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La pagina scientifica

Presenza di boldenone e prednisolone nei bovini

di Piscopo A.

La spinosa questione sull’impiego degli ormoni in campo zootecnico riveste un interesse di cogente attualità in seno alla Comunità europea. Molti lati oscuri rimangono infatti da chiarire a proposito dell’utilizzo di queste sostanze negli animali da reddito. Di fondamentale importanza è dunque acquisire dati più nitidi, evitando che si generino giudizi scorretti nella collettività sul settore zootecnico e sulla carne. Nel presente articolo verranno analizzati lo steroide boldenone, il corticosteroide prednisolone e i loro effetti, per cercare di chiarire la natura di questi due ormoni, vietati, in base alla normativa vigente, in tutta l’Unione Europea.

Boldenone
Nel Piano nazionale residui del 2012 (di seguito PNR1) il boldenone viene fatto oggetto di una ricerca particolare dal gruppo scientifico di lavoro comunitario, attribuendo alla forma coniugata riscontrabile nelle unità campionarie delle urine lo stato di trattamento illecito o sospetto [Bruxelles 30 settembre 2003 – D (2003) SC]. A questa decisione si è arrivati dopo aver considerato i PNR precedenti a partire dal 1996, che includevano obbligatoriamente il boldenone quale sostanza generica da ricercare come residuo. Tuttavia, nel 2000, le numerose positività riscontrate negli animali spostarono di fatto l’attenzione verso altri ambiti fino ad allora trascurati, facendo sì che tale positività non fosse interpretata necessariamente come un trattamento illecito, ma come un possibile errore di campionatura causato dalla sofisticazione strumentale di laboratorio e dalle metodiche analitiche effettuate.
La nuova situazione ha comportato sostanziali modifiche sulle procedure campionarie: il prelievo del campione di urine deve essere eseguito evitando qualsiasi forma di contaminazione crociata (ad esempio, contaminazione fecale), effettuato quindi con grande oculatezza ed immediatamente congelato e trasportato con celerità al laboratorio, per evitare l’idrolisi dei composti coniugati, i quali possono falsare l’esito rendendo i campioni falsi negativi. Il laboratorio di analisi, a sua volta, ha il dovere di respingere i campioni non conservati e non trasportati correttamente. Viene definito inoltre il limite di rilevabilità che i laboratori devono assicurare con un margine di certezza di 1 ppb sia per il 17 alfa-boldenone che per il 17 beta-boldenone, riportando nel rapporto di prova i risultati dell’analisi di conferma, per ogni campione, pronunciati come alfa-boldenone coniugato e beta-boldenone coniugato; se la concentrazione è superiore al limite di rilevabilità per il beta-boldenone coniugato, scattano le misure di trattamento illecito, mentre la concentrazione superiore al limite di rilevabilità di 2 ppb di alfa-boldenone coniugato viene considerata sospetta di trattamento illecito, situazione che richiede un ulteriore approfondimento delle indagini. Inoltre, il PNR 2012 prevede che i laboratori, qualora siano in grado, ricerchino il boldione (ADD), utile come parametro, assieme ai coniugati alfa- e beta-boldenone, riportando il risultato nel rapporto di prova, con trasmissione dei dati (risultati + verbale di prelievo) al laboratorio nazionale di riferimento per i residui. Una prima osservazione è che la ricerca particolare del PNR 2012 prevede che il boldenone sia rinvenuto nelle urine nella forma alfa e beta coniugato e non come semplice steroide generico “boldenone”, inserito nei PNR dal 1996 al 2000 e oltre, generando a suo tempo un flop campionario, da cui è scaturita la forte contesa tra allevatori e organismi istituzionali.

PNR ante 2002, linea morbida
Nel Piano Nazionale Residui del 2002 e negli anni precedenti sono stati prelevati campioni in allevamento e al macello seguendo una linea che definiremo “morbida”. Dal 2002 in poi è stato assunto un atteggiamento più prudenziale, adeguando il PNR alle nuove acquisizioni scientifiche. Sicuramente lo stato della ricerca fino ad allora conosciuto dava per certe due tesi:
la prova positiva al boldenone 1,4-androstadien-17beta-ol-3-one o deidrotesterone (dihydrotesterone), non era da ritenersi "somministrazione illecita", in quanto ormone naturale prodotto dagli stessi animali. Questa prova inconfutabile traeva in errore nella valutazione complessiva dei risultati che potevano essere falsati dall’esito stesso delle analisi. In ambito europeo, a tal proposito, ci furono pareri discordi, tra cui Olanda, Belgio e altri paesi, i quali consideravano "naturale" la presenza dell’alfa-boldenone nelle urine di bovino fino a concentrazioni di 2 ng/ml ppb (parti per miliardo); in Italia il trovare tracce di steroide presenti nelle urine di bovino era la prova di un “trattamento illecito” con beta-boldenone;
il boldenone è uno steroide di categoria A3 (sostanza ad effetto anabolizzante, non autorizzata). La presenza di detta sostanza nelle urine viene fuorviata da campionature non sterili e manualità procedurali che consentono la promiscuità delle urine con materiale fecale. Ha rilievo in tal senso la procedura campionaria, che deve essere incontaminata da deiezioni e/o materiali misti a contenuto fecale, in modo che possa essere valutata correttamente la reale presenza/assenza della sostanza residuale senza presunzione alcuna da parte dell’ente prelevatore di “somministrazione illecita”.

2003: tolleranza zero
Nel 2003 la tesi della produzione naturale dello steroide è stata assecondata dagli esperti in seno all’UE, fissando il “valore soglia naturale” di 2 ng/ml ppb (parti per miliardo), al di sopra del quale anche piccole concentrazioni assumevano il significato tendenziale di “trattamento illecito” per alfa-boldenone. Tra gli illeciti bisogna considerare le forme coniugate e i loro precursori; tra questi il 17-beta boldenone e il precursore ADD o 1-4 androstadiene 3-17 dione (boldione), entrambi steroidi anabolizzanti, utilizzati negli animali da reddito, principalmente bovini ed equini, ma anche nell’uomo, per migliorare le performance produttive. Alla luce di queste importanti novità il PNR 2004 predisposto dalla superiore autorità sanitaria, tenendo conto delle prescrizioni di cui al DLgs n. 336 del 1999, prende in debita considerazione la ricerca di boldenone nelle urine valida soltanto nella forma coniugata, con i particolari accorgimenti:
applicare corrette pratiche di campionamento affinché tutta la procedura sia valida, evitando al momento del prelievo miscela di urine con contenuto fecale;
trasportare il campione con opportuni mezzi, dotati di dispositivo di raffreddamento (consegnati al laboratorio entro 6 ore) e/o di congelamento (con consegna entro le 48 ore).
La preoccupazione è quella di evitare che la sostanza residuata nel campione possa degradarsi e dare luogo ad un risultato falsamente negativo e che la controparte trovi nella procedura di campionamento vizi procedurali che possono comprometterne la validità.

PNR 2004-2012
La ricerca del boldenone negli anni dal 2004 al 2012 ha costretto i vari organismi istituzionali di Bruxelles e dei singoli Stati, compresa l’Italia, a prestare particolare attenzione alle procedure campionarie, per fugare possibili dubbi e tranquillizzare gli allevatori onesti. La situazione potrebbe essere così riassunta:
i bovini sono produttori di quantità di alfa-boldenone coniugato;
la forma coniugata — alfa-boldenone coniugato e beta-boldenone coniugato — è “trattamento illecito” se è superiore al limite di rilevabilità ufficialmente riconosciuto;
occorre tenere conto della deco­niugazione degli analiti;
la rilevabilità limite a cui dovranno attenersi i laboratori è di 1 ppb (parti per miliardo) per il 17 alfa- e per il 17 beta-boldenone;
è considerato “trattamento il­le­cito” la presenza di beta-bol­de­no­ne coniugato superiore a 1 ppb;
l’alfa-boldenone coniugato superiore a 2 ppb è preso come sospetto di “trattamento illecito”, con successivo approfondimento d’indagine;
le concentrazioni dell’ADD (boldione) e alfa- e beta-boldenone sono dei parametri, assieme a dei coniugati di alfa- e beta-boldenone, per differenziare i residui da trattamento illegale da quelli di altra natura (es. endogena).

Il punto attuale sulla ricerca
Nel 2005 viene riconosciuta la naturale presenza di boldenone negli animali, re­sponsabili di essere essi stessi produttori dello steroide nella forma alfa-boldenone coniugato, con una novità di non poco conto, e cioè la possibilità che anche il beta-boldenone coniugato potesse avere una simile origine. L’attenzione viene accentrata, quindi, sui metaboliti per differenziare la presenza naturale da un trattamento illecito. Lo scenario che si prospetta è il seguente:
l’investigazione scientifica orienta la ricerca sulla forma coniugata; questa forma risulta essere rispondente a una denominazione generica dello steroide, proprio come avveniva nei pri­mi PNR in cui si ricercava il bol­denone come sostanza gene­rica, desumendo da ciò che è necessario precisare il tipo di coniugazione della sostanza coniugata, rispondente in questo caso al beta-boldenone glucuronato o beta-boldenone solfato;
affinché i risultati siano atten­dibili bisogna separare le forme libere da quelle coniugate, quan­tificando la loro presenza senza distinzione dall’analisi per differenza con deconiugazione o senza deconiugazione (se co­me risultato delle analisi di un campione di urina senza deconiugazione si ha 1 ppb, l’analisi del campione dopo deconiugazione deve dare un risultato uguale, cioè 1 ppb; il fatto che tra i due campioni analizzati vi sia un risultato identico significa che è assente il beta-boldenone nella forma coniugata);
tra le forme coniugate, il beta-boldenone coniugato presente nella forma solfato costituisce utile indicatore di “trattamento illecito”;
i nuovi metaboliti utilizzati nel doping umano, strettamente correlati al “trattamento illecito” con boldenone, possono essere utilizzati come validi indicatori ai fini della ricerca, vista la limitata conoscenza di beta-boldenone coniugato generico presente nelle urine di bovino.
Nel 2006 viene evidenziata la necessità di differenziare analiticamente il beta-boldenone coniugato in forma generica dal boldenone coniugato nella forma glucuronato e coniugato nella forma solfato (Le Bizec et al., 2006, Steroid, 71:1078-1078). Nel 2009 il beta-boldenone coniugato nella forma solfato viene confermato da ricercatori come valido indicatore di “trattamento illecito” (Destrez et al., 2009, Steriods, 74:803-808).
Nel 2010 emerge un altro metabolita come valido indicatore di “trattamento illecito” in aggiunta al beta-boldenone coniugato, il 17 beta-hidroxy-5 beta-androst 1-ene-3-one (Scarth et al., 2010, Cromatographia, 71:241-252).
Secondo alcuni autori (Sgoifo Rossi C.A., Bertocchi L., Compiani R., Boldenone e prednisolone, il punto sulla ricerca, in Informatore zootecnico n. 2/2012) il boldenone rappresenta un vero rompicapo per le autorità scientifi­che europee, viste le perplessità per­petrate anche in passato e la continua evoluzione scientifica in merito, che incita la ricerca a continuare a indagare sull’azione resa dai nuovi metaboliti calcolata su un numero rappresentativo di animali non trattati.
La scarsa conoscenza del “quadro” di dette sostanze in animali non trattati non consente purtroppo di avere dati certi sui corrispettivi metaboliti rispondenti ad una determinata sostanza illecita, poiché le sostanze utilizzate sono in continua evoluzione, oltre ad essere numerose e spesso impiegate in forma associata.
Questo quadro scombina un po’ le regole, non consentendo di chiarire con certezza quale sia il loro grado d’influenza e il tasso di positività che possono determinarsi in un numero rappresentativo di animali; occorre pertanto muoversi in altri ambiti, prendendo come punto cardine della ricerca il qua­dro di un animale certamente non trattato con sostanze illecite. Partendo da tale quadro, come fanno osservare i ricercatori, tutto quello che è possibile dimostrare e/o rilevare nei confronti di dette sostanze deve essere considerato sospetto, con ulteriore approfondimento delle indagini.

Prednisolone
Il caso boldenone lascia aperte molte questioni irrisolte; tra queste quella del prednisolone, un altro ormone recentemente considerato trattamento illecito nei bovini. Le positività ai campioni di urina prelevati hanno comportato il rinvio a giudizio di alcuni allevatori imputati di trattare illecitamente con il cortisone i loro bovini. Il contesto è sempre lo stesso, cioè l’attuazione del PNR in cui è inclusa la ricerca di tali sostanze mediante prelievi di campioni di urina in allevamento e al macello, oltre agli extra-piano attuati dalle regioni per incrementare i campionamenti del PNR con ricerca quasi sempre mirata a sostanze particolari (come quelle ad effetto anabolizzante). Segnaliamo due casi:
    bovino arrivato al macello in palese stato di denutrizione: dopo la macellazione si rilevava uno stadio avanzato di peritonite e polmonite. Dal prelievo delle urine risultava la presenza di prednisolone. Il proprietario asseriva che all’animale non erano stati somministrati cortisonici e che doveva essere macellato in quanto un paio di giorni prima si era lussato una zampa. La sentenza del tribunale di Cuneo ha dato ragione all’allevatore, la cui linea difensiva riconduceva la presenza di prednisolone nelle urine ai fattori stressanti procurati all’animale dalla lesione;
    bovina spedita al macello, sottoposta all’esame delle urine e risultata positiva al prednisolone: dalle dichiarazioni dell’allevatore l’animale non risultava essere stato sottoposto a trattamenti con sostanze illecite, però nei giorni antecedenti la macellazione aveva partorito e sicuramente era reduce da una situazione di stress post partum. Con sentenza del 9 marzo 2011 il giudice per l’udienza preliminare presso il tribunale di Bergamo ha assolto l’allevatore dall’accusa di cui all’art. 438 c.p., affermando che il fatto non sussiste e che la presenza dell’ormone nelle urine era giustificata dallo stress causato dal parto.

Le sentenze appena menzionate vanno nella direzione della insussistenza di reato ascritto agli imputati, aprendo un precedente legislativo, mentre altre sentenze sono in discussione.
La similitudine con lo steroide boldenone, e cioè la rilevanza che il cortisone possa avere un’origine endogena trasformandosi da cortisolo in prednisolone prodotto dallo stesso animale in condizioni stressogene, è stata confermata da studi condotti nel 2008-2009 nelle aziende lombarde in cui si è rilevata la positività al cortisone in un numero rappresentativo di animali (73%). Ovviamente si tratta di soggetti (vacche da latte) sottoposti a forti sollecitazioni di stress da strapazzo (carico, trasporto al macello e scarico — cosiddetto stress da trasporto, interazione con altri animali, attesa pre-macellazione — stress da paura), fattori che condizionano l’animale alla produzione metabolica di cortisolo che a sua volta nelle urine vira in prednisolone.
Il punto controverso, che è stato un po’ la chiave di volta dell’intera vicenda, è che dalle dichiarazioni rilasciate dall’allevatore nelle certificazioni sanitarie per il trasporto degli animali al macello (“Modello 4. Quadro B – Dichiarazione per il macello”), risultava che gli animali non erano stati trattati con sostanze di cui è vietato l’impiego (nei 90 giorni precedenti la macellazione – dalla nascita), mentre il controllo analitico derivante dal PNR e dagli extra-piano (presenza nelle urine di prednisolone) metteva l’allevatore di fronte a dichiarazione mendace, imputandolo ingiustamente di falso in atto pubblico e nei confronti di pubblico ufficiale veterinario del macello.
La questione è stata affrontata da vari organismi istituzionali autorevoli; studi sono stati fatti dall’Istituto superiore di sanità, dall’Istituto zooprofilattico sperimentale della Lombardia e dell’Emilia-Romagna e dalla Facoltà di Veterinaria di Milano, i quali hanno indagato sulla possibile produzione endogena naturale del prednisolone nelle urine delle vacche da latte avanti in carriera.
Dallo studio è emerso che i fattori stressogeni sono condizionanti nella produzione endogena di prednisolone, rilevabile dai test utilizzati, che hanno fornito un elevato effetto matrice del liquame con un limite di rilevabilità superiore a 2 ng/ml di corticosteroidi generando casi di animali falsi positivi, cioè non trattati con sostanze illecite.
La quarta sezione del CSS, dopo avere acquisito ulteriori dati scientifici, si è espressa sulla sostanza incriminata, che può rilevarsi anche in animali non sottoposti a trattamento illecito, e ha indicato il valore del laboratorio di riferimento europeo di 5,0 ppb come limite di rilevabilità del prednisolone, superato il quale l’autorità di controllo emette un giudizio di non conformità al corticosteroide. Tale nota, a firma del direttore generale per la sicurezza alimentare dott. Silvio Borrello, è stata diramata agli Assessorati regionali per la Sanità in cui si ribadisce la condizionalità del limite fisiologico del prednisolone nelle urine di bovini. La nota per conoscenza è stata trasmessa, oltre che agli Assessorati, al Comando Carabinieri Tutela della Salute, all’ISS (laboratorio residui), agli Istituti Zooprofilattici e alla Direzione generale della Sanità animale e del Farmaco veterinario.
Il superamento del limite di rilevabilità, si legge nella nota, deve essere considerato dagli organi di controllo indice di trattamento farmacologico. Ulteriori verifiche devono effettuarsi negli allevamenti di provenienza in cui è stato rilevato il prednisolone prelevando campioni di urine e l’indagine va allargata ad altri organi d’elezione come muscolo e fegato.

Conclusioni
Oltre all’importanza rivestita dalla farmaco-sorveglianza che vigila sulla corretta commercializzazione e utilizzazione del farmaco e che va attuata presso i distributori di medicinali (grossisti e farmacie) e presso gli allevamenti, controllando il sommerso, pare opportuno, ai fini dell’indagine scientifica, fare un raffronto tra animale stressato e animale non stressato, avendo cura di effettuare la campionatura in condizioni di perfetto benessere, in modo sterile (evitare la promiscuità di urine con pelo e/o materiale fecale), e di ripetere il campione di urina possibilmente dopo il trasporto al macello. Sulla necessità di adottare metodologia e strumentazione sofisticate già si è discusso in passato; a proposito va sottolineata la fattiva collaborazione tra centri antidoping per gli sportivi, che dispongono di strumenti di alto livello specialistico per intercettare le sostanze illecite, e i veterinari pubblici che prelevano i campioni negli allevamenti o nei macelli.


Dott. Alfonso Piscopo

Veterinario del Servizio sanitario nazionale


Bibliografia
La bibliografia è disponibile a chi ne facesse richiesta presso la Redazione.

Note
1. Il Piano Nazionale Residui (PNR) è un programma di sorveglianza e di monitoraggio della presenza, negli animali e negli alimenti di origine animale, di residui di sostanze chimiche che potrebbero essere dannose per la salute pubblica. Esso viene elaborato annualmente dal Ministero della Salute, di concerto con le Regioni e Province Autonome, con il Laboratorio Nazionale di Riferimento per i residui e con gli Istituti Zooprofilattici Sperimentali (IIZZSS), ai sensi del DLgs n. 158/2006 e s.m. (DLgs n. 232/2007), norma di recepimento delle Direttive comunitarie 96/22/CE e 96/23/CE concernenti il divieto di utilizzazione di talune sostanze ad azione ormonica, tireostatica e delle sostanze Beta-agoniste nelle produzioni animali e le misure di controllo su talune sostanze e sui loro residui negli animali vivi e nei loro prodotti. Il PNR viene effettuato mediante l’analisi di campioni prelevati in fase di produzione primaria e di prima trasformazione degli alimenti di origine animale ed interessa diversi settori produttivi: bovini, suini, ovicaprini, equini, volatili da cortile, conigli, acquacoltura, selvaggina, latte, uova e miele. I campionamenti vengono effettuati a livello di allevamento, macelli, centri di raccolta delle uova e centri di smielatura.

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