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La carne in tavola

Carne di capra

di Ballarini G.

La capra domestica (Capra hircus), animale umile e frugale, nell’antichità era allevata anche dai ceti più poveri per avere quotidianamente latte e formaggi e solo occasionalmente per cibarsi delle sue carni. La tradizione di questo allevamento è tipica di alcune aree meridionali del nostro Paese, come il Salernitano, o di alcune regioni montuose delle Alpi e degli Appennini. Oggi si stanno rivalutando le caratteristiche del latte di capra e sempre più si apprezzano i formaggi caprini. L’ottenimento della carne dai capretti e dalle capre a fine carriera è una conseguenza logica e per questo il suo utilizzo diviene di un’attualità sorprendente.

Addomesticamento e riti antichi
La domesticazione delle pecore e capre sembra sia avvenuta in Mesopotamia nel 6.000 a.C. Mentre le pecore forniscono soprattutto la lana e le capre il latte, entrambe danno anche carne. In Estremo Oriente, dalla Mongolia alla Cina settentrionale, si è affermato un sistema alimentare basato sul consumo di carne, latte e suoi derivati anche di capra, mentre nella penisola araba è la carne di cammello ad essere molto apprezzata.
Il maiale, al di fuori delle culture pastorali, è l’animale da carne per eccellenza. Dall’antichità fino a tempi vicini l’allevamento bovino e poi equino hanno la finalità principale di fornire forza lavoro, tanto che Isidoro di Siviglia, nel 600 d.C., scrive degli animali «che servono ad alleviare la fatica dell’uomo, come bovini ed equini, e quelli che servono a nutrirlo, come ovini e suini». L’addomesticamento delle capre ha dato origine a molti miti, che ne sottolineano l’importanza. È la capra Amaltea a nutrire con il suo latte il sommo Zeus, per i Romani Giove, quando era bambino nell’isola di Creta, e per questo viene premiata con l’inserimento nelle costellazioni celesti. Un giorno, giocando, Zeus spezza un corno ad Amaltea, che diventa il corno dell’abbondanza (cornucopia), testimoniando così il valore dell’animale.
Nelle cerimonie religiose greche la capra è sacrificata ad Apollo, Afrodite, Artemide e Dioniso, e nel mondo romano a Libero, Mercurio e, soprattutto, ad Asclepio, il dio della salute, venendo considerata, quindi, animale salutare. L’antico legame della capra con la medicina è attestato dal termine greco farmaco, medicamento (pharmakòs), che significa vittima o capro espiatorio e che indica come in origine l’animale venisse sacrificato per la salvezza dei cittadini. Le capre sono presenti nei più antichi riti di Roma, come quello dei Lupercali, e da questi emerge il quadro di una società pastorale nella quale l’allevamento della capra era una voce rilevante.
Molte sono le leggende legate a particolari aspetti della capra, animale misterioso e straordinario che presta il suo aspetto (zoccoli, coda e corna) a esseri mitologici quali i Satiri, i Sileni e il dio Pan, ovvero Fauno, e poi al Diavolo dei Cristiani. I suoi occhi, come quelli del lupo, riflettono la luce e brillano di notte, per cui gli animali sono in grado di vedere distintamente anche con poca luce.
Meravigliosa appare agli antichi l’attitudine della capra ad allattare e accudire bambini piccoli. Sognare carne di capra è un buon segno per chi si trova nei guai e, per una similitudine di termini, chi non sta “bene” e deve eliminare il “male”, attraverso l’uccisione della capra (chìmaira), per ottenere la sua carne, elimina la calamità (cheimòn).
La capra è un animale con più di uno stomaco, nel quale purifica anche il cibo impuro. Gli antichi erano colpiti dall’attitudine della capra a evitare il cibo sporco o “in basso”, al livello del suolo, mangiando al contrario solo in alto fronde, germogli, arbusti lignei e spinosi, e a curarsi da sola in caso di malattia, cercando specificamente determinati vegetali con potere curativo. Nell’intestino di una capra selvatica si trova anche il leggendario Bezoar o Bezar, una pietra o concrezione lapidea che in Oriente è usata come antidoto universale contro tutte le malattie.

Carne di capra di ieri
Fin dall’antichità la carne di capra, consigliata dai medici perché ritenuta molto nutritiva, aveva, come oggi, sapore e odore non sempre gradevoli. In proposito vi è la storia di un celebre atleta tebano, il più forte di tutti perché si nutriva solo di carne di capra, preso in giro per il suo odore. Galeno, nel suo trattato di dietologia, precisa che, escludendo i capretti, la migliore carne di capra si ottiene dal maschio castrato, un procedimento che rende la carne più dolce, nutriente, facile da digerire e senza il caratteristico odore ircino del maschio intero.
Sempre per Galeno, la carne di capra è accettabile nel periodo iniziale dell’estate, quando gli arbusti sono pieni di germogli e l’animale mangia il suo cibo preferito, ed è preferibile la carne delle capre selvatiche, dura e senza grassi, di animali che vivono sulle montagne, con cibi sani. La loro carne si conserva per un numero di giorni superiore rispetto a quella di altri animali domestici, allevati con cibo di qualità scadente. Diverso è il giudizio di Galeno sulla carne di capretto nutrito di solo latte, con pochi mesi di vita, una costosa prelibatezza per ricchi, come risulta dalle ricette di Apicio.
Non si conoscono antichi insaccati di carne di capra, ma nell’Odissea Omero cita dei budelli di capra, riempiti di grasso e sangue e arrostiti sul fuoco. Questa è forse la prima testimonianza di una tradizione che si è conservata fino ad oggi, quello delle interiora di agnello o di capretto con la rete dell’omento che le contiene (paliàta), arrostite o fritte in padella.
Nella Roma antica, le tavolette di Vindolanda, località di confine lungo il vallo di Adriano, attestano il consumo di porcellini da latte, prosciutto, carne di capra e di cervo. Per i Romani ricercatissimo era il grasso o sego di capra, perché più bianco e più consistente rispetto a quello di pecora, usato per l’illuminazione nelle case, a volte mescolato con cera, o per fare un sapone colorante (per capelli), preparato con cenere di legna di faggio.
Nell’Editto dei prezzi, emanato nel 301 d.C. da Diocleziano, la carne di capra o castrato ha il prezzo massimo di 8 denari a libbra (equivalente a 327,48 grammi), circa 24 denari al chilo. La carne di maiale, la più richiesta, ha un prezzo di 12 denari a libbra (circa 36 al chilo) e sullo stesso costo di 12 denari a libbra si allinea la carne di agnello e di capretto, insieme a quella di cervo, camoscio, capriolo.

Odierna carne di capra
Diverse e interessanti sono le caratteristiche delle carni di capra femmina e di maschio castrato, oggi allevati in buone condizioni e macellati in età relativamente giovane. Il loro costo è decisamente basso rispetto a quelle di altre carni; inoltre, si tratta di una carne rossa magrissima, molto ricca di proteine, con un sapore marcato che si presta a numerose preparazioni gastronomiche. Dal punto di vista nutrizionale, la carne di capra è apprezzata per il basso contenuto lipidico e non ha depositi di grasso intramuscolari (si veda la Tabella). Nelle carcasse la percentuale di tessuto magro è pari al 60-65%, mentre quella di tessuto grasso si aggira attorno al 12-14%, inferiore a quella che si riscontra in altre carni rosse.
La carne di capra ha un sapore simile a quella dell’agnello, anche se più marcato, e in alcuni Paesi asiatici si usa un’unica parola per descriverle entrambe. Secondo l’età e le condizioni dell’animale prima della macellazione, la carne delle capre femmine e dei castrati adulti può assumere sapori simili alla selvaggina.
Questo tipo di carne ha bisogno di essere cotta più a lungo e a temperature più basse delle altre carni rosse. In Italia, come nei paesi occidentali in generale, questa carne non gode di molta considerazione, mentre è molto apprezzata in altri Paesi, soprattutto nelle aree un tempo considerate più povere. Molti degli immigrati in Italia apprezzano la carne di capra come quella di pecora e la trasformano in cucina secondo le loro usanze, anche per preparare gustosi kebab.

Caratteristiche
Le qualità della carne di capra dipendono da razza, alimentazione, età, ambiente e tipo di allevamento dell’animale. L’età dell’animale alla macellazione è il principale fattore che determina la composizione delle carni. Con l’aumentare dell’età, diminuisce la rilevanza delle ossa, resta più o meno costante la percentuale del tessuto magro e aumenta quella del grasso. La quantità di grasso dipende soprattutto da alimentazione, sesso, età, velocità di crescita e razza. Il grasso sottocutaneo o di copertura è in generale piuttosto scarso, di colore variabile dal bianco al giallo, mentre il colore della carne varia dal rosa al rosso. La carne di capra, dopo una corretta frollatura, diventa molto tenera e di un sapore selvatico delicato. Altre parti commestibili della capra sono il cervello, il fegato e alcuni tratti dell’intestino del capretto. Anche la testa e le zampe, una volta pulite e affumicate, sono usate per preparare zuppe.

Salumi e gastronomia caprina
In alcune regioni italiane le cosce e talvolta anche le spalle di capra sono salate e stagionate per confezionare una sorta di prosciutto. In Lombardia (Valchiavenna), ma anche sull’Appennino tosco-emiliano, tra i prodotti agroalimentari tradizionali vi è il Violino di capra, fatto con cosce e spalle conservate mediante salatura a umido, affumicatura ed essiccazione, tra i salumi più caratteristici, saporiti e buoni del territorio. La denominazione di violino deriva dalla sua forma, ma soprattutto dal modo nel quale il salume è impugnato — come un violino — quando lo si taglia in fette sottili.
Con la carne di capra e i fagioli si prepara un saporito stufato tipico della cucina dell’estremo ponente ligure. Alcune ricette prevedono la possibilità di usare tanto la carne di capra che di pecora, per esempio l’aneloto, una preparazione abruzzese d’interiora di agnello o capretto, o la mucisca molisana, carne di pecora o capra salata essiccata al sole e condita con erbe, aglio e peperoncino.


Prof. Em. Giovanni Ballarini
Università degli Studi di Parma



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