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Le coppiette, uno "snack" antico che sta tornando di moda

di Manicardi N.

 

Io le ho mangiate per la prima volta la scorsa estate in Umbria, nella verde Valnerina, prodotte da un piccolo stabilimento artigianale dove le ho anche acquistate insieme ad altri ottimi salumi della norcineria locale. Le ho trovate eccellenti, soprattutto accompagnandole con larghe fette di pane cotto a legna e con un altrettanto eccellente rosso di Montefalco, sullo sfondo del bellissimo paese di Preci. Tuttavia, le coppiette sono un prodotto storico soprattutto del Lazio, inizialmente della Ciociaria (tanto che vengono pure chiamate “coppiette ciociare”) e, in particolare, delle vallate dei Monti Ernici tra Guarcino e Vico nel Lazio; si sono poi “ambientate” a meraviglia anche nella zona dei Castelli, nei Colli Albani e, in seguito, in tutta la regione e in quelle limitrofe.

Si presentano come listarelle di carne essiccata; il nome deriva dalle antiche tecniche di preparazione, che prevedevano che fossero piegate a metà su un filo posto davanti a un fuoco per essere essiccate.
Questa essiccazione nasceva dalla necessità di conservare la carne più a lungo possibile, in particolare durante il periodo invernale o della transumanza, nei cui contesti questo prodotto ha avuto origine. Infatti nel Lazio, durante la transumanza, i cavalli più vecchi venivano abbattuti e la loro carne tagliata a striscioline ed essiccata ai fuochi dei bivacchi per essere poi consumata durante gli spostamenti; ecco perché, originariamente, le coppiette erano solo di cavallo.
Successivamente, le coppiette si sono diffuse come pasto rapido dei lavoratori anche di città e come cibo da osteria. In quelle romane era usanza consumarle servite in cesti di paglia e abbellite da laccetti rossi legate in punta. Una volta andate perdute queste tradizioni, sono andate gradatamente scomparendo. Non del tutto però, perché, fortunatamente, in alcuni paesi è ancora diffusa l’abitudine di realizzarle in casa, oltre al fatto che, come è capitato a me, è possibile trovarle in qualche salumeria artigianale.
Ci sono poi alcune zone dove sono ancora fortemente radicate, come Ariccia e Frascati, nei pressi dei Castelli Romani, e si segnala una forte ripresa anche in parecchi comuni della Ciociaria. Ciò non deve meravigliare, perché alla gioia della riscoperta di una tradizione gastronomica molto semplice e piacevole, si unisce anche il piacere moderno di uno snack tutto italiano e gustosissimo, nonché relativamente economico!

Nelle osterie romane le coppiette, costituite allora esclusivamente da carne di cavallo, erano utili soprattutto per incrementare la sete degli avventori e il consumo delle fojette (cioè le caraffe da mezzo litro in cui veniva servito il vino), ma, anche nel ruolo di antipasto o “rompi-digiuno”, occupavano un posto di primo piano negli anni d’oro delle osterie trasteverine e delle gite fuori porta a Roma e dintorni.
Erano anche merce dei venditori ambulanti, detti “coppiettari”, che passando per le strade della città al grido “coppiette!” le offrivano ai passanti accompagnandole ad un bicchiere di vino.
La ricetta tradizionale prevede, come già detto, l’impiego di carni di cavallo, che però, oggi, sono quasi sempre sostituite da quelle suine e bovine. Si utilizzano, entro 24/48 ore dalla macellazione, cosce, lombi, filetti e altri tagli selezionati (ricavati perfino esemplari di pura razza Maremmana e relativi incroci) sia di spalla che di prosciutto e muscoli addominali. La carne deve sempre essere magra, essiccata e aromatizzata: di solito si utilizzano sale, peperoncino e semi di finocchio, ma possono essere impiegati altri condimenti quali aglio, pepe, rosmarino, coriandolo e vino, sia bianco che rosso.
Le coppiette hanno forma irregolare a striscioline più o meno grandi e con colore che va dal rosso vivo al marrone scuro a seconda del tipo di carne utilizzata: quelle di maiale si presentano meglio all’occhio, in quanto la carne è piuttosto chiara, mentre quelle di cavallo, pur essendo considerate migliori al palato, hanno un aspetto meno attraente, dal momento che sono più scure, quasi nere. Si ottengono pure dalla lavorazione di carne d’asino e anche in questo caso devono essere opportunamente essiccate ed aromatizzate.
Sono prodotte durante tutto l’arco dell’anno, mentre, per quanto riguarda il prodotto essiccato all’aria, la realizzazione è solo invernale.
Nei comuni della Ciociaria le strisce di polpa suina tagliate a mano sono messe a macerare in una miscela di sale e spezie naturali, infilzate con spaghi di canapa e fatte maturare, con o senza affumicatura, anche per un paio di mesi. Terminata la fase di essiccazione, le coppiette vengono fatte riposare, fuori dalla sala d’essiccazione, a temperatura ambiente per 6 ore. Comunque, anche altrove, e pure nel processo di lavorazione semi-industriale o industriale, si conservano elementi della lavorazione manuale tradizionale.
La tecnica di produzione è molto semplice: si tagliano con speciali lame striscioline di carne delle dimensioni approssimative di 10-15 centimetri di lunghezza e 2 di spessore. Le listarelle non solo possono ma anche “devono” essere tagliate in diverse dimensioni; questa irregolarità e grossolanità di fattura è uno dei loro tratti più caratteristici e apprezzati dal consumatore, visto che ne accentua l’aspetto “ruspante”.

In seguito, si procede alla concia fatta con le spezie prescelte dal singolo norcino e pestate in un mortaio (il peperoncino va aggiunto per ultimo, anche se sarebbe più salutare frantumare bene pure i suoi semi, essendo noto che è all’interno di essi che sono contenute le sostanze benefiche).
Con questa concia vengono condite le listarelle di carne dopo averle inumidite con vino (bianco o rosso) e legate a due a due. Poi le si adagiano in un piatto coperto da pellicola trasparente o da stagnola e le si lasciano riposare in frigorifero per 48 ore circa, dopo di che si cuociono in forno per mezz’ora. Scolata l’acqua prodotta dalla prima cottura, si infornano nuovamente per un’ora.

Quando sono cotte si lasciano asciugare per mezza giornata, quindi si mettono a stagionare per circa due mesi, durante i quali si può procedere anche ad una leggera affumicatura.
Se si possiede un camino si appendono alla cappa e si fanno affumicare per 2 o 3 giorni, cioè fino a quando non siano completamente essiccate, riducendo il loro peso fino al 60%.
Nei tempi antichi, infilate a piccoli ganci, venivano attaccate in una capanna, dove si accendeva un fuoco appositamente: venivano appese vicino a questo fuoco oppure poste dentro il camino stesso quando, alla sera, si spegneva la fiamma lasciando la brace e la cenere calda (con quel metodo già descritto di unirle a due a due per formare la “coppietta”).
Questo tipo di affumicatura è quello consigliato, ma si può ottenere un risultato sostanzialmente analogo anche appendendole in un qualsiasi ambiente secco. In tal caso, però, sarà necessario qualche giorno in più per essiccarle adeguatamente.
Quando la carne sarà secca potrà finalmente essere mangiata con il pane e un buon bicchiere di vino rosso. Se si preferiscono più morbide si possono infilare “agliu spido” (“allo spiedo”) e scaldate sulla brace. Possono essere conservate anche per qualche mese in un luogo asciutto.


Nunzia Manicardi



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