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Leptospirosi: rischio professionale nella filiera degli alimenti di origine animale

di Colavita G.

Introduzione

La Leptospirosi è una zoonosi cosmopolita, considerata una malattia emergente o riemergente, e l’attenzione per essa è dovuta ai numerosi focolai che hanno interessato diversi Paesi dell’America Latina, dell’Asia e gli Stati Uniti28.

L’incidenza è significativamente più elevata nelle zone calde, mentre nelle zone temperate si registra un andamento stagionale, con una maggiore incidenza in estate38. È trasmessa da batteri dell’ordine Spirochaetales, famiglia Leptospiraceae, genere Leptospira.

La Leptospirosi era conosciuta in Cina fin da tempi antichissimi come malattia professionale dei coltivatori di riso. Si pensa che essa sia stata introdotta in Europa nel XVIII secolo con l’invasione dei ratti provenienti dall’Asia.

La prima descrizione di febbre gialla, nel nostro continente, fu fatta nel 1812 dal Barone Dominique Jean Larrey, chirurgo dell’esercito napoleonico. Nel 1887 Adolf Weil descrisse il quadro clinico della forma itterica, poi denominata malattia di Weil. Nel 1917 ricercatori giapponesi identificarono l’agente responsabile dell’infezione, determinandone le modalità di trasmissione, il quadro clinico e diagnostico30.

Sempre nel 1917, viene registrato il primo caso di Leptospirosi umana in Italia22. Nel 1989 il genere Leptospira è stato diviso in due specie: Leptospira interrogans (Leptospirosi dei mammiferi) e Leptospira biflexa, che comprende specie saprofite20,26.

Entrambe le specie sono divise in sierotipi mediante agglutinazione, dopo cross-assorbimento con antigeni omologhi; due leptospire appartengono a sierotipi differenti, nell’ambito dello stesso sierogruppo, quando presentano reattività crociata non completa.

Finora sono stati identificati più di 60 sierotipi di L. biflexa, mentre per L. interrogans se ne conoscono oltre 200. Quelli che sono correlati antigenicamente vengono raggruppati in sierogruppi; due leptospire appartengono a due sierogruppi diversi quando non mostrano alcuna attività crociata26,27.

La malattia persiste in natura a causa della localizzazione a livello dei tubuli renali degli animali serbatoio, nei quali la Leptospirosi è endemica2.

La malattia nell’uomo

Non si sa con precisione quanti siano i casi umani di Leptospirosi nel mondo. Secondo l’OMS, l’incidenza della malattia oscillerebbe tra 0,1-1 casi/l00.000 abitanti per anno, nei climi temperati e tra 10-100 casi/100.000 abitanti, nei climi tropicali35. In Italia, si va dai 66 casi ufficialmente notificati nel 1993, ai 38 del 200431. In oltre il 90% dei casi, la malattia si presenta in forma lieve ed anitterica.

Nei casi più gravi, dopo un periodo di incubazione di 2-30 giorni, ha inizio la fase acuta o leptospiremica, caratterizzata da febbre alta (38/40°C) e remittente, brividi, cefalea violenta, mialgie, malessere, soffusioni congiuntivali e frequentemente anoressia, nausea e vomito.

Segni meno comuni sono la linfoadenopatia e l’epato-splenomegalia. La fase leptospiremica dura di solito 4-8 giorni e, nei casi gravi, già nella prima settimana si accompagna ad ittero. In alcuni casi i sintomi sono confondibili con meningiti, encefaliti o influenza.

Nella Malattia di Weil compaiono, invece, insufficienza epatica con ittero, iperbilirubinemia ed insufficienza renale con uremia ed oliguria. In alcuni casi la polmonite emorragica e la sindrome da stress respiratorio possono essere le uniche manifestazioni dell’infezione.

La durata della malattia va da pochi giorni a molte settimane, a seconda della gravità e della cura. La mortalità è bassa, ma può superare il 20% nei pazienti che sviluppano insufficienza epatica e renale e nelle persone anziane28.

L’infezione negli animali

La Leptospirosi è una zoonosi inserita nella lista delle malattie infettive da notificare all’OIE (Office International des Epizooties) e contemplata nel Regolamento di Polizia Veterinaria (DPR 320/54). In caso di riscontro della malattia, è prevista la dichiarazione di apertura del focolaio e la messa in atto di misure finalizzate all’estinzione dello stesso (OM 26/03/1970; OM 04/09/1985).

L’infezione negli animali avviene in età giovanile e la prevalenza di escrezione delle leptospire aumenta con il progredire dell’età.

Nel settore alimentare, una delle filiere maggiormente a rischio per questa malattia è quella suina, causa l’elevata diffusione delle leptospire in questa specie animale.

Gli animali più frequentemente portatori dell’infezione sono i roditori e in particolar modo i ratti. Questi rappresentano il serbatoio per L. icterohaemorrhagiae e L. ballum; i topi domestici, invece, per L. ballum. I risultati di analisi effettuate da prelievi su ratti evidenziano una positività del 15%, confermando la pericolosità di questi animali32.

Anche gli animali domestici possono fungere da portatori. Nella specie bovina prevalgono L. hardjo, L. pomona e L. grippotyphosa, con mastiti e aborti19,16. Inoltre, L. hardjo è stata isolata da feti normali e dall’apparato genitale di bovine gravide, da secrezioni vaginali post partum e anche dal tratto genitale dei tori17,18,15. Nella specie suina i sierotipi più diffusi sono L. pomona, L. tarassovi e L. bratislava, che sono responsabili di aborto, ma in questa specie animale la malattia si manifesta per lo più in forma asintomatica.

Negli allevamenti di suini da riproduzione il rischio è relativamente contenuto, in quanto in alcuni casi viene praticata la vaccinazione e una profilassi antibiotica nelle scrofette, scrofe e verri. Nell’ingrasso, invece, l’infezione è più diffusa, poiché la pressione numerica è maggiore e, inoltre, sia la vaccinazione che la profilassi antibiotica di norma non vengono effettuate8. Gli ovini possono essere serbatoio per L. hardjo e L. pomona, i carnivori per L. canicola6.

Anche pesci, rettili ed anfibi risultano sensibili all’infezione. Invece, non sono descritti, in natura, casi di infezione negli uccelli.

L’eliminazione delle leptospire, da parte degli animali infetti, avviene per lo più attraverso le urine. La lesione primaria, in tutti i mammiferi, consiste in un danno alle cellule endoteliali, in particolar modo a livello renale, in alcuni casi anche a livello genitale (trasmissione venerea) e oculare. Tali lesioni vengono prodotte in seguito all’azione di tossine:

  • GLP: complesso lipidico di una glicoproteina batterica;
  • LPS: frazione liposaccaridica.
  • All’azione delle tossine si associa anche un effetto autoimmune. Il germe è scarsamente resistente agli agenti fisici e chimici ambientali, però può sopravvivere, per alcuni giorni, in acqua a reazione neutra o leggermente alcalina ed a temperatura di 20°C/30°C.

    Quindi, la presenza di acqua ha grande importanza nella epidemiologia della malattia, per questo detta anche “water born desease”33.

    La Leptospirosi come malattia professionale

    La Leptospirosi è una malattia professionale, per allevatori, veterinari, addetti alla macellazione e veterinari addetti all’ispezione delle carni37. La trasmissione all’uomo avviene mediante il contatto diretto con animali infetti (es., attraverso le mucose o parti abrase della cute) o indirettamente, in seguito al contatto con materiale contaminato (carcasse infette, acque stagnanti, reflui di macellazione, ecc…).

    Altre vie di contaminazione sono quella congiuntivale e la via respiratoria per aerosol29. Alcune mansioni lavorative rappresentano le principali fonti di infezione per l’uomo1. Il contatto diretto con animali infetti è una condizione frequente in veterinari, allevatori, macellatori, ispettori delle carni3,12,10.

    Altra categoria professionalmente esposta è quella degli allevatori di pesci di acqua dolce. Nel nord della Scozia, tra il 1934 e il 1948, l’86% di casi si riscontravano proprio in queste persone, con isolamento nella maggior parte dei casi di L. icterohaemorrhagiae, riconducibile alla probabile infestazione da ratti28.

    Nella pratica veterinaria, il contatto con le urine di animali infetti durante la visita dell’animale (cani, gatti, bovini, suini), gli interventi chirurgici e i prelievi ematici rappresentano le fasi più a rischio per la possibile trasmissione, così come il contatto con i fluidi uterini durante il parto.

    La Leptospirosi costituisce il rischio professionale più rilevante nell’allevamento suino, soprattutto in quello da ingrasso, e particolarmente nelle regioni dove l’infezione risulta più diffusa tra la popolazione suina (Lombardia, Emilia, Umbria) e nella quale spesso l’infezione è presente in forma sub-clinica.

    Visto che le urine degli animali infetti costituiscono la principale fonte di infezione, a rischio sono proprio quelle operazioni che comportano la formazione di aerosol, quali il lavaggio dei capannoni, dei mezzi di trasporto e delle sale di macellazione. Per valutare il rischio professionale negli allevamenti, uno studio sierologico, condotto in 12 aziende della provincia di Mantova, ha messo in evidenza una positività nel 32% degli allevatori25.

    Ma il rischio è molto elevato anche per gli addetti negli impianti di macellazione nelle varie fasi: stalle di sosta, eviscerazione, asportazione dei reni e manipolazione dei visceri nelle tripperie. Del resto, in sede di ispezione post mortem nei suini, frequentemente si riscontrano quadri di nefrite interstiziale riconducibili a Leptospira spp.

    In Nuova Zelanda una ricerca sierologica per Leptospira, nel sangue di oltre 1.000 addetti all’ispezione delle carni, ha rivelato una positività del 10,2% e i sierotipi più frequenti erano L. pomona e L. tarassovi.

    Una correlazione altamente significativa è stata individuata tra la prevalenza sierologia per questi sierotipi e l’ispezione delle carni suine3. In un macello del sud del Vietnam è stato condotto uno studio per la ricerca di leptospire nei reni di suini normalmente macellati. Il germe è stato isolato nel 69% degli organi esaminati mediante la tecnica dell’immunofluorescenza e più frequentemente è stata isolata Leptospira interrogans sierotipo Bratislava. Inoltre, sono stati riscontrati diversi quadri di nefrite interstiziale.

    Questi dati dimostrano che la Leptospira è un patogeno comune nei suini e quindi può rappresentare un rischio professionale per gli addetti alla macellazione7. Altre indagini sierologiche sono state effettuate sempre in macelli suini al fine di valutare la probabilità di esposizione dei lavoratori a tale agente zoonotico.

    Due studi effettuati in Italia hanno permesso di rilevare una positività pari al 32,3%, confermando che gli addetti alla macellazione dei suini sono fortemente esposti alla Leptospirosi.

    Inoltre, la significativa differenza di positività sierologia tra macellatori e un gruppo di controllo, costituito da persone non a rischio, ha confermato che il rischio è legato all’attività lavorativa11.

    Sempre a conferma del fatto che le mansioni lavorative a contatto con gli animali rappresentano un fattore di rischio per l’uomo, Cacciapuoti e coll. (1994) hanno esaminato campioni di sangue provenienti da ben nove regioni italiane, mettendo in evidenza positività sierologiche piuttosto elevate per Leptospira spp, in particolare in Lombardia e Veneto, registrando i valori più alti nelle categorie di persone a contatto con gli animali.

    In Sicilia, si è voluto indagare sulla presenza e diffusione di Leptospira spp. in alcuni gruppi di lavoratori (6 veterinari, 34 allevatori e 28 macellatori di suini).

    Il 23,5% dei lavoratori è risultato positivo per L. canicola, L. hardjo, L. sejroe grippotyphosa, L. itteroemorragica. Lo studio ribadisce l’importanza della sorveglianza di tale malattia nelle persone esposte per ragioni professionali e l’eventuale necessità di adottare programmi di controllo per le attività ad alto rischio21.

    Nel 1998, in Australia, sono stati segnalati 8 casi di Leptospirosi in persone che lavoravano in un macello e i sierotipi isolati erano L. pomona e L. hardjo. Tutti i soggetti erano esposti alle urine degli animali durante la macellazione36.

    In Nuova Zelanda, l’esame sierologico di 65 operatori, che lavoravano in aziende suinicole, ha permesso di rilevare che il 31% di essi era positivo per Leptospira spp.34. Un’altra indagine epidemiologica è stata condotta in provincia di Mantova, al fine di individuare possibili zoonosi, in stabilimenti di macellazione e lavorazione carni bovine e suine.

    Per quanto riguarda le infezioni da Leptospira spp. è stata valutata la siero-conversione nei lavoratori di un grosso mattatoio di suini. Gli operatori risultati positivi al primo saggio sono stati il 12% e il 22% dopo 20 mesi. In tal modo sono stati svelati casi di probabile infezione in atto e casi di infezione relativamente recenti, senza manifestazioni cliniche evidenti25. In Nuova Zelanda, 1.215 campioni di sangue prelevati da veterinari addetti all’ispezione delle carni e 1.248 prelievi appartenenti a macellatori sono stati esaminati per la presenza di Leptospira interrogans, endemica in quel Paese. Il 10% degli ispettori e il 6,2% dei macellatori sono risultati positivi.

    Il fattore di rischio prevalente era l’ispezione e la manipolazione delle carni suine4, a conferma dell’elevato rischio di infezione negli operatori di macelli suini, in conseguenza della larga diffusione dell’infezione negli allevamenti.

    In uno studio effettuato sempre in Nuova Zelanda, sono stati sottoposti ad esame sierologico alcuni allevatori di bovini da latte per rilevare l’incidenza della Leptospirosi.

    Attraverso la prova di agglutinazione si è appurato che il 44% di essi era positivo per Leptospira hardjo e L. pomona5. Recentemente in Friuli, tra dicembre 2004 e gennaio 2005, casi di Leptospirosi sono stati segnalati tra il personale di un salumificio. All’interno dell’azienda non sono state riscontrate tracce di roditori e gli esami sierologici effettuati su campioni di sangue dei suini macellati e da cui provenivano le carni lavorate, hanno evidenziato delle partite positive con titoli da l:200 a l:400 per Leptospira interrogans sierotipo Bratislava23.

    Questa segnalazione mette in evidenza come, un’altra categoria professionale, che può essere interessata da questa zoonosi, è rappresentata proprio dal personale di impianti di trasformazione delle carni suine, per il quale, fino ad ora, il rischio è stato considerato basso o assente. Un’ulteriore segnalazione proviene dalla ASL di Bologna, dove è stato segnalato un caso di Leptospirosi in un uomo che allevava pesci di acqua dolce. L’acqua delle vasche era infestata da roditori e l’uomo ometteva le normali misure di protezione individuale in tutte le operazioni che comportavano contatto con l’acqua o materiale umido potenzialmente infetto14.

    Misure di controllo e prevenzione

    Misure preventive da adottare negli allevamenti consistono in: periodiche visite veterinarie, isolamento degli animali con sintomi sospetti (aborti, emorragie, disturbi dell’apparato urinario), vaccinazione e chemio-profilassi negli allevamenti a rischio, in particolar modo in quelli suini. Il letame e i liquami devono subire una buona maturazione prima di essere usati come fertilizzante. Altra misura molto importante è la lotta ai roditori e agli animali selvatici. Per il personale di stalla e degli impianti di macellazione e lavorazione delle carni è fondamentale l’utilizzo di stivali, guanti impermeabili e mascherine per evitare di venire a contatto con deiezioni di animali infetti e/o materiale patologico32.

    In tali strutture, inoltre, si pone la necessità di prevedere piani di prevenzione e controllo, includendo la Leptospira tra i microrganismi target da monitorare nei prodotti in entrata, nonché la formulazione di linee guida circa l’identificazione dei fattori di rischio, le misure di prevenzione e la formazione del personale. Soprattutto per il personale che lavora nella filiera suina, è opportuno effettuare controlli sierologici per Leptospira.

    In caso di rischio elevato, come misura preventiva primaria, si potrebbe considerare l’opportunità di vaccinare il personale e in presenza di numerosi casi, valutare l’impiego di doxiciclina come misura di prevenzione secondaria nelle persone esposte23. Per quanto riguarda le misure di sanificazione degli impianti è opportuno ricordare che le leptospire sono sensibili ai comuni disinfettanti, tra cui il cloro24.

    Conclusioni

    La Leptospirosi può essere considerata il prototipo delle zoonosi, con serbatoi nelle popolazioni animali, soprattutto ratti e suini, ed il coinvolgimento dell’uomo in particolari circostanze, alcune delle quali legate all’attività lavorativa.

    Nel settore alimentare, una delle filiere maggiormente a rischio è quella suina, proprio per l’elevata diffusione delle leptospire in questa specie animale. Infatti, i dati epidemiologici dimostrano un’elevata sieropositività negli allevamenti e il frequente riscontro di nefrite in suini normalmente macellati, per cui le categorie di lavoratori maggiormente esposte risultano essere allevatori, macellatori e veterinari ispettori delle carni, nonché addetti alla lavorazione delle carni stesse, come evidenziato in un vasto focolaio verificatosi recentemente in un salumificio del Friuli.

    In assenza di una efficace profilassi vaccinale, è fondamentale un’azione preventiva basata sull’igiene ambientale, misure sanitarie in allevamento e controllo degli animali serbatoio, adeguato smaltimento dei liquami e sistematico uso di strumenti di protezione individuale13. Anche se i casi di malattia sono piuttosto contenuti, l’elevata sieropositività nelle suddette categorie di lavoratori, fa della Leptospirosi una zoonosi di grande attualità nel panorama della medicina del lavoro e della medicina preventiva.

    G. Colavita

    M. Paoletti

    Dipartimento di Scienze

    e Tecnologie Agro-Alimentari

    Ambientali e Microbiologiche

    Università degli Studi del Molise

    Campobasso

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