che tali aziende e zone destinate a molluschicoltura comportano non va considerato basso!), le aziende che non scaricano le proprie acque reflue in acque contenenti animali d’acquacoltura o selvatici di specie suscettibili di contrarre le malattie interessate, i bacini idrici interni isolati da altre fonti idriche, le aziende situate sul litorale a distanza di sicurezza da altre aziende che detengono specie suscettibili di contrarre le stesse malattie delle specie detenute nell’azienda. Spetta ovviamente all’Autorità competente il compito di determinare e quantificare la distanza di sicurezza, tenendo conto di fattori quali la capacità degli agenti patogeni di sopravvivere in acque aperte, le correnti e l’ampiezza delle maree. Come già precisato sopra, le movimentazioni di animali d’acquacoltura vivi costituiscono un altro fattore di rischio estremamente importante per la trasmissione delle malattie. Nel valutare questo elemento, va considerato il luogo di origine degli animali, il numero di fornitori, l’entità e la frequenza delle movimentazioni. Il modello descritto sopra per la determinazione del livello di rischio delle aziende prende in considerazione, come si diceva, anche un secondo fattore: la movimentazione di animali. Ai fini di questo modello è sufficiente considerare se l’azienda è rifornita di animali d’acquacoltura vivi (incluse le uova) o ne fornisce e il luogo di origine di tali animali. Esempi di bassa probabilità di contrazione di malattie attraverso la fornitura di animali d’acquacoltura ad aziende e zone destinate a molluschicoltura possono essere le aziende autosufficienti in uova o novellame (es. aziende che dispongono di uno stock di pesci riproduttori) e quelle che si riforniscono di animali unicamente da zone o compartimenti indenni da malattia. Va a tal proposito precisato che per le aziende il cui stato sanitario rientra nelle categorie III (indeterminato) e V (infetto), la legislazione comunitaria vigente non prescrive che gli animali d’acquacoltura di cui esse si forniscono debbano provenire da zone o compartimenti indenni da malattia: il fatto che un’azienda scelga volontariamente di rifornirsi di animali provenienti da zone o compartimenti indenni è un fattore di distinzione e di qualificazione che comporta un livello di rischio più basso delle altre aziende della stessa categoria. Le aziende di stato sanitario di categoria I possono invece rifornirsi unicamente di animali il cui luogo di origine è indenne da malattia. Altri esempi di bassa probabilità di contrazione di malattie attraverso la fornitura di animali di acquacoltura possono essere rappresentati dai casi in cui vengono forniti animali acquatici selvatici che hanno subito una quarantena e sono destinati all’allevamento e quelli in cui sono fornite uova disinfettate; questo vale solo se prove scientifiche o l’esperienza pratica hanno dimostrato che la disinfezione riduce effettivamente il rischio di trasmissione della malattia a un livello accettabile riguardo alle malattie elencate cui le specie presenti nell’azienda sono sensibili. Esempi di bassa probabilità di diffusione della malattia attraverso la fornitura di animali d’acquacoltura ad aziende o zone destinate a molluschicoltura possono essere rappresentati dalle aziende che non forniscono animali a scopi di allevamento, stabulazione o ripopolamento e dalle aziende che forniscono unicamente uova disinfettate.

Prescrizioni in materia di quarantena - Tra le norme generali della Direttiva 2006/88 vi è l’obbligo, per l’immissione in commercio di tutti gli animali di acquacoltura destinati all’allevamento e al ripopolamento, se introdotti in uno Stato Membro, zona o compartimento indenne da malattia o che abbia in atto un programma di eradicazione, di provenire da un altro Stato Membro, zona o compartimento di pari qualifica sanitaria. Tale obbligo non riguarda solamente le specie sensibili, ma si estende anche alle specie vettrici di una data malattia. In alternativa, gli animali appartenenti a specie vettrici possono essere tenuti in impianti di quarantena in acque immuni dall’agente patogeno in questione, sotto il controllo dell’Autorità competente per un periodo di tempo adeguato. Anche i pesci appartenenti a specie selvatiche, destinati all’allevamento o a impianti ornamentali aperti, e i pesci ornamentali di specie sensibili destinati a impianti chiusi possono essere importati da zone o compartimenti non dichiarati ufficialmente indenni a patto che siano sottoposti a un adeguato periodo di quarantena. A seguito di questi obblighi, ai fini dell’attuazione della Direttiva negli Stati Membri, si è resa evidente la necessità di stabilire quali fossero con esattezza le specie vettrici e quali fossero nel dettaglio le condizioni di quarantena ritenute adeguate. La Commissione ha provveduto a chiarire il primo aspetto con il Regolamento 1251/2008 mentre per il secondo è con l’emanazione della Decisione 2008/946 della Commissione che sono stati fissati con esattezza i requisiti delle strutture e delle attrezzature, le modalità di gestione degli impianti ritenute accettabili e le indicazioni sui metodi di campionamento e di esecuzione degli esami. Per quanto riguarda i requisiti strutturali, l’impianto di quarantena deve essere separato da altri impianti (ad esempio, allevamenti) e le unità di quarantena devono essere realizzate in modo tale che siano impossibili scambi e contaminazioni incrociate. L’approvvigionamento idrico deve utilizzare acque classificate indenni dalla malattia in questione e deve essere presente un sistema di trattamento delle acque reflue qualora l’impianto sia ubicato in uno Stato Membro, zona, compartimento o Paese terzo dichiarato indenne da una o più delle malattie elencate o sia coperto da un programma di sorveglianza o di eradicazione. Tutte le attrezzature devono essere realizzate in modo da permetterne la pulizia e la disinfezione e ciascuna unità deve avere le proprie. Per quanto riguarda le condizioni di gestione, il responsabile dell’impresa d’acquacoltura che gestisce l’impianto di quarantena (struttura che rientra comunque nella definizione di “impresa di acquacoltura”) deve assicurarsi i servizi di uno specialista qualificato in materia di sanità degli animali acquatici. Devono inoltre essere applicate tutte le consuete misure di biosicurezza quali l’adozione di opportuni protocolli di pulizia, la disinfezione, l’applicazione del vuoto sanitario tra l’introduzione di una partita e l’altra, il divieto d’accesso alle persone non autorizzate, l’utilizzo di idonei indumenti per i visitatori autorizzati e la pulizia e disinfezione dei mezzi di trasporto e delle attrezzature, comprese le vasche e i contenitori. Gli animali di acquacoltura morti o che presentano manifestazioni cliniche di malattie devono essere sottoposti a un’ispezione clinica da parte dello specialista e un campione rappresentativo deve essere esaminato in un laboratorio designato dall’Autorità competente. Il gestore dell’impianto dovrà registrare gli orari di entrata e uscita del personale, il trattamento delle acque in entrata e delle acque reflue, eventuali anomalie nel corso della quarantena (ad esempio, interruzioni di corrente o danni alle strutture) e, infine, per i campioni conferiti per le prove, la data e l’esito degli esami. La durata della quarantena per le specie sensibili è di almeno 60 giorni per i pesci, 40 giorni per i crostacei, 90 giorni per i molluschi. Le specie che possono fungere da carrier sostano in quarantena almeno 30 giorni. Durante la quarantena gli animali d’acquacoltura sono oggetto di campionamento entro 15 giorni dalla scadenza del periodo di quarantena. La Decisione 2008/946/CE stabilisce anche le condizioni di importazione degli animali d’acquacoltura, allorché la quarantena costituisca la condizione cui l’importazione è subordinata. Vengono innanzitutto fissate le condizioni di quarantena nei Paesi Terzi: gli impianti devono essere registrati in base a requisiti almeno equivalenti a quelli fissati dalla Direttiva 2006/88, controllati dall’Autorità competente almeno una volta all’anno e devono soddisfare i criteri e le condizioni stabilite dalla Decisione in oggetto; deve inoltre essere disponibile un elenco degli impianti di quarantena autorizzati. È utile rammentare che gli importatori hanno l’obbligo di fornire al PIF una attestazione scritta e firmata nella quale si dichiara che gli animali d’acquacoltura sono accettati in quarantena. Dal posto di ispezione frontaliera le partite dovranno essere trasportate direttamente all’impianto di quarantena. Qualora durante la quarantena sia notificata la presenza sospetta di una malattia, l’Autorità competente preleva campioni appropriati e si assicura che, in attesa dei risultati di laboratorio, nessun animale d’acquacoltura sia introdotto nell’impianto o ne sia rimosso. Qualora sia confermata la presenza di una o più delle malattie elencate, l’Autorità competente si assicura che tutti gli animali d’acquacoltura siano rimossi e distrutti, le unità di quarantena interessate siano pulite e disinfettate, nessun animale d’acquacoltura sia introdotto per un periodo di 15 giorni dopo la pulizia e la disinfezione finali; le acque nelle unità di quarantena interessate devono inoltre essere trattate in modo da inattivare efficacemente l’agente infettivo responsabile della malattia.

La nuova impostazione dei controlli sanitari sui prodotti d’acquacoltura: compiti dell’OSA e dell’Autorità competente e l’abrogazione della visita in deroga - Con l’entrata in vigore dal 01-01-2006 delle disposizioni previste dai Regolamenti CE 852/2004, 853/2004, 854/2004 e 882/2004 e successive modifiche, non è più previsto il controllo sanitario obbligatorio da parte del competente Servizio Veterinario ufficiale territoriale anteriormente alla prima vendita. Al tempo stesso con l’entrata in vigore del DLgs 193/2007 (attuazione della Direttiva 2004/41/CE) è stato abrogato il DLgs 531/92 che:
1)   disponeva che tutti i prodotti della pesca prima della loro commercializzazione nei mercati ittici all’ingrosso o nelle sale d’asta venissero sottoposti a controllo sanitario ad opera del Servizio Veterinario competente, e
2)   veniva concesso in deroga all’Allegato allo stesso Decreto, il travaso dei prodotti della pesca dalla banchina fino al primo stabilimento ittico riconosciuto CE solo alle imprese che avevano ottenuto il rilascio di una specifica autorizzazione in deroga dal competente Servizio Veterinario.

In linea con quanto sopra riportato l’“Intesa Governo-Regioni relativo alle linee guida sui prodotti della pesca e la nuova regolamentazione comunitaria” del 16 novembre 2006 n. 2674, specifica che…” la responsabilità primaria degli operatori del settore alimentare non rende più obbligatoria e vincolante la visita anteriormente alla prima commercializzazione dei prodotti della pesca…, il pescatore non è vincolato a sbarcare il suo prodotto nel mercato ittico. Si potrà così assistere alla consegna di pescato, che non ha ancora subito i controlli previsti, direttamente presso uno stabilimento: in questo caso sarà necessario:
a)   prevedere per il produttore primario una serie di registrazioni relative al controllo dei pericoli più dettagliato rispetto a coloro che conferiscono in mercato (rintracciabilità, monitoraggio delle temperature, pulizia degli automezzi, condizioni di travaso, ecc); inoltre
b)   andrà richiesto allo stabilimento un’implementazione del piano di autocontrollo con particolare riguardo ai controlli previsti nella fase di ricevimento.

A seguito di tutto questo, quindi, le autorizzazione in deroga precedentemente rilasciate dai Servizi Veterinari nazionali ai sensi del DLgs 531 perdono di validità. Le imprese che svolgono attività di pesca e di acquacoltura che intendono consegnare i prodotti ittici da loro pescati o allevati ad uno o più stabilimenti ittici riconosciuti CE devono essere registrate ( a seconda delle realtà regionali o presso i Comuni o presso le ASL) e devono rispettare i requisiti generali in materia di igiene per la produzione primaria richiamati nella parte A del Regolamento CE 852/04.

Alla DIA (dichiarazione inizio attività) deve essere abbinata:
a)   ricevuta dei doveri di pagamento,
b)   copia di un documento di identità,
c) copia della licenza di pesca valida,
d)   copia della certificazione del motopeschereccio,
e) relazione firmata che descriva le attività svolte con i punti di sbarco dei prodotti e l’elenco degli stabilimenti ittici CE destinatari del prodotto pescato.

Le imprese di pesca, anche di tipo individuale, socie di cooperative/consorzi che commercializzano tramite il mercato ittico all’ingrosso della propria cooperativa, che siano state dalla stessa cooperativa autorizzate al commercio diretto a stabilimenti CE, devono in ogni caso presentare la DIA ai fini della loro registrazione. La mancata registrazione comporta l’applicazione della sanzione amministrativa prevista al punto 3 dell’art. 6 del DLgs n. 193/2007. Eventuali modifiche intervenute su imprese già registrate (es. cambio di ragione sociale, variazione societaria o del legale rappresentante) o su strutture di allevamento, pesca o trasporto (acquisizione o cessione di automezzi trasporto ittici, variazioni vasche o aree di allevamento…) devono essere segnalate all’ente di registrazione. Le imprese rientranti nel comparto della “produzione primaria”, dalla zona di raccolta o dalla banchina fino allo stabilimento CE, devono rispettare le norme di igiene generale del Regolamento CE n. 852/2004 e la mancata osservanza di questi requisiti comporta l’applicazione della sanzione amministrativa prevista al punto 4, art. 6, DLgs 193/2007. Queste imprese dovranno applicare Manuali di corretta prassi igienica (art. 7, Regolamento CE 852/04) in grado di soddisfare quanto anche richiesto nell’Intesa Governo-Regioni del 16 novembre 2006 n. 2674, soprattutto in merito all’attivazione di registrazioni atte al controllo dei pericoli, quali la tracciabilità, il monitoraggio delle temperature, la pulizia degli automezzi, le condizioni di travaso. Le imprese titolari di stabilimenti CE che acquistano prodotti della pesca e di acquacoltura devono rispettare i requisiti sanitari richiamati nei regolamenti del “Pacchetto Igiene” Regolamenti CE 178/2002, 852/04, 853/04 e successive modifiche, che non prevedono più l’effettuazione della visita sui prodotti della pesca da parte del Servizio Veterinario ASL al momento dell’introduzione nello stabilimento. Le aziende devono utilizzare e implementare un Manuale di Autocontrollo che deve prevedere una procedura sul controllo dei fornitori e in particolare controlli sulle fasi di ricevimento dei prodotti della pesca da imprese alimentari di produzione primaria di pesca e acquacoltura. Il mancato rispetto dei requisiti igienici previsti comporta l’applicazione della sanzione amministrativa prevista dall’ art. 6 del DLgs 193/2007. Fino a quando la procedura “controllo dei fornitori di produzione primaria” non sarà adeguatamente implementata e non avrà subito una adeguata validazione da parte dell’OSA e parimenti non sarà stata favorevolmente valutata dal Veterinario ufficiale responsabile dello stabilimento, non saranno consentite introduzioni direttamente dalla produzione primaria, limitando lo stabilimento alla sola introduzione di prodotti della pesca provenienti da mercati ittici o da altri stabilimenti CE. I servizi veterinari ASL territoriali devono quindi verificare che le imprese di allevamento che intendono consegnare o già consegnino prodotti della pesca a stabilimenti CE siano in possesso della richiesta registrazione. Al tempo stesso l’Autorità di Controllo deve verificare che gli stabilimenti CE che introducono prodotti della pesca o di acquacoltura provenienti direttamente dalla produzione primaria rispettino i requisiti sanitari richiamati nei Regolamenti CE 178, 852, 853 e successive modifiche, in particolare il Manuale di Autocontrollo sia dotato di una procedura specifica relativa ai controlli su tali prodotti, favorevolmente valutata dal Veterinario ufficiale ASL responsabile dello stabilimento. In caso di non conformità i Servizi Veterinari ASL attiveranno le azioni correttive previste all’art. 54 del Regolamento CE n. 882/2004 e, se del caso, le sanzioni del DLgs 193/2007.

Conclusioni - Negli intenti del legislatore comunitario, l’emanazione della Direttiva 2006/88/CE era volta alla realizzazione di una normativa più semplice e chiara, che contribuisse a migliorare lo status sanitario degli animali acquatici nella Comunità e facilitasse il commercio internazionale degli animali di acquacoltura e dei loro prodotti nel pieno rispetto delle linee guida dell’OIE. Ciò è sembrato attuabile attraverso l’attribuzione di una maggiore responsabilità nella fase attuativa agli Stati Membri, garantendo loro flessibilità, focalizzando l’attenzione più sull’obiettivo da raggiungere che sul mezzo col quale ottenerne il conseguimento e attribuendo un ruolo fondamentale alla prevenzione delle malattie. Da un lato tale Direttiva rappresenta sicuramente un passo avanti verso una semplificazione delle normative di settore, finalmente riunite in un unico atto, ma da un altro punto di vista il suo recepimento nel nostro ordinamento nazionale ha mostrato, soprattutto nelle fasi iniziali, diversi aspetti di criticità, legati all’interpretazione del testo di legge originale (ad esempio, la procedura di registrazione/autorizzazione delle imprese di acquacoltura) e all’attuazione in tempi brevi degli obblighi da essa previsti (ad esempio, la creazione dell’anagrafe nazionale delle aziende di acquacoltura previa loro classificazione sulla base del rischio). Le difficoltà connesse all’applicazione delle disposizioni contenute nel DLgs 148/2008 paiono al momento superate in seguito all’emanazione, da parte della Commissione, di alcune norme attuative, in particolare quella contenente orientamenti per i programmi di sorveglianza sanitaria basati sulla valutazione del rischio (Decisione 2008/896/CE), quella riguardante le prescrizioni in materia di quarantena (Decisione 2008/946/CE) e quella relativa ai programmi di sorveglianza e di eradicazione delle malattie (Decisione 2009/177/CE). È auspicabile che il legislatore comunitario provvederà a migliorare questi aspetti dopo che la Commissione avrà avuto modo di valutare i risultati ottenuti dagli Stati Membri nei primi anni di applicazione della nuova disciplina, più verosimilmente attraverso l’emanazione di ulteriori nuovi atti di natura applicativa che attraverso una revisione della Direttiva stessa.

Lorenzo Scagliarini
Facoltà di Medicina Veterinaria Università di Bologna

Alfredo Mengoli
Azienda USL di Bologna

Angelo Peli
Facoltà di Medicina Veterinaria Università di Bologna



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